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Ritrovato l’idrogeno perduto

Negli ultimi dieci anni gli astronomi hanno cercato la traccia di enormi quantità di idrogeno che si riteneva si fosse formato poco dopo il big bang, e che tuttavia non si riusciva a rilevare. Ora il telescopio spaziale Hubble è riuscito nell’impresa di dimostrare l’esistenza di questo idrogeno. Esso rende conto di circa la metà del contenuto di materia “normale” dell’Universo, il resto è aggregato in miliardi di galassie.

Gli astronomi ritengono che almeno il 90% della materia contenuta nell’Universo si trovi in una forma esotica nota come “materia oscura”. Ma la cosa più imbarazzante è che non riuscivano nemmeno a dimostrare l’esistenza del rimanente dieci per cento di materia ordinaria.

La conferma dell’esistenza di questo idrogeno mancante rappresenta la conferma della bontà dei modelli cosmologici relativi alla produzione di materia nei primi minuti di vita dell’Universo. Precedenti osservazioni avevano mostrato che miliardi di anni fa questa materia sfuggente formava grandi complessi di nubi di idrogeno, che ora si sono dissolte. HST non ha osservato direttamente questo idrogeno, perché a causa della elevata temperatura, questo gas è ionizzato. Dato che senza elettroni non si producono nemmeno spettri atomici, la rilevazione di questo elemento è pressoché impossibile. Fortunatamente ci si può avvalere di un altro elemento chimico che funga da tracciante: l’ossigeno. Anche l’ossigeno è ionizzato, ma mantiene alcuni elettroni che assorbono alcuni colori dalla luce del quasar retrostante.

Dunque la presenza tra le galassie di ossigeno ionizzato implica grandi quantità di idrogeno nell’universo, troppo caldo per essere rilevato. In anni recenti, modelli elaborati al calcolatore hanno predetto l’esistenza di una intricata ragnatela di filamenti nei quali l’idrogeno è concentrato in una vasta struttura a catena. Gli ammassi di galassie si formano nelle intersezioni di questi filamenti. I modelli predicono che le nubi di idrogeno che fluiscono in questi canali dovrebbero collidere e scaldarsi. Ciò dovrebbe provocare la formazione di numerose galassie nelle regioni calde, e così la formazione stellare è stata più abbondante nell’universo primordiale quando l’idrogeno era abbastanza caldo da aggregarsi.

L’ossigeno “tracciante” è stato probabilmente formato nel nucleo di stelle che hanno successivamente rilasciato il materiale nello spazio intergalattico dove si è mescolato con l’idrogeno e poi urtato e riscaldato alla temperatura di oltre 100.000 K. Gli astronomi hanno rilevato l’ossigeno altamente ionizzato usando la luce di un quasar remoto (indicato dalla freccia) come sonda per lo spazio tra le galassie, un po’ come il fascio di una torcia attraverso la nebbia. Lo strumento STIS a bordo del telescopio spaziale ha trovato le “impronte” dell’ossigeno sovrapposto alla luce del quasar. Correndo per miliardi di anni-luce il fascio potente del quasar ha attraversato almeno quattro diversi filamenti di idrogeno invisibile.


Credits: Don Savage – NASA, Nancy Neal – Goddard Space Flight Center, Ray Villard – Space Telescope Science Institute.