News originale in inglese: 1997-29 - Immagini e filmati

  

Bolle di gas nello spazio: l’eredità dell’esplosione di una nova

L’esplosione di una nova nella fase finale dell’evoluzione stellare è sempre stata vista come un fenomeno semplice e prevedibile. Gli astronomi potevano puntare un telescopio verso le più recenti esplosioni di stelle novae e vedere un guscio di gas che circonda ciascuna di esse. Gli scienziati dell’HST, comunque, sono rimasti sorpresi nello scoprire che alcune esplosioni di novae non producono un unico e uniforme guscio di gas, ma migliaia di bolle gassose, ciascuna delle quali è grande come il nostro sistema solare.
Questa nuova osservazione obbligherà gli astronomi a dover riscrivere la loro teoria sulle esplosioni di stelle novae. Secondo questa teoria infatti, l’intensità dell’esplosione dovrebbe essere uguale in tutte le direzioni e quindi le particelle di gas lanciate nello spazio dovrebbero uscire alla stessa velocità con la conseguente formazione di un unico guscio omogeneo e regolare.
 

La nova ricorrente T Pyxidis, che esplode all’incirca ogni venti anni, ha attratto l’attenzione di molti osservatori. L’immagine a sinistra, presa da un telescopio con base a terra, mostra gusci di gas attorno alla stella che sono stati soffiati fuori da numerose eruzioni. 

L’analisi ravvicinata dell’HST (immagine a destra) rivela che i gusci non sono lisci. Infatti, questa immagine ad alta risoluzione mostra che i gusci sono formati da più di 2000 bolle gassose raccolte all’interno di un’area del diametro di circa un anno luce. Questi noduli gassosi derivano dall’espansione dei gas successiva all’esplosione della nova, oppure in seguito alla collisione tra masse di gas a diversa velocità prodotte dal susseguirsi delle numerose eruzioni. 

A questa immagine sono stati applicati dei falsi colori per accentuare i dettagli. Si tratta di una composizione di più immagini prese il 26 febbraio 1994, il 16 giugno, il 7 ottobre e il 10 novembre del 1995, utilizzando il WF/PC2 (Wide Field and Planetary Camera 2). 

L’immagine di sinistra è stata presa il 19 gennaio 1995 dall’ European Southern Observatory’s New Technology Telescope di La Silla (Chile). 

Shara e i suoi colleghi hanno raccolto questa nuova informazione da quattro osservazioni prese dal WF/PC2 (Wide Field and Planetary Camera 2) dell’Hubble durante un periodo di 20 mesi, dal 1994 al 1995. I loro risultati apparvero nell’edizione di giugno dell’ Astronomical Journal. Gli scienziati scelsero T Pyxidis data la sua vicinanza alla Terra e la sua frequente attività esplosiva. T Pyxidis dista 6.000 anni-luce dalla Terra e si trova nella piccola costellazione meridionale della Bussola (Pyxis). Negli ultimi 110 anni, T Pyx è esplosa varie volte: nel 1890, 1902, 1920, 1944 e nel 1966. E’ da più di un decennio che Shara segue le tracce dei frammenti dell’esplosione della stella. I suoi studi spettrali con telescopi terrestri, risalenti al 1985, mostravano che il guscio, apparentemente liscio, si espandeva alla velocità di 350 chilometri al secondo. La sua recente osservazione con l’Hubble, comunque, rivelò con sorpresa che il materiale ha rallentato considerevolmente la sua corsa rispetto al 1985. Infatti i nodi di gas si spostano a meno di 40 Km/s. Sembra comunque una velocità notevole, ma in realtà è molto bassa, se si pensa che al momento dell’esplosione erano stati lanciati con una velocità 100 volte maggiore.

Le osservazioni con i telescopi con base a terra e con l’HST, hanno consentito a Shara di ricostruire una sequenza dell’esplosione di T Pyx. Quando la nova esplode, emette ondate di materiale gassoso che progressivamente diminuiscono di velocità: la prima ondata di gas vola nello spazio a 2.000-3.000 Km/s, mentre l’ultima viaggia tra i 200 e i 300 Km/s.

