Presentazione

Negli anni ’90 la nostra visione del Cosmo è cambiata. Per sempre. Non è una frase retorica, è proprio come se ci fossimo tolti degli occhiali appannati e polverosi, ed avessimo visto per la prima volta il mondo in tutti i suoi colori e dettagli.
L’idea di un telescopio nello spazio, tutto sommato, era elementare. Se ci fermiamo un momento ad osservare le stelle, ci accorgiamo che luccicano. La loro luce infatti viene distorta dall’atmosfera, in perenne movimento. Quindi raccogliere l’immagine di un oggetto celeste diventa un’impresa perché essa viene continuamente deformata, proprio come l’immagine del fondo di una piscina quando la superficie è mossa dalle onde.
Negli anni d’oro delle imprese spaziali, quando tutto sembrava possibile, qualcuno propose di spedire un telescopio nello spazio. Senza l’atmosfera di mezzo, di certo si potevano ottenere immagini con un dettaglio incredibile. Facile a dirsi, ma l’impresa è stata davvero titanica. Ci sono voluti circa venticinque anni per approntarlo. Era già pronto nel 1985, ma il disastro dello shuttle Challenger ne ritardò il lancio al 1990.

E come in tutte le imprese degne di essere raccontate, poco dopo il lancio, il dramma. Durante le prove di calibrazione degli strumenti ci si accorse che il telescopio non poteva essere messo a fuoco. Ecco l’amara verità: lo specchio principale era sbagliato.
Se qualcuno si sta chiedendo come sia stato possibile, è presto detto: le imprese tecnologiche non cadono dal cielo, vanno costruite. E per costruire uno specchio perfetto al millimetro serve uno strumento che misuri una frazione di millimetro, ma se quello strumento è difettoso, tutto quello che verrà costruito con esso avrà impresso lo stesso difetto.
La società costruttrice aveva calibrato male lo strumento che doveva controllare la forma dello specchio. Altri due strumenti simili indicavano l’errore, ma ci si fidava più del primo strumento. Inoltre, come in tutte le cose, c’è di mezzo il vile denaro. Il controllo finale dello specchio con uno strumento indipendente sarebbe costato altri due milioni di dollari: perché spenderli?

Il telescopio spaziale, anche se miope, forniva immagini molto migliori di quelle ottenibili da terra, ma si voleva di più. Era giusto pretenderlo. Nacque così una missione spaziale di riparazione in cui venne montata una apparecchiatura ottica che introduceva un errore uguale ed opposto, così da annullarlo. La riparazione in orbita venne a costare circa 600 milioni di dollari. Trecento volte più del controllo finale: lo tengano a mente i dirigenti, di qualsiasi impresa.

Da quel momento, come si diceva, il Cosmo non è più stato lo stesso. Ricordo bene che in quegli anni quando arrivava via posta elettronica l’avviso che era disponibile una nuova immagine del telescopio spaziale, si fermava tutto. Tutti quanti cliccavano e aspettavano che i lentissimi modem di allora scaricassero l’immagine. Ed era una festa, per gli occhi e per la mente.

Mai le nebulose avevano offerto la visione dei tenui filamenti di gas, appena illuminati dalle stelle attorno. Mai le galassie si erano rivelate come un immenso coro di stelle e polveri in lento movimento (si capiva) attorno al bagliore centrale. Colori, forme, la storia dell’Universo colta in tante istantanee.

E’ la magia dello studio dell’Universo: noi duriamo pochi momenti, ma possiamo intuire la lunghissima storia di una stella cogliendola in tante istantanee diverse. Il bozzolo che ancora avvolge la proto-stella, il soffio potente della luce che sfilaccia i bozzoli vicini, l’armonia celeste di un ammasso di stelle, il lento rilascio del gas di una stella ormai in declino oppure il botto tremendo dell’esplosione stellare: la supernova.

Per non parlare dell’Universo lontano, quello delle galassie, per il quale HST era stato espressamente concepito. Dalla paziente misura del palpitare delle stelle nelle galassie vicine e lontane, HST ha misurato il tasso di espansione dell’Universo.
E che dire della ripresa più profonda mai ottenuta, durata ben dieci giorni di fila, in un quadratino di cielo in cui non si vedevano stelle: il nero assoluto.
E invece no: fotone dopo fotone, la debolissima luce dalle profondità del cosmo ha composto un incredibile paesaggio di frammenti di galassie. La novità dell’Universo di allora, i nostri progenitori, la nostra origine.

HST avrà un successore più grande, più accurato, ma i suoi occhi vedranno solo la radiazione infrarossa. Lo stupore e la delizia che ci ha regalato HST non si ripeterà mai più. Come testimonia il grafico a fianco, il salto di qualità con HST è stato pari solo a quello compiuto da Galileo, il primo uomo a puntare uno strumento ottico in cielo “et sì come sono di infinito stupore, così infinitamente rendo grazie a Dio, che si sia compiaciuto di far me solo primo osservatore di cosa ammiranda e tenuta a tutti i secoli occulta“.

Viene da dire “grazie Hubble”, come se fosse una persona. Ma un telescopio spaziale nasce dalle fatiche e dalle menti di migliaia di persone: scienziati, tecnici, operai, astronomi, astronauti che lo hanno pensato, progettato, costruito, gestito e persino riparato in orbita. A tutti quanti, grazie di cuore.

 

Paolo Sirtoli
paolo.sirtoli@gmail.com