In fisica quantistica esistono velocità infinite, infatti se produco una coppia di particelle e le distanzio, misurando ad esempio lo spin di una faccio diventare istantaneamente l’altra di spin opposto. Qual è la distinzione tra queste velocità e quelle reali? è possibile in qualche modo sfruttare questo fenomeno per viaggi superluminari?

La meccanica quantistica
è fondata su due principi basilari: il principio di
indeterminazione
ed il principio di sovrapposizione. In base al
primo essa non predice il risultato specifico di una singola misurazione,
predice invece vari esiti diversi possibili e ci dice quanto probabile sia
ciascuno di essi. La meccanica quantistica introduce un elemento
ineliminabile di impredicibilità o di casualità nella fisica.  Il
principio di sovrapposizione afferma che la somma vettoriale di due stati
(lo stato quantistico definisce tutte le grandezze che caratterizzano un
sistema fisico, entro il limite del principio di indeterminazione) è
ancora uno stato possibile, cosa assolutamente non vera in meccanica
classica.

Questi due concetti
fondamentali dimostrano quanto è profondo il divario tra la fisica
quantistica e l’intuizione comune legato alla fisica classica. Se lo stato
quantistico di un sistema è la descrizione più completa che si può dare
del sistema stesso, allora una grandezza che possieda un valore indefinito
in quello stato quantico è oggettivamente indefinita e non “sconosciuta”
per l’osservatore.

La fisica dei quanti ha
poi implicazioni ancora più sorprendenti quando descrive un sistema
costituito da due parti correlate. La misurazione delle proprietà di una
particella pare influire istantaneamente sul risultato di una misurazione
eseguita su un’altra particella, anche se è posta molto lontano dalla
prima.

La meccanica quantistica
ha tre fondamentali qualità.

1)      È controintuitiva.
È molto diversa dal mondo macroscopico della fisica classica che
percepiamo ogni giorno. La dualità onda-particella, la presenza di
quantità discrete e non continue, l’effetto tunnel, il comportamento della
luce di fronte ad una doppia fessura, sono tutti aspetti che hanno portato
a sviluppare un nuova intuizione fisica, molto lontana dal cosiddetto
senso comune.

2)      Funziona. L’atomo è stato
compreso. In base al principio di esclusione di Pauli, le proprietà
chimiche della materia sono state chiarite. La teoria quantistica dello
stato solido e lo sviluppo dei semiconduttori, hanno portato alla bomba
atomica, alla microelettronica ed ai computer. I moderni acceleratori di
particelle funzionano in base alla meccanica quantistica. In astrofisica i
processi nucleari e stellari producono oggetti esotici come  le nane
bianche o le stelle di neutroni, che sono descrivibili solo con la
meccanica quantistica. La teoria quantistica è diventata uno strumento
indispensabile.

3)      Ha aspetti problematici. Lo
stato quantico è descritto attraverso la funzione d’onda psi.gif (855 byte) (che descrive
un’onda di probabilità a priori di presenza), ma non si è sicuri su quello
che essa veramente rappresenti. Probabilmente la teoria quantistica è
incompleta, inoltre esiste una certa ambiguità nella definizione di processo
di misura. Non esiste infatti una frontiera netta tra ciò che costituisce
l’osservatore e ciò che costituisce il resto del sistema. La mente umana
probabilmente sfugge ad una descrizione con il formalismo quantistico.

Tenendo in conto queste
notevoli qualità della teoria quantistica attuale possiamo esaminare ora
più in dettaglio il paradosso enunciato nella domanda.

Nel 1935, Albert
Einstein, che manifestò sempre dubbi sulla completezza della teoria
quantistica, pubblicò, insieme a due collaboratori, un articolo nel quale
si mise in luce, con un esperimento mentale, ideale, il paradosso
Einstein-Podolsky-Rosen
(EPR). Anche se esso non fece crollare la
meccanica quantistica, pose un dubbio, che rimane tuttora,  sul
carattere completo di tale teoria.

Si può considerare un
sistema formato da due quanti, da due particelle (ad esempio fotoni),
che abbiano appena interagito e si siano poi separati. In base al principio
di sovrapposizione, questo sistema può essere considerato un unico stato
, nel quale vi siano quantità
uguali dello stato di polarizzazione orizzontale e di quella verticale.
Per fotoni che hanno spin 1 e sono bosoni (non obbediscono al principio
di esclusione), è intuitivo definire una polarizzazione orizzontale o
verticale considerando l’analogia del fotone con l’onda elettromagnetica.
Per gli elettroni che hanno spin 1/2, e sono fermioni (obbediscono al
principio di esclusione), due polarizzazioni distinte corrispondono agli
stati up e down, spin “destrorso” e spin “sinistrorso”.
Lo stato formato dai due quanti viene descritto da una unica funzione
d’onda   che esprime certe relazioni di conservazione. Ne consegue
che essendo le quantità correlate perché definite dallo stesso stato,
se si misura la velocità o la polarizzazione di un quanto, si conosce
immediatamente anche la velocità o polarizzazione dell’altro, indipendentemente
dalla distanza spaziale delle due particelle. Ad esempio, obbedendo al
principio di esclusione, se si misura lo spin up per un fermione, il secondo
risulterà per forza avere spin down.

