News originale in inglese: 1998-06 - Immagini e filmati

  

Tutta la luce visibile dell’Universo

Un’osservazione attenta delle dettagliatissime immagini HDF (Hubble Deep Field), rivela che le galassie deboli possono render conto di gran parte della luce visibile nel cosmo. La straordinaria uniformità del cielo di sfondo suggerisce che gran parte della luce visibile nell’universo proviene da galassie che il telescopio Hubble è in grado di rilevare.

 

Questa immagine in falsi colori è un’area del "Deep Field" che mostra un’area di cielo di soli 41 secondi d’arco quadrati (circa un quarantesimo dell’area della Luna). Le zone rosse corrispondono a galassie e stelle rilevate dal telescopio Hubble. Le macchie rosse più piccole sono galassie con una luminosità quattro milioni di volte più debole di quella che può essere rilevata ad occhio nudo.

Potrebbero nascondersi altre galassie ancora più deboli? Per verificare se nello spazio tra le galassie rilevabili dall’Hubble se ne nascondono delle altre, è necessario elaborare la precedente immagine. Si rimuovono le galassie visibili e si amplifica dieci volte la scala di colore. In questa immagine, così elaborata, le macchie scure indicano i posti occupati dalle galassie rimosse; le macchie rosse corrispondono a variazioni di luminosità del cielo che sono dieci volte più piccole rispetto a quelle dell’immagine precedente.

L’analisi statistica mostra che le variazioni di colore in questa immagine, comprese le nuove macchie rosse, sono causate soprattutto dal rumore del segnale piuttosto che da galassie ancora più deboli. Di conseguenza l’Hubble, con ogni probabilità, ha rilevato gran parte della luce proveniente dalle galassie deboli.

Le immagini HDF, ottenute nel 1995 nel corso di una settimana di intensa osservazione da parte dell’Hubble, sono in grado di mostrarci delle galassie con una luminosità milioni di volte più debole di quella necessaria per poter essere viste ad occhio nudo. Michael S. Vogeley (Princeton University Observatory) ha analizzato le macchie bianche che appaiono tra queste lontanissime galassie: si tratta di minuscole increspature nello splendore del cielo che possono indicare la presenza di galassie ancora più deboli. Tra le lontane galassie la luminosità del cielo varia meno dell’uno per mille in regioni che hanno un’area piccolissima, pari a un milionesimo del disco lunare.

La misurazione delle fluttuazioni di luminosità del cielo è estremamente complicata perché tali fluttuazioni possono facilmente essere mascherate dalle piccolissime variazioni di sensitività degli strumenti di ripresa.

L’identificazione di tutte le sorgenti di luce visibile è un passo cruciale verso la comprensione della storia della formazione stellare e dell’evoluzione delle galassie. Se, come gli astronomi sospettano, l’universo ha attraversato un periodo di intensa formazione stellare quando aveva la metà dell’età attuale, la radiazione proveniente da questo boom di nascite dovrebbe essere rilevabile oggi come luce visibile. Un compito importante per i cosmologi è la comprensione delle origini delle radiazioni cosmiche di fondo a tutte le lunghezze d’onda. Il lavoro di Vogeley indica che gran parte della luce visibile che riempie l’universo proviene da galassie presenti nel campo HDF e non da galassie ancora più deboli.

Da sempre gli astronomi sono assillati dal problema se esiste una parte di universo che si nasconde alla nostra possibilità di rilevamento. Ora possiamo costruire teorie sull’evoluzione dell’universo con una maggior fiducia nel fatto che solo una piccola parte delle galassie esistenti si trova oltre la soglia di sensibilità dei nostri telescopi più potenti.

Rimane la questione della quantità esatta di galassie deboli che ancora non riusciamo a rilevare nemmeno con il telescopio Hubble. Possono esistere molte altre galassie che sono troppo deboli o troppo lontane per contribuire significativamente alla luce visibile che arriva alla Terra. In ogni caso rimarranno invisibili quelle galassie nascoste da polveri e quelle che sono talmente lontane da avere un redshift così alto da trasformare la loro luce visibile in radiazione infrarossa. I telescopi spaziali della prossima generazione, dotati della capacità di catturare anche la luce infrarossa, ci consentiranno di osservare l’universo come appariva quando la sua età era una piccola frazione dell’età attuale.