Dopo qualche settimana dall’eruzione, le prime ondate di particelle veloci collidono con il "materiale fossile" a bassa velocità che deriva dalle precedenti esplosioni, formando probabilmente i noduli di gas. Shara ha individuato, per esempio, del gas in rapido movimento proveniente dall’ultima esplosione (1966) che solca il materiale lento formatosi nell’esplosione del 1944. Quando le veloci e nuove masse gassose colpiscono il gas vecchio e lento, questo si surriscalda, diventa incandescente e rallenta la sua velocità fin quasi ad arrestarsi (questo spiega l’enorme differenza nella velocità dei materiali tra le osservazioni del 1985 e quelle del 1994-95).
Alla fine il gas incandescente perde la sua luminosità per il successivo raffreddamento. Si può immaginare lo scenario della collisione pensando ad una fornace attraverso la quale vengono sparate delle palle di cannone: queste si surriscaldano diventando incandescenti e poi si raffreddano affievolendo la loro luminosità. L’Hubble ha rilevato infatti le immagini di alcuni nodi luminosi che si affievoliscono nel corso di alcuni mesi.

Le bolle gassose sono distribuite in otto circoli concentrici attorno alla stella, producendo una struttura simile agli anelli di accrescimento degli alberi. Proprio come gli anelli di accrescimento forniscono ai botanici informazioni circa l’età dell’albero, i cerchi di pulviscolo attorno a T Pyxidis permettono agli astronomi di ricostruire la storia di questa prolifica stella nova.

Shara è convinto che quello che vediamo non è che la parte più interna e luminosa, e che probabilmente ci solo molti altri nodi gassosi più esterni, talmente deboli da non essere visibili nemmeno dall’HST. Fortunatamente T Pyxidis esploderà ancora e Shara ha programmato una serie di osservazioni con il telescopio spaziale da effettuarsi entro i primi giorni che seguiranno la prossima esplosione. Solo in questo modo sarà possibile osservare i nodi gassosi esterni perché verranno momentaneamente illuminati dall’intenso flash della nova. La mappa dei gas che si potrà ottenere in questo modo ci permetterà di capire se il ritmo esplosivo della stella è sempre stato regolare nelle ultime migliaia di anni, oppure se la frequenza della sua attività è ciclica. Il programma offrirà anche ulteriori indizi utili a capire come mai alcune novae non producono gusci gassosi visibili.

L’esplosione di una nova è estremamente potente: equivale a una esplosione di 100 miliardi di miliardi di tonnellate di dinamite. Tutta questa energia proviene da stelle di piccola massa nella loro fase finale, quando hanno esaurito l’idrogeno che è il loro combustibile nucleare. Queste stelle, chiamate nane bianche, risucchiano abbastanza idrogeno da stelle compagne fino ad innescare l’ulteriore reazione nucleare. Quando l’idrogeno si accumula sulla superficie della nana bianca, questa si surriscalda e aumenta la sua densità fino ad esplodere come una gigantesca bomba all’idrogeno; la sua intensità luminosa cresce di milioni di volte in un solo giorno. E’ stato proprio tale flash di luce a suggerire il nome di "nova" assegnato dagli astronomi a questo tipo di stelle che apparivano improvvisamente nel cielo.

Dopo l’esplosione, una nova comincia presto a indebolirsi in pochi giorni o in poche settimane perché l’idrogeno si esaurisce venendo anche soffiato via nello spazio.

Gran parte delle novae impiegano dai 10.000 ai 100.000 anni per raccogliere abbastanza idrogeno dalle loro compagne prima di innescare la reazione nucleare. T Pyxidis, invece, esplode diverse volte in un secolo. Questa nova possiede tale propensione ad esplodere perché la stella principale ha una massa molto elevata, al limite appena tollerabile per una nana bianca. Una nana bianca un poco più densa collasserebbe sotto la schiacciante forza di gravità trasformandosi in una stella a neutroni o in un buco nero. Data la sua grande massa, T Pyxidis necessita solo di un decimilionesimo dell’idrogeno della sua compagna (che è una piccola, debole e fredda nana rossa) per iniziare l’eruzione. Questo "furto" di idrogeno (di un quantità pari alla massa della Luna) può essere completato in una ventina d’anni, portando all’affascinante struttura svelataci ora dall’Hubble Space Telescope.

I membri del team di ricerca sono: Mike Shara, Robert Williams, Dave Zurek (Space Telescope Science Institute); Roberto Gilmozzi, (European Southern Observatory); e Dina Prialnik (Tel Aviv University).