Salve, vorrei capire come si potrebbe immaginare un oceano di idrogeno ed elio liquidi presenti nei giganti gassosi, si ipotizza che il passaggio da gas a liquido sarebbe graduale senza un confine netto come i mari, laghi ed oceani terrestri. Non riesco ad immaginarlo un simile ambiente, grazie per l’attenzione dedicatami.

I pianeti giganti del Sistema Solare (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) sono dei corpi molto interessanti che si differenziano dai pianeti terrestri (Mercurio, Venere, Terra e Marte) non tanto per le maggiori dimensioni quanto per la loro composizione dominata da elementi leggeri, essenzialmente idrogeno ed elio. Non si tratta quindi di semplici copie ingrandite della Terra, né tantomeno di semplici sfere di gas, in quanto essi sono caratterizzati da una rilevante struttura interna.

Occorre ricordare che la composizione e la struttura interna di un pianeta gigante non sono direttamente misurabili e pertanto devono essere ricostruite, utilizzando modelli fisico-matematici, a partire da alcuni parametri globali, quali ad esempio massa, raggio, periodo di rotazione e grado di schiacciamento polare. Una volta costruito un possibile modello di interno planetario, esso deve essere tale da riprodurre al meglio i valori osservati dei parametri globali e la sua validità può essere valutata su questa base. Stante il fatto che diversi modelli possono riprodurre altrettanto bene i dati osservativi, la ricostruzione di un interno planetario non è univoca, anche a causa delle inevitabili incertezze osservative.

Per minimizzare quest’ultima causa di ambiguità,  è sicuramente opportuno rifarsi al caso di Giove che il pianeta gigante meglio conosciuto in quanto è stato visitato da ben sette sonde spaziali ed è l’unico ad essere stato oggetto di misurazioni atmosferiche dirette (composizione, pressione, temperatura, densità, velocità dei venti) da parte del modulo di discesa della sonda Galileo penetrato attraverso tutta l’atmosfera fin sotto la “superficie” nel dicembre 1995 (v. Figura 1). Occorre subito precisare che per convenzione si pone la “base dell’atmosfera”, e quindi la “superficie”, a quella distanza dal centro del pianeta dove la pressione atmosferica assume il valore di 1 bar. Al disotto della “superficie” inizia il cosiddetto interno planetario.

 

Figura 1: Schema della traiettoria seguita dal modulo di discesa rilasciato dalla sonda Galileo il 7 dicembre 1995 per studiare l’atmosfera gioviana. (Fonte: [1])
 

La probabile struttura globale di Giove è mostrata in Figura 2. Come si può osservare la maggior parte del pianeta è costituita da idrogeno ed elio, proprio come succede per il Sole. Per quanto riguarda l’atmosfera, che si estende per alcune centinaia di chilometri sopra la “superficie“, oltre all’idrogeno ed all’elio è presente acqua (che è però meno abbondante di quanto previsto dai modelli), ammoniaca ed idrosulfuro di ammonio; questi ultimi composti tossici e corrosivi formano uno strato di nubi molto spesse (v. Figura 1) che attenuano pesantemente la luce solare, facendo sì che il pianeta sia permanentemente buio, già da una quota ben superiore alla base dell’atmosfera (v. Appendice).

Figura 2: Probabile struttura interna del pianeta Giove (Fonte: [2])

Ad una profondità di circa 1000 km dalla sommità delle nubi, la pressione diventa sufficientemente alta da comprimere l’idrogeno e l’elio facendoli passare dallo stato gassoso a quello che in alcuni testi viene chiamato “liquido”. Non si tratta però di un liquido vero e proprio. In effetti, come si vede nella Figura 3 nel caso dell’idrogeno, quando la temperatura e la pressione sono superiori a quelle del cosiddetto punto critico (cosa che su Giove avviene appunto a 1000 km, o più, sotto il top delle nubi), allora non esiste una definita transizione tra la fase gassosa e fase liquida: piuttosto la sostanza assume uno stato (che prende tecnicamente il nome di fluido supercritico) in cui essa assume caratteristiche intermedie tra quelle di un liquido (cui è assimilabile a causa della relativamente alta densità) e quelle di un gas (con cui condivide le basse viscosità). Non essendoci una ben definita transizione di fase, all’interno di Giove, come giustamente riportato dal nostro lettore, non esiste un confine netto tra idrogeno gassoso ed idrogeno liquido; e lo stesso accade per l’elio. Non si può quindi parlare di “oceano di idrogeno liquido” sotto la “superficie”, anche se tale terminologia viene comunque adottata da qualche autore.


