Come mai le dense nubi temporalesche sono nere, mentre le altre appaiono bianche?

Figura 1
Figura 1: Nubi bianche e nubi oscure in una giornata
dal tempo instabile.

Le nubi sono costituite da particelle d’acqua (spesso sotto forma di goccioline ma talvolta anche di piccoli cristalli di ghiaccio) dal diametro dell’ordine di qualche decina di micron; stante la loro piccolezza, esse, in aria calma, cadono con velocità molto bassa (qualche cm/s) e basta un lieve moto ascensionale dell’aria per farle salire. Come tutti sappiamo, i densi nuvoloni temporaleschi appaiono molto scuri, al contrario delle nubi ordinarie che, essendo meno dense e spesse, risultano bianche (v. figura 1). Il motivo di queste differenze è spiegato dalla teoria di Mie, una teoria che ha notevoli applicazioni in meteorologia (ad esempio nello studio delle nubi e dell’aerosol) ed in astrofisica (nello studio delle nebulose, delle comete, ecc.). Tale teoria tratta l’interazione tra la radiazione ed una particella sferica (liquida o solida) di dimensioni qualsiasi presente in un mezzo trasparente (“matrice”), quale può essere in genere il vuoto o l’aria. Risultato di questa interazione è sempre una “estinzione” (ossia un indebolimento dell’intensità) della radiazione stessa. All’estinzione contribuiscono due processi: l’ ”assorbimento” (che comporta una trasformazione dell’energia radiante in energia interna della particella) e lo “scattering”, o “diffusione”, che consiste in un allontanamento della radiazione dalla direzione di arrivo e che, pur non comportando perdite di energia radiante all’interno della particella, provoca comunque una diminuzione dell’intensità del fascio incidente, a causa del suo sparpagliamento in tutte le direzioni. Lo scattering, a sua volta, è dovuto sia ai processi di riflessione e rifrazione (studiati dall’ottica geometrica) sia alla diffrazione (studiata dall’ottica fisica).

Nell’ambito della teoria di Mie, ogni materiale è caratterizzato dal cosiddetto “indice di rifrazione complesso”, definito come:

m = n + i k ,

dove n è l’indice di rifrazione ordinario (dato dal rapporto tra la velocità della luce nel vuoto e quella nel materiale considerato), e k è il cosiddetto “coefficiente di assorbimento”. Il primo regola lo scattering, mentre il secondo regola appunto l’assorbimento. Evidentemente per un materiale trasparente, come ad esempio la matrice, k = 0.

Una volta noti l’indice di rifrazione complesso ed il raggio a della particella, attraverso la soluzione delle equazioni di Maxwell con opportune condizioni al contorno sulla superficie della particella, la teoria di Mie è in grado di fornire il “fattore di efficienza di estinzione” (Qe), insieme con quelli relativi all’assorbimento (Qa) e allo scattering (Qs), nonché la “funzione di scattering” S(ϑ), che dà la frazione di energia incidente che viene diffusa ad un certo angolo ϑ rispetto alla direzione di incidenza. La soluzione del problema è tutt’altro che banale: essa fu ottenuta per la prima volta da G. Mie nel 1908 [1] e poco dopo, indipendentemente, da P. Debye nel 1909 [2]. In tempi relativamente più recenti tali problematiche sono state affrontate in due classici lavori di H.C. Van de Hulst [3] e di C.F. Bohren e D.R. Huffman [4].

La teoria di Mie include sia il ben noto “scattering di Rayleigh” [5] (che vale per particelle piccole rispetto alla lunghezza d’onda λ della radiazione incidente), sia lo “scattering geometrico” (che vale per particelle grandi rispetto a λ). In tale contesto gioca un ruolo determinante il cosiddetto”parametro di Mie”  x = 2πa/ λ: si ha lo scattering di Rayleigh quando x << 1, diciamo  x ≤ 0.3; nel caso della radiazione visibile (luce), in cui λ ≈ 0.5 μm, ciò implica a ≤ 0.02 μm. In tal caso lo scattering è in buona approssimazione isotropo, a parte un minimo, relativamente poco pronunciato, in direzione ortogonale a quella di incidenza (v. figura 2), ed inoltre presenta una forte dipendenza dalla lunghezza d’onda (dalla teoria si ricava infatti un fattore d’efficienza di scattering  Qs ∝ λ – 4 ).

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Figura 2: Diagramma angolare della funzione di scattering per particelle piccole rispetto alla lunghezza d’onda. La luce incidente proviene da sinistra. L’intensità della radiazione diffusa in una data direzione è proporzionale alla lunghezza del segmento che congiunge, in quella direzione, la curva al punto centrale (dove è posta la particella).

 

Mano a mano che si considerano particelle di dimensioni maggiori, la funzione di scattering, per effetto della diffrazione, diventa sempre più concentrata in un lobo molto stretto attorno alla direzione di incidenza. Quando il parametro di Mie supera l'unità, la funzione di scattering inizia a sviluppare picchi secondari che si aggiungono al massimo presente intorno a ϑ  = 0°. Quando x  ≈ 10 si sviluppa una struttura ancor più fine e complessa. La figura 3  illustra quanto appena descritto.

