News originale in inglese: 1994-41 - Immagini e filmati

  

Alla ricerca della materia oscura

La misteriosa materia oscura, qualunque cosa essa sia, non può essere costituita dalle stelle nane rosse: questa è la conclusione alla quale sono giunti, indipendentemente, i due team guidati da  Bahcall (Ohio State University) e Paresce (Space Telescope Science Institute) utilizzando il telescopio spaziale Hubble.

Determinare la natura e l’ammontare della materia oscura è un obiettivo fondamentale delle ricerche astrofisiche. Si ritiene infatti che il suo contributo gravitazionale sia determinante per le sorti dell’universo: se la sua massa complessiva non è abbastanza grande esso continuerà ad espandersi per sempre, viceversa un campo gravitazionale abbastanza intenso arresterà l’espansione e indurrà l’universo ad un collasso su se stesso.

Finora le piccole nane rosse erano considerate candidati ideali per la materia oscura ma le osservazioni di Bahcall e Paresce ribaltano decenni di congetture, teorie e osservazioni sulla massa tipica e sull’abbondanza nell’universo di questo tipo di stelle.

Vedi anche "La materia oscura".
 

Ricerca di stelle deboli nell’alone galattico


[Sinistra] Se la materia oscura fosse costituita prevalentemente di stelle nane rosse, in questa immagine Hubble ne dovrebbero apparire circa 38. I simboli gialli rappresentano una simulazione della frequenza di stelle nane rosse, basata sui calcoli teorici. I risultati sorprendenti delle osservazioni Hubble escludono la possibilità che la materia oscura sia costituita da questo tipo di stelle.
[Destra] La stessa immagine, questa volta senza modifiche, ci mostra che tra le stelle sono facilmente visibili le galassie molto più lontane. Si tratta di una regione di cielo al di fuori del piano della Via Lattea in direzione della costellazione dell’Eridanus. E’ stata scelta proprio questa regione per poter evidenziare eventuali stelle appartenenti all’alone galattico, escludendo il più possibile la presenza delle stelle del piano galattico.
L’immagine è stata costruita partendo da 7 riprese (3 ore complessive di esposizione) ottenute l’8 febbraio 1994 nel corso del programma di osservazione parallela dell’HST. Il campo ha un’ampiezza di 1,5 minuti d’arco. E’ stato utilizzata la
Wide Field Planetary Camera 2 con un filtro infrarosso (814 nanometri).

Credit: J Bahcall (Institute for Advance Study, Princeton), e NASA
 
 

Ricerca di stelle nane rosse nell’ammasso globulare NGC 6397


[Sinistra] Una piccola regione centrale dell’ammasso globulare NGC 6397 è stata ripresa dal telescopio spaziale Hubble per la ricerca di stelle nane rosse. Le stelle simulate (quadratini gialli) sono state aggiunte artificialmente per mostrare quello che gli astronomi avrebbero dovuto vedere secondo le aspettative teoriche. Secondo i calcoli, il campo dovrebbe infatti contenere circa 500 stelle.
[Destra] L’immagine, senza modifiche, mostra relativamente poche stelle rispetto a quelle che ci si aspetterebbe secondo la teoria della formazione stellare. L’HST risolve circa 200 stelle. La densità stellare è così bassa che il telescopio può letteralmente vedere attraverso l’ammasso e risolvere lontane galassie sullo sfondo.

Da questa osservazione gli scienziati hanno identificato una soglia di formazione stellare: in natura non si formano stelle se la loro massa è inferiore ad un quinto della massa solare.

L’ammasso globulare NGC 6397, uno dei più vicini e densi agglomerati di stelle, si trova a 7200 anni luce di distanza da noi nella costellazione meridionale dell’Ara. L’immagine è stata ripresa il 3 marzo 1994 con la Wide Field Planetary Camera 2 durante il programma di osservazione parallela.

Credit: F. Paresce, ST ScI, ESA, NASA
 

La regione dell’ammasso globulare NGC 6397


L’ammasso globulare NGC 6397 e, nel riquadro, l’area analizzata dalle osservazioni di Paresce.