Figura 3: Diagramma di fase dell’idrogeno. Tale grafico permette di individuare la fase di equilibrio di una certa sostanza (nella fattispecie idrogeno) quando si trova ad una data pressione ed ad una data temperatura. Il punto triplo è quello dove le tre fasi (solida, liquida ed aeriforme) coesistono in equilibrio; il punto critico individua i valori di temperatura e pressione superati i quali la sostanza diventa un fluido supercritico (area evidenziata in giallo).

 

Scendendo più in profondità, a causa degli elevati valori di pressione e temperatura, le molecole di idrogeno innanzitutto si dissociano; poi, ancora più in basso, gli atomi, collidendo tra loro ad altissima velocità, perdono il loro unico elettrone. Si viene perciò a formare una miscela di protoni (nuclei di idrogeno), relativamente liberi di muoversi gli uni rispetto agli altri, circondati da un “mare” di elettroni,  dotati di mobilità anche maggiore rispetto ai protoni. Essendo liberi, questi elettroni si comportano come se fossero in un materiale metallico conduttore, da cui il nome di idrogeno metallico liquido che si dà a questo elemento nelle parti più profonde del pianeta. Secondo alcuni autori [2] tale regione inizia a circa 45000 km dal centro del pianeta (o alternativamente a 25000 km dalla “superficie”) dove temperatura e pressione valgono, rispettivamente, 11000 K e 3 milioni di bar; secondo altri [3] il limite è  intorno a 56000 km dal centro del pianeta dove temperatura e pressione assumono valori di 7000 K e 1.7 milioni di bar, rispettivamente.

Altra importante caratteristica dell’interno di Giove, prevista da vari modelli, è il suo denso nucleo centrale, probabilmente costituito da una parte più interna di ferro e nichel, circondata da uno strato più esterno di materiali rocciosi. Tutti questi materiali sono stati incorporati dal pianeta sia al momento della sua formazione (per coagulazione di planetesimi) che successivamente attraverso una serie di impatti con corpi di natura asteroidale. Se tale nucleo esiste, esso dovrebbe avere una massa compresa tra 5 e 20 masse terrestri, pari ad una percentuale tra il 2 ed il 6 per cento dell’intera massa di Giove. Al centro del pianeta i modelli prevedono temperature di 20000 – 30000 K con una pressione intorno ai 70 milioni di bar [2,3,4].

Dal momento che Giove nel corso della storia ha incorporato, sempre attraverso impatti, anche corpi di natura cometaria, ossia costituiti in buona parte da sostanze ghiacciate, c’è da chiedersi se di queste sostanze volatili c’è traccia macroscopica nell’interno del pianeta. A detta di alcuni planetologi la risposta è positiva: le sostanze in questione (in particolare ammoniaca e metano), essendo più pesanti dell’idrogeno e dell’elio, precipitano verso il nucleo sui cui formano uno strato dello spessore di 3000 km circa [4], che non compare in Figura 2. Dati gli elevati valori di pressione e temperatura, tali sostanze si troverebbero allo stato liquido, il che giustifica il nome di “ghiacci liquidi”, spesso utilizzato in letteratura.

Immediatamente al di sopra di questi “ghiacci liquidi”, secondo alcuni autori [2], potrebbe infine presente uno strato di elio “liquido” (più precisamente anch’esso allo stato di fluido supercritico) che, essendo immiscibile nell’idrogeno liquido metallico, “piove” verso il centro del pianeta.

Quanto ora descritto per Giove è estrapolabile, con le dovute differenze, agli altri pianeti giganti, la cui probabile struttura interna è mostrata nella Figura 4. Proprio a causa di tale struttura interna, sarebbe più opportuno parlare di questi corpi celesti (quantomeno di Giove e Saturno) in termini di pianeti giganti piuttosto che di “pianeti gassosi”, come talvolta riportato in letteratura; ciò proprio perché su questi pianeti  l’idrogeno e l’elio realmente allo stato gassoso sono componenti minoritari rispetto agli stessi elementi nello stato di fluido supercritico (su Giove, addirittura, i primi sono virtualmente assenti, essendo limitati, come abbiamo visto, ad una regione spessa solo un migliaio di chilometri che si trova sotto il top dello strato nuvoloso).

