vorrei avere qualche lume, eventualmente corredato di semplici esempi, sulla differenza nello studio della logica fra sintassi e semantica. in particolare non capisco perche’ si parli di ”significato” soltanto in relazione alle condizioni di verita’ mentre nel linguaggio comune capire il significato di una espressione mi sembra che preceda lo stabilire se questa e’ vera o no. Grazie!

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Nelle mie peregrinazioni in matematica, come turista, mi sono imbattuto in una vecchia conoscenza (tempi del liceo) che vorrei chiarire. Condizione necessaria: A si dice condizione necessaria per B se: La negazione di A(~A) è incompatibile con B Mio esempio (A= avere 4 lati , B= essere un quadrilatero) in questo caso non avere 4 lati è incompatibile con B. Condizione sufficiente: A si dice condizione sufficiente per B se: A è incompatibile con la negazione di B(~B) In questo caso avere 4 lati è incompatibile col non essere un quadrilatero Se al posto di quadrilatero metto quadrato le cose cambiano e la condizione diventa necessaria ma non sufficiente. Quindi vorrei sapere se quello che ho scritto ha una parvenza di chiarezza, se avete una formulazione diciamo più matematica , se quando una condizione al test è necessaria ed anche sufficiente si può usare quel famoso scioglilingua -> Condizione necessaria e sufficiente …..eccetera eccetera.

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Godel col suo teorema è arrivato a ottenere l’equivalente matematico della frase “questa frase non è dimostrabile”. La frase in questione, dunque, non riguarda problemi matematici, ma la frase stessa. Se questa frase (o altre analoghe) è l’unica indecidibile, l’incompletezza del sistema in cui operiamo non sembra riguardare la affermazioni di carattere matematico che esso può formulare, ma solo una particolarissima affermazione creata appositamente; dunque questa incompletezza è davvero così grave?

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In tutti i testi di matematica sia universitari che non, quando si stabilisce una corrispondenza biunivoca tra due insiemi infiniti non si fa nulla, si mostrano semplicemente alcuni termini dei due insiemi, magari su due righe sovrapposte, ed è finita lì, come per esempio tra tutti i naturali e i naturali pari. Ora io dico: e se volessimo meccanizzare un algoritmo (magari con una macchina di Turing) per costruire effettivamente la corrispondenza come potremmo fare? Cioè se io desidero che sia una macchina a stabilire l’esistenza o meno della corrispondenza ciò non implica un tempo? Mi spiego: supponiamo di avere due macchine ( ideali per esempio) una che conta i termini di un insieme e l’altra conta i termini dell’altro insieme. Una delle due macchine non resterà sistematicamente indietro rispetto all’altra? E allora in che senso sono riuscito a stabilire la corrispondenza? Esistono ricerche in questa direzione? o non mi rendo conto di pensare in modo scorretto? Grazie per la vostra cortesia.

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Vorrei sapere che cos’è una dimostrazione. Se la dimostrazione di una proposizione è la sequenza ottenuta partendo da alcuni assiomi scelti arbitrariamente utilizzando regole di inferenza arbitrarie (data l’esistenza di sistemi logici non classici) e che ha come ultima riga la proposizione cercata, allora questo vuol dire che anche una qualsiasi metadimostrazione rispetto ad un particolare sistema assiomatico deve basarsi su altri assiomi e regole di inferenza che vengono spesso non esplicitati. Scusatemi se ho detto sciocchezze, vorrei solo avere dei chiarimenti a riguardo.

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Il problema che vi propongo è facilmente risolvibile (dato il numero di termini) sia con MATHEMATCA che con una programmazione qualunque basic, turbo c ecc.) ma trovare la formula che dia la somma di una progressione con ragione variabile non rieco a trovarla. Per le altre progressioni (a ragione fissa) non ci sono problemi ma per questa si ! Progressione = 1^2+2^2+3^2…..etc.(1+4+9+16….) La ragione è a sua volta una progressione per fortuna fissa (1,3,5,7,9….). La formula risolutiva l’ho trovata in un formulario S=n*(n+1)*(2+n+1)/6 ma non riesco a ricavarla.

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Studiando i criteri di divisibilità, ci siamo accorti che, per sapere se un numero è divisibile per 11, oltre al criterio descritto dal nostro libro di testo, si può anche sottrarre l’ultima cifra al numero formato dalle altre; se si ottiene 0 o un multiplo di 11, il numero è divisibile: ad es. 957 è divisibile per 11 perché 95-7 = 88, che è multiplo di 11. Poi ci siamo accorti che, con piccole variazioni si può stabilire se un numero è divisibile per 13, per 17 o per 19: – per 13 : si sottrae l’ultima cifra al triplo del numero formato dalle altre : ad es 299 è divisibile per 13 perché 29*3-9= 78, che è multiplo di 13; – per 17 : si sottrae l’ultima cifra al numero formato dalle altre moltiplicato per 7: – per 19 : si sottrae l’ultima cifra al numero formato dalle altre moltiplicato per 9. Regole analoghe possono anche essere applicate per stabilire se un numero è divisibile per 10, per 12, per 14, per 15, per 16 e per 18. Vorremmo sapere se quelli che abbiamo “scoperto” possono essere considerati criteri di divisibilità e se ci potete spiegare il perché di questi comportamenti.