 

Figura 3: Diagramma angolare della funzione di scattering per λ ≈ 0.5 m relativa a tre particelle di dimensioni crescenti da sinistra a destra (0.1 μm, 0.6 μm, 1.2 μm). La luce incidente proviene dal basso. La luce diffusa in direzioni vicine a quella di incidenza è dovuta in gran parte alla diffrazione.

 

Le figure 4, 5 e 6 mostrano invece l’andamento, in funzione del parametro di Mie, dei fattori di efficienza per vari valori della parte reale (n) dell’indice di rifrazione complesso (m), nei tre casi di assorbimento, rispettivamente, alto, moderato e nullo. Si vede che l’assorbimento diventa importante per sfere grandi, in quanto la propagazione al loro interno è impedita. Da tali figure (specialmente dalla prima, dove le fluttuazioni dovute allo scattering risultano smorzate) si nota che i valori dell’efficienza di estinzione tendono al valore 2 per parametri di Mie grandi (corpi molto più grandi della lunghezza d’onda). In tale limite, devono valere le leggi dell’ottica geometrica. E’ curioso notare che, anche in tale limite, il valore della sezione d’urto di estinzione non è quella puramente geometrica (che corrisponderebbe al valore Qe = 1, cioè la sezione d’urto sarebbe pari a quella geometrica). Dalle figure 4–6 si nota anche una proprietà fondamentale dello scattering geometrico, che sarà sfruttata nel prosieguo: per x >> 1 (diciamo x > 100) il fattore di efficienza di scattering risulta praticamente indipendente dalla lunghezza d’onda; in altre parole le varie componenti dello spettro elettromagnetico (i vari colori nel caso dello spettro visibile) vengono diffusi con efficienza grosso modo uguale, ossia, come si suol dire, lo scattering è neutro.

Figura 4: Andamento in funzione del parametro di Mie dei fattori di efficienza per vari valori della parte reale dell’indice di rifrazione complesso. La curva continua mostra il fattore di efficienza di estinzione Qe, quella punteggiata il fattore di efficienza di scattering, Qs mentre quella tratteggiata il fattore di efficienza di assorbimento Qa. La parte immaginaria di m è fissata a  k = 0.3 (assorbimento molto alto). Si noti che, per definizione, Qe = Qa + Qs. Grafico MATLAB ottenuto da Federico Angelini.
 

Figura 5: Idem come in Figura 3, ma per k = 0.005 (assorbimento moderato).

 

Figura 6: Idem come nelle figure precedenti, ma per k = 0 (assorbimento nullo).

Tutto ciò vale per una singola particella. Per capire cosa succede quando sono in gioco molte particelle, consideriamo il caso in cui nella matrice, che si presenta sotto forma di uno strato trasparente di spessore d, sono distribuite delle particelle sferiche, tutte di raggio a. Per quanto riguarda la radiazione diffusa, l'effetto integrato di tale distribuzione di particelle, assumendo che avvenga una sola interazione tra radiazione e particella (“scattering singolo”), consiste nella somma dei contributi delle varie particelle. La funzione di scattering per questa distribuzione si ottiene dalla somma delle funzioni di scattering delle singole particelle, ammesso che il loro numero sia elevato e la loro distribuzione sia completamente casuale.

Quando la diffusione è prodotta da una mistura di particelle con dimensioni diverse, la funzione di scattering globale mostra minori irregolarità rispetto a quella prodotta da una distribuzione monodimensionale, perché i massimi ed i minimi sono smorzati dalla varietà di particelle esistenti, che si comportano ognuna in modo leggermente diverso dall'altra. Se le particelle sono fortemente asferiche o irregolari ci possono essere altri minimi e massimi ma, di nuovo, se le particelle hanno forme diverse le irregolarità tendono a smorzarsi.
Nel caso di una distribuzione molto densa di particelle, la radiazione diffusa nel primo evento di scattering non abbandona subito lo strato ma subisce più di un’interazione con altre particelle prima di abbandonarlo (“scattering multiplo”). In tal caso la teoria di Mie da sola non basta e per la risoluzione del problema del trasporto della radiazione nello strato bisogna adottare procedure statistiche (molto spesso di calcolo numerico) come per esempio il metodo di Monte Carlo.

Ovviamente sia nel caso di scattering singolo che multiplo, nella direzione di incidenza, oltre al contributo della radiazione diffusa, esiste quello della radiazione incidente non estinta. Per valutare quest’ultima un altro importante parametro adimensionale deve essere considerato e cioè lo “spessore ottico” dello strato particolato, definito come:

τ = N a2 Qe d

(dove N è il numero di particelle per unità di volume).
L’importanza dello spessore ottico deriva dal fatto che esso determina l’entità dell’estinzione della radiazione da parte di un mezzo contenente particelle solide o liquide, tramite la nota “legge di Beer-Lambert”:

= I0  eτ,

dove I0 è l’intensità della radiazione incidente, mentre I è quella della radiazione emergente (trascurando, ovviamente, il contributo dello scattering in avanti). Occorre sottolineare che la direzione di incidenza è la sola direzione in cui si hanno i due contributi della radiazione emergente e di quella diffusa dalla strato; in tutte le altre direzioni c’è solo radiazione diffusa.

