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Un lampo di raggi gamma e la sua galassia ospite

Un gruppo di astronomi del California Institute of Technology ha misurato la distanza di una debolissima galassia che ha ospitato un lampo gamma. La galassia dista da noi 12 miliardi di anni-luce. Combinando questa distanza con l’intensità di emissione dell’esplosione, si deduce che l’evento ha rilasciato un’enorme quantità di energia, pari a diverse centinaia di volte di quella emessa dall’esplosione di una supernova che, fino ad ora, rappresenta il fenomeno conosciuto più energetico dell’universo.

gamma ray burst GRB 971214 - galassia ospiteIl campo del lampo gamma GRB 971214 ripreso dal telescopio Hubble circa quattro mesi dopo l’esplosione, quando anche il bagliore residuo si è esaurito. La galassia estremamente debole e lontana indicata dalla freccia è l’ospite del lampo gamma. Essa è stata scoperta utilizzando il telescopio Keck di 10 metri, ma il telescopio spaziale riesce a identificarla con maggiore nitidezza.

Secondo Djorgovski, l’esplosione deve aver creato, all’interno di una regione di un paio di centinaia chilometri di diametro, condizioni simili a quelle che c’erano nell’universo dopo un millesimo di secondo dal Big Bang.

Gran parte dei modelli teorici sull’origine dei lampi gamma non riescono comunque a spiegare una tale quantità di produzione di energia. Solo alcuni recenti modelli che si basano sull’ipotesi di buchi neri rotanti potrebbero avvicinarsi ad una spiegazione accettabile. Probabilmente siamo di fronte ad un qualcosa di ancora più esotico.

I lampi gamma sono misteriosi flash di radiazione ad alta energia con una localizzazione casuale e che, di solito, durano pochi secondi. Furono scoperti per la prima volta dal satellite militare Vela negli anni ’60. Da allora sono state proposte numerose teorie sulla loro origine, ma la causa rimane ancora sconosciuta. Il satellite CGRO della NASA (Compton Gamma-Ray Observatory) ha già rilevato varie migliaia di lampi gamma. Il principale problema per la comprensione di questo fenomeno dipende dalla difficoltà di localizzazione degli eventi perché, a differenza della luce visibile, i raggi gamma sono straordinariamente difficili da osservare con un telescopio e, a complicare le cose, il lampo dura per un tempo troppo breve.

Il satellite italiano-tedesco BeppoSAX lanciato nel 1996 ha la capacità di localizzare i lampi gamma sulla sfera celeste con una precisione che consente osservazioni successive con i più grandi telescopi a terra.

Questo sistema ha condotto alla scoperta dei bagliori residui (afterglows) che seguono l’esplosione e che possono essere rilevati alle frequenze dei raggi X, nel visibile, all’infrarosso e alle frequenze radio. Gli astronomi, osservando i bagliori residui, hanno dovuto concludere che i lampi gamma non provengono dalla nostra Galassia ma sono associati a galassie estremamente lontane.

Il lampo gamma in questione, indicato dalla sigla GRB 971214, è stato rilevato il 14 dicembre 1997 dal BeppoSAX e dal CGRO. In seguito sia il BeppoSAX che il satellite Rossi X-ray Timing Explorer ne hanno seguito l’afterglow di raggi X. La precisione del BeppoSAX ha condotto alla localizzazione di una controparte ottica scoperta da Jules Halpern, David Helfand e John Torstensen utilizzando il telescopio Kitt Peak dell’Arizona, ma non è stato possibile misurarne la distanza.

Una volta esaurito il bagliore residuo, il team del Caltech (California Institute of Technology) utilizzando il telescopio hawaiano Keck di 10 metri è riuscito a identificare una galassia estremamente debole nel punto esatto corrispondente al lampo gamma. La galassia ha una luminosità pari a quella di una normale lampadina di 100 watt posta alla distanza di 1.600.000 chilometri.

Le successive osservazioni del telescopio Hubble hanno confermato l’associazione tra bagliore residuo del lampo gamma e la debole galassia.

In seguito, il gruppo del Caltech è riuscito anche a misurare la distanza di questa galassia utilizzando il grande potere di raccolta di luce del telescopio Keck II. La galassia ha un redshift z=3,4 che corrisponde a circa 12 miliardi di anni-luce di distanza (assumendo come ipotesi che l’universo abbia 14 miliardi di anni).

Combinando la misura di distanza con la magnitudine osservata del lampo gamma, gli astronomi hanno dedotto la quantità di energia rilasciata dall’esplosione. Sebbene il flash sia durato soltanto pochi secondi, l’energia rilasciata è centinaia di volte superiore a quella emessa da una esplosione di supernova ed è uguale all’ammontare dell’energia irradiata dalla nostra Galassia in duecento anni.

Questa è solo l’energia che è stato possibile rilevare; probabilmente c’è una componente che non siamo in grado di rilevare, come l’emissione di neutrini e le onde gravitazionali, che potrebbe contribuire notevolmente all’ammontare complessivo di energia prodotta.

Sebbene l’origine dei lampi gamma rimanga un mistero, quello che accade dopo l’esplosione sembra essere ragionevolmente compreso all’interno del modello teorico della sfera di fuoco. Le osservazioni del bagliore residuo da parte del gruppo del Caltech ha aiutato la definizione di alcuni parametri fisici di questo modello.

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Un’animazione (file .MOV 2,6 Mb)

Immagini ottenute dal telescopio Keck da 10 metri (Mauna Kea, Hawaii). A sinistra mostra il bagliore residuo (in luce visibile) indicato da una freccia, circa due giorni dopo l’esplosione, quando era ancora relativamente luminoso. L’immagine a destra inquadra lo stesso campo come appariva due mesi dopo, quando il bagliore residuo era svanito del tutto. Nella stessa posizione si vede una debole galassia (indicata dalla freccia). La galassia dista da noi 12 miliardi di anni-luce.

Credits: S. G. Djorgovski, S. R. Kulkarni (Caltech), il Caltech GRB Team, W. M. Keck Observatory

 

L’immagine a sinistra mostra il campo del lampo gamma GRB 971214 come si vedeva al telescopio Keck di 10 metri (Mauna Kea, Hawaii) circa due giorni dopo l’esplosione. L’immagine a destra, ottenuta con lo spettrografo STIS del Telescopio Spaziale Hubble circa 4 mesi dopo.Credits: S. G. Djorgovski, S. R. Kulkarni (Caltech), il Caltech GRB Team, W. M. Keck Observatory , NASA