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Ho ricevuto la sua chiarissima precisazione sul metodo prettamente matematico per manipolare le parametriche e sono già al lavoro. Ho cominciato con l’ellisse che ho fatto ruotare con Evaluate di 360 gradi a Pi/10 per volta, cambiando sempre colore e il risultato oltre che matematicamente utile è anche simpatico graficamente. Utilissima la questione dei due pianeti. Rimane il problema del punto su un cerchio piccolo che rotola o sopra o sotto un cerchio grande. Io ho lavorato un po’ alla bruta tempo fa cercando di controllare, presi dal centro del cerchio grande, seno e coseno. Come avrà capito vado molto ad intuizione anche se desidero molto utilizzare gli strumenti matematici corretti. Tenga conto che sono un pensionato settantenne che ha sempre fatto il chimico. Da qualche anno mi dedico alla matematica alla programmazione e all’utilizzo di MATHEMATICA e MATLAB. Comunque la roto-traslazione non riesco ad applicarla ai casi suddetti. Le invio i miei tentativi fatti con MATHEMATCA che sono corretti ma non fatti con una metodologia convincente.

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A scrivere siamo degli studenti di un corso di Fondamenti di Informatica II e gradiremmo alcuni chiarimenti circa la teoria della complessità computazionale, che ha sollevato in noi parecchi dubbi e fraintendimenti: 1) Per “complessità computazionale” si deve intendere una “stima del numero di operazioni” che compongono un algoritmo e/o una “scienza che studia i criteri” di efficienza degli algoritmi? 2) Se per “complessità computazionale” si accetta la seconda accezione, è possibile parlare di “complessità computazionale temporale” e “complessità computazionale spaziale” come finalizzate all’ottimizzazione di risorse rispettivamente temporali e spaziali, oppure è esatto parlare di complessità computazionale se riferita alla valutazione del tempo e complessità spaziale quando riferita alla memoria ? 3) Sono convinto di non aver ben capito a fondo quali sono le regole pratiche per il calcolo della complessità di un algoritmo e perché sono tali. Ad esempio, un ciclo “for (int i=1; i

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Dato un numero N prodotto di due numeri primi (a*b=N) esiste una regola, al di fuori della scomposizione in fattori primi per individuare a e b? Se immaginiamo, infatti, N abbastanza grande (es. un numero composto da 100 cifre i tentativi della scomposizione per trovare a e b non possono essere fatti nemmeno da un computer!!! Perchè gli antichi matematici si interessarono del rapporto aureo e dove trovo del materiale in immagini che riguardi questo argomento?

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Ho sentito parlare di Godel e del suo teorema con il quale ha dimostrato che “è impossibile dimostrare dall’interno di un sistema di assiomi la non contraddittorietà di questi ultimi “. Ciò mi sembra di fondamentale importanza perché assieme al principio di Heisemberg fa crollare (dal punto di vista matematico) le pretese razionalistiche di una capacità assoluta della ragione di conoscere e di cogliere mediante una certezza assoluta. Non essendo un matematico, desidererei capire un po’di più riguardo a questo postulato.

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Leggo sul primo n° del 1999 della rivista del CICAP, a proposito della roulette, che “quando un numero non esce da molto tempo, i giocatori corrono a coprirlo di denaro. Essi ritengono che quel numero reticente debba uscire al prossimo colpo, a preferenza di altri…, ma il passato non può avere alcuna influenza sull’ avvenire” (Pierre Simon de Laplace). Ammetto però che, dopo aver lanciato una moneta in aria e aver ottenuto per 10 volte consecutive croce, non esiterei a scommettere su testa all’ undicesimo lancio. Sbaglierei?

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Premetto che non sono un matematico ma semplicemente un amatore, spero quindi che molte stupidaggini mi saranno perdonate. In particolare mi interessano le curve e la loro origine. Alla equazione parametrica della cicloide ci ero arrivato da tempo ma con un metodo piuttosto farraginoso, la risposta del prof. Consoli in Eureka mi ha dato una dritta per risolvere il problema in modo migliore. Per l’ipo e l’epicicloide applicando la stessa supposizione iniziale fatta dal Prof.Consoli per la cicloide, si arriva alle parametriche ma indubbiamente forzando la mano e affidandosi molto alla intuizione. Può il prof Consoli dare un suggerimento generale di partenza per la derivazione matematica delle curve e ancora più in generale le premesse per derivare le equazioni di un punto di figure geometriche che rotolano dentro o fuori altre figure geometriche, es. un quadrato dentro o fuori un cerchio , oppure se la cosa è molto lunga, partire almeno del rotolamento di figure geometriche su una linea poi si vedrà. La rotazione traslazione degli assi cartesiani può essere una strada ? Chiedo scusa per il disturbo; ma dalle equazioni già fatte da tracciare con Mathematica non traggo grande soddisfazione. P.S. In Mathematica di Stan Wagon il problema è presentato come ovvio ma a dire il vero l’ovvietà non l’ho vista.

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