Vedi anche "Gli ammassi globulari".

Credit: F. Paresce, ST ScI, ESA, NASA
 
 
 
 
 
 



Nella nostra galassia ci sono almeno tante stelle nane rosse quante sono tutte le altre messe assieme. Ci si dovrebbe aspettare che le stelle piccole siano molto più abbondanti di quelle più grandi, allo stesso modo in cui in una spiaggia sono più frequenti i ciottoli di piccole dimensioni rispetto alle pietre. Questo fatto ha condotto molti astronomi a credere che le stelle nane rosse visibili rappresentino soltanto la punta dell’iceberg e che la maggioranza di esse siano così deboli o lontane da trovarsi al di sotto dei limiti di rilevabilità da parte dei telescopi terrestri. Secondo la teoria dell’evoluzione stellare infatti è sufficiente che una stella abbia una massa pari all’8% del nostro Sole per essere in grado di innescare la fusione nucleare.

Durante gli ultimi due decenni i teorici avevano suggerito che le stelle più piccole, essendo anche le più abbondanti, potessero rappresentare la soluzione al problema della materia oscura. L’ipotesi era anche suffragata dalle osservazioni effettuate con telescopi terrestri le quali indicavano un’inattesa abbondanza di quelle che sembravano essere stelle nane rosse, al limite della soglia di visibilità. L’incertezza di queste osservazioni dipende dal fatto che le deboli nane rosse, pur essendo puntiformi, ci appaiono leggermente sfocate a causa della turbolenza atmosferica e possono risultare indistinguibili dalle più lontane galassie che, allo stesso modo, si presentano come oggetti dai contorni diffusi.

Bahcall e Gould, assieme ai colleghi Flynn e Kirhakos, sempre dell’Institute for Advanced Study di Princeton, hanno potuto utilizzare la Wide Field Planetari Camera 2 dell’Hubble puntandola su aree casuali di cielo mentre il telescopio era impegnato in osservazioni programmate con altri strumenti. La sensibilità dell’Hubble permette la rilevazione di stelle 100 volte più deboli di quelle visibili con i telescopi terrestri e la sua alta risoluzione consente di distinguere le stelle, che appaiono come punti di luce, rispetto alle galassie che invece si presentano come oggetti estesi.

Dall’analisi dei dati raccolti risulta che le piccole stelle rosse rappresentano non più del 6% della massa dell’alone galattico e non più del 15% della massa del disco. L’alone galattico è una vasta regione sferica che avvolge il disco a spirale della nostra Galassia.

Le osservazioni di Bahcall e Gould hanno coinciso con quelle di Paresce il quale ha perseguito la ricerca delle deboli stelle rosse dopo aver visto un’immagine Hubble della regione centrale dell’ammasso globulare NGC 6397. Egli rimase sorpreso dal fatto che il centro di un ammasso globulare fosse privo di stelle e che si potessero vedere attraverso di esso le lontanissime galassie retrostanti. Le simulazioni fatte al computer, basate sui modelli teorici comunemente accettati, prevedevano invece che il campo delle regioni centrali di questi ammassi avrebbe dovuto essere saturo di piccole stelle.

Paresce ha utilizzato il telescopio spaziale assieme a Guido De Marchi (STScI e Università di Firenze) e Martino Romaniello (Università di Pisa) per condurre il più completo studio fino ad ora mai realizzato dell’ammasso stellare. Con loro grande sorpresa, i risultati mostrano che le stelle con una massa pari ad un quinto di quella solare sono molto abbondanti (ci sono circa 100 stelle di questo tipo per ogni stella di dimensioni solari) mentre quelle di massa ancora minore sono molto rare. "Le stelle molto piccole semplicemente non esistono" ha affermato Paresce.