Ciò premesso, bisogna osservare che, a causa delle loro dimensione, le particelle d’acqua che costituiscono le nubi sono caratterizzate nel visibile da un parametro di Mie x > 100; quindi, per quanto sopra discusso, esse diffondono tutti i colori nella stessa misura e la nube risulta di colore neutro, dal grigio più o meno scuro al bianco, a seconda dello spessore ottico τ. Per le nubi ordinarie risulta τ << 1 (da cui I ≈ I0) e pertanto gran parte della radiazione attraversa indisturbata la nube che quindi appare bianca. Quando, però, le nubi sono molto dense e/o molto spesse (come nel caso dei nuvoloni temporaleschi), allora può risultare  τ >> 1. Ciò ha come conseguenza che una cospicua frazione della radiazione che attraversa la nube viene estinta (ossia I << I0) e la nube appare grigio scura. Siccome lo spessore ottico dipende dalla direzione della linea di vista, può accadere che una stessa nube possa apparire scura o chiara, a seconda della geometria di osservazione.

Simili argomentazioni spiegano perché anche la nebbia appare grigio chiara e perché il cielo è blu. La nebbia, infatti, è costituita da goccioline d’acqua di diametro dell’ordine di qualche micron; sebbene queste particelle siano caratterizzate nel visibile da valori del parametro di Mie compresi tra 10 e 100 (per cui, prese singolarmente, non sarebbero rigorosamente in regime di scattering ottico), il fatto di non avere tutte lo stesso diametro, le rende globalmente dei diffusori neutri. Il motivo è identico a quello, prima discusso, per cui la funzione di scattering di una mistura di particelle di varie dimensioni non presenta tutti i picchi secondari mostrati invece dalle funzioni di scattering delle singole particelle. Infatti, la distribuzione di dimensioni fa si che le fluttuazioni del fattore di efficienza di scattering che si osservano per questi valori di x nelle figure 4–6 si smorzino quando si effettua una media su tutte le dimensioni.
Nel caso del cielo, invece, lo scattering è dovuto alle molecole dei gas atmosferici per le quali sicuramente  a < 0.02 μm e quindi si ha che Qs ∝ λ  4 da cui risulta che la radiazione blu è diffusa molto più efficacemente rispetto a quella rossa, dando luogo al tipico colore blu del cielo [5].

Come abbiamo visto, la teoria di Mie tratta l’estinzione della radiazione (sia scattering che assorbimento) che attraversa una matrice trasparente in cui è presente un corpo sferico caratterizzato da un qualsiasi valore del coefficiente d’assorbimento k e quindi vale nel caso particolare di una bolla d’aria o altro gas (k ≈ 0) presente in un liquido trasparente. Ovviamente, a parità di dimensioni,  i dettagli del processo di scattering prodotto da una bolla in un liquido sono diversi rispetto al caso di una goccia d’acqua nell’aria (in quanto cambia sia la matrice che il materiale contenuto nella sfera), ma il quadro generale rimane identico: lo scattering è sempre regolato dalla teoria di Mie. In particolare, se risulta x > 100, allora lo scattering è concentrato in avanti ed ha una trascurabile dipendenza da λ. Ciò spiega perché l' acqua appare trasparente quando è in quiete, mentre, quando zampilla in una fontana o si infrange contro uno scoglio, appare bianca. La differenza nei due casi risiede proprio nella presenza di schiuma, ossia di bolle d’aria grandi rispetto a λ, che si comportano come centri di diffusione dando luogo a scattering multiplo. Per lo stesso motivo si riesce a vedere attraverso una bottiglia di birra, se questa non viene agitata; in caso contrario la schiuma presente nella bottiglia rende il liquido opaco. In tal caso infatti si sprigionano bolle di anidride carbonica che si comportano come nel caso delle bolle d’aria nell’acqua. In realtà la schiuma di qualunque liquido è sempre bianca e opaca.

Ringraziamenti
Un caloroso ringraziamento va a Federico Angelini per i suoi contributi, sia in termini di grafici che di brani di testo, che hanno notevolmente migliorato il documento originale.

Bibliografia
[1] Mie G., Ann. Physics 25, 377 (1908)
[2] Debye P., Ann. Physics 30, 57 (1909)
[3] van de Hulst H.C., Light Scattering by Small Particles, Dover Publ., New York (1957).
[4] Bohren C.F., Huffman D.R., Absorption and Scattering of Light by Small Particles, Wiley, New York (1983).
[5] Rayleigh L, Strutt JW., Phil Mag 47, 375 (1909).