 

Figura 4: Struttura interna dei pianeti giganti del Sistema Solare. (Fonte: [5])
 

 

A proposito di terminologia, occorre riflettere sul frequente uso in questa risposta di termini tra virgolette; il loro utilizzo nasce dalla mancanza di appropriati termini del linguaggio comune, il che indica, a sua volta, l’incapacità della nostra esperienza quotidiana nel descrivere i processi che sono in atto negli interni planetari. Abituati come siamo a sostanze che, a temperatura e pressione ambiente, sono ben lontane dal punto critico (v. Tabella 1), come possiamo concepire un fluido di bassa viscosità con una densità di 2-3 g cm-3, tipica addirittura delle rocce? E che dire dell’involucro di “ghiacci liquidi” a 20000 K probabilmente presente intorno al nucleo centrale?
 

Tabella 1: Temperatura e pressione del punto critico di diverse sostanze. (Fonte: [6])


 

E’ ovvio, quindi, che il lettore non riesca ad immaginare un ambiente perennemente buio, gelido in superficie (dove è anche tossico e corrosivo) ma caldissimo in profondità, che appare tanto lontano ed alieno rispetto alla nostra realtà quotidiana. L’esperto, in questi casi, non può essere molto utile. Anche gli stessi addetti ai lavori talvolta non sono in grado di immaginare nei dettagli quanto previsto dai loro modelli. Dopo tutto la scienza, ed in particolare la fisica, è piena di fenomeni che, non solo sono difficili da immaginare, ma che risultano addirittura controintuitivi (si pensi alla dualità onda-corpuscolo della materia e della radiazione, all’invarianza della velocità di un fascio i fotoni misurata da due osservatori che si muovono entrambi nella stessa direzione del fascio, ma in versi opposti, e così via).
Bisogna quindi accettare questa nostra incapacità e convincerci che il problema deriva semplicemente da una nostra completa “mancanza di esperienza”!
 

Appendice
Penetrazione della luce solare nell’atmosfera gioviana.

In mare sul nostro pianeta, il flusso della luce solare a mezzogiorno, pari ad F0 in superficie, assume un valore FL = 0.01 F0 a circa 100 m di profondità, quota alla quale viene usualmente riportata una virtuale mancanza di luce percepibile dall’occhio umano [7].
Su Giove, sempre a mezzogiorno il flusso F0’ della luce solare alla sommità dell’atmosfera risulta ridotto rispetto ad F0 di 1/25, a causa della maggiore distanza dal Sole. Assumendo, in accordo con Sromovsky e colleghi [8], che le nubi di ammoniaca abbiano uno spessore ottico  τ = 2.0 (per la definizione di spessore ottico, vedi quest’altra risposta), per la legge di Beer-Lambert, alla base delle nubi stesse si può ricavare un flusso solare:    

F = F0’ e –2.0 = (0.13/25)F0 = 0.005 F0.

Tale risultato è in accordo con le misure del radiometro a bordo del modulo di discesa della Galileo, che ha appunto rilevato un drastico calo dell’illuminazione solare ad una quota di poche centinaia di chilometri dall’inizio della discesa, corrispondente ad una pressione atmosferica di 0.6 bar [1].
Si può quindi concludere che sotto tale quota la luce solare risulta tanto attenuata da poter parlare di ambiente praticamente buio.
Vero è che di tanto in tanto l’atmosfera gioviana è temporaneamente illuminata da fulmini, ma tali fulmini sono molto meno frequenti di quanto ritenuto prima della missione Galileo (si parla di 4 fulmini che cadono in un anno su una “superficie” di 1000 km2, contro i 6000 che cadono sulla Terra a parità di tempo e superficie [9]).

 

Bibliografia
[1]: Articolo on-line al sito http://www.lpi.usra.edu/publications/newsletters/lpib/lpib78/gal_78.html.
[2]: Morrison D., Samz, J.: 1980, “Voyage to Jupiter”, NASA SP-439, Washington, USA.
[3]: de Pater I., Lissauer J.J. : 2010, Planetary Sciences, Cambridge University Press, Cambridge, UK.
[4]: Benge R.D. Jr.: 2010, in “The Solar System”, Dawson D.P. editor, pp. 331-334, Salem Press, Pasadena, USA.
[5]: Articolo on-line al sito http://fas.org/irp/imint/docs/rst/Sect19/Sect19_14.html.
[6]: Articolo on-line al sito http://it.wikipedia.org/wiki/Temperatura_critica.
[7]: Articolo on-line al sito http://www.biologiamarina.eu/Luce_in%20_acqua.html.
[8]: Sromovsky L.A., et al.: 1998, Journal of Geophysical Research, vol. 103, pp. 22929-22978
[9]: Vasavada A.R., Showman A.P.: 2005, Reports on Progress in Physics, vol. 68, pp.1935-1996