Una stella nasce in seguito al collasso gravitazionale di una nube interstellare di gas e polveri. La contrazione si arresta quando il gas diventa così denso e caldo da innescare la reazione nucleare di fusione: la stella comincia così a irradiare energia. Esiste però una massa limite, al di sotto della quale la materia è instabile e non riesce a formare la stella. Paresce considera comunque la possibilità che le stelle molto piccole si siano formate molto tempo fa ma che siano state espulse dagli ammassi stellari a causa delle interazioni gravitazionali con le altre stelle oppure in seguito al passaggio attraverso il piano della Galassia. Questo processo potrebbe essere caratteristico di tutti i 150 ammassi globulari che orbitano attorno alla nostra Via Lattea.
Se questo fosse vero le stelle espulse dovrebbero comunque essere rintracciate nell’alone, ma le osservazioni di Bahcall non confermano questa supposizione.



Le osservazioni effettuate dall’Hubble rappresentano l’ultimo contributo ad una serie di affascinanti ricerche che tentano di risolvere il mistero della "materia mancante". I modelli che descrivono l’origine dell’elio e degli altri elementi leggeri durante la nascita dell’universo (Big Bang) prevedono che esso sia costituito da meno del 5% di "normale" materia (neutroni e protoni). Ciò significa che più del 90% della massa dell’universo deve essere costituita da materia sconosciuta, che non emette radiazioni registrabili dagli attuali strumenti. I candidati più probabili per la materia oscura sembrano essere i buchi neri, le stelle a neutroni e una varietà di particelle elementari più o meno esotiche.

Durante gli ultimi anni gli astronomi hanno ottenuto una prova indiretta della presenza della materia oscura: sono stati trovati degli oggetti, denominati MACHO (MAssive Compact Halo Objects), che sono rilevabili soltanto quando si trovano casualmente allineati con delle stelle molto più lontane. Essi infatti producono degli effetti di lente gravitazionale sulla luce delle stelle retrostanti.

Le nuove scoperte dell’Hubble ci indicano che le deboli stelle rosse non sono abbastanza abbondanti da spiegare l’effetto di lente gravitazionale attribuibile agli oggetti MACHO. Bahcall avverte comunque che questo non esclude la presenza nell’alone di altri tipi di oggetti che potrebbero essere ancora più piccoli delle stelle nane rosse: le stelle nane brune, oggetti non sufficientemente massicci da innescare la fusione dell’idrogeno e produrre luce visibile.

Ulteriori prove della presenza di materia oscura nell’alone galattico si deducono dall’influenza gravitazionale che essa ha sui moti delle stelle appartenenti al disco della Via Lattea. Recentemente questa supposizione è stata supportata da osservazioni con strumenti terrestri eseguite da Peggy Sachett (Institute for Advanced Study) le quali ci mostrano una debole luminosità che circonda le galassie spirali più vicine a noi e che corrisponde alla forma che si prevede possa avere un alone galattico composto di materia oscura. Questa luminosità potrebbe derivare dalla materia oscura in sé oppure da stelle che ne evidenziano la presenza. La realtà dell’esistenza della materia oscura è stata dedotta anche dai moti delle galassie appartenenti ad ammassi, dalla proprietà dei gas ad alta temperatura localizzati negli ammassi di galassie e dallo studio dell’ammontare di elementi ed isotopi leggeri prodotti durante il Big Bang.

Il destino ultimo dell’universo sarà determinato dall’ammontare di materia oscura presente. Gli astronomi hanno calcolato che la quantità di materia visibile (pianeti, stelle e galassie) osservata nell’universo non può esercitare una sufficiente forza di attrazione gravitazionale da riuscire ad arrestare l’espansione iniziata con il Big Bang. In questo caso l’universo continuerebbe ad espandersi per sempre. Se invece la materia oscura esistesse davvero, la sua forza gravitazionale combinata con quella della materia visibile provocherebbe in un qualche momento l’arresto dell’espansione e poi un’inversione verso il collasso. Bahcall sottolinea che il problema della materia oscura è uno degli enigmi fondamentali della fisica e dell’astronomia e che i risultati delle sue osservazioni lo rimettono in gioco.