Come detto sopra la meccanica
quantistica ci dice che prima della misurazione, la velocità e la polarizzazione
sono oggettivamente indeterminate, ed è solo la misura effettuata sul
primo quanto a concretizzare simultaneamente le velocità o polarizzazioni
di entrambi. Lo stato è indeterminato. Finché non osservo lo stato dinamico
descritto dalla esso evolve deterministicamente secondo l’equazione d’onda di
Schrödinger. Quando si va con l’apparecchiatura sperimentale (che è un
apparato macroscopico e quindi descrivibile con la fisica classica) a
misurare una proprietà del sistema (solo durante l’atto della misura posso
dire di stare facendo della fisica), lo stato quantico collassa
in un autostato in cui la grandezza, l’osservabile fisico, ha un certo
determinato valore, e la misura da come risultato un ben definito e classicissimo
numero. Il principio di continuità fisica di Dirac chiarisce cosa si intende
per collasso di uno stato generico in un autostato  : “ripetendo subito la misura di un osservabile,
si ottiene ancora lo stesso valore, dato che ormai lo stato è collassato
nell’autostato “. Se non si avesse questa continuità temporale
non si potrebbe neanche fare della fisica, sarebbe il puro caos, invece
una misura costringe sempre uno stato a collassare in uno degli autostati
possibili, (si dice anche riduzione del pacchetto d’onda del quanto).

Se la meccanica
quantistica afferma questo, significa che la seconda particella, avendo
inizialmente polarizzazione (o spin) indefinita, sa istantaneamente
all’atto della misura sull’altra, che valore della polarizzazione (o spin)
deve assumere, anche se essa si trova ad una distanza molto grande dal
punto in cui viene effettuata la prima misura. La misura fissa
istantaneamente il valore della polarizzazione di entrambi i quanti. La
seconda particella “sa” che polarizzazione deve avere all’istante esatto
in cui viene misurata la polarizzazione della sua lontana compagna, anche
se nessuna delle due ha un sistema per informare l’altra del suo
comportamento. La meccanica quantistica sfida quindi il concetto
relativistico di località, in base al quale un evento non può avere
effetti che si propaghino più velocemente della luce. L’esperimento ideale
implicherebbe una azione a distanza “istantanea e fantasma”, ed una
velocità dell’informazione infinita.

Questo non significa che
la meccanica quantistica preveda un modo per far viaggiare le informazioni
fisiche più veloci della luce, ma significa che la teoria quantistica
manca di qualche parte essenziale. Proprio in base a questo paradosso
Einstein ed i suoi collaboratori, cercarono di falsificare la descrizione
dello stato quantico enunciata  precedentemente; le particelle
avrebbero polarizzazioni definite già prima della misura , e sarebbero
determinate da variabili supplementari, le cosiddette variabili
nascoste
, che la fisica dei quanti non prende in considerazione.
Diversi fisici hanno affermano che lo stato quantico non è una descrizione
completa di un sistema. Lo stato quantico si limiterebbe a descrivere un
insieme di sistemi predisposti in maniera uniforme, cosa che spiega come
mai si possono fare previsioni accurate sulla statistica dei risultati di
una osservazione condotta su tutti le componenti di tale insieme. Le
proprietà dei singoli sistemi non specificate sono le variabili nascoste.
Non esisterebbe allora una indeterminazione oggettiva, ma solo la mancanza
di conoscenza dei valori di tali variabili nascoste che caratterizzano il
sistema. La fisica classica vincerebbe in tal modo anche nel mondo
microscopico.

 Il dibattito tra
fisica classica e quantistica segnò però la vittoria di quest’ultima con
l’esperimento di Alain Aspect  dell’istituto di ottica
dell’università di Parigi. L’esperimento conclusosi nel 1982 e che ha
richiesto 8 anni di lavoro, è stata la prima applicazione rigorosa e
irrefutabile del Teorema di Bell (un test messo a punto dal fisico
irlandese John Bell nel 1964). Tale teorema è basato su una ineguaglianza
che permetteva di passare dalla discussione teorica alla sperimentazione e
quindi finalmente di scegliere tra fisica classica e quantistica. Senza
accennare a tale esperimento, per motivi di sintesi,  dico solo che
la fisica quantistica prevede che questa ineguaglianza possa essere
violata in certe condizioni sperimentali. Fu quello che accadde nel 1982,
si eliminarono tutte le influenze possibili degli strumenti di misura fra
loro o sulla fonte dei fotoni utilizzati, ma l’ineguaglianza di Bell fu
violata, e le predizioni della fisica quantistica sono state verificate.
Lo stato quantico è in modo intrinseco indeterminato prima di essere
misurato.

Se i modelli a variabili
nascoste locali hanno perso, e la teoria quantistica come è enunciata oggi
sembra così solida, significa che torna in favore l’ipotesi di velocità
maggiori della luce, per quanto riguarda gli esperimenti di tipo
EPR?

Il problema può essere
come prima analizzato partendo da un ampliamento dell’interpretazione
della fisica quantistica e del problema della misura. Dal punto di vista
filosofico due interpretazioni della fisica quantistica si oppongono
strenuamente: l’interpretazione idealistica (reale è solo il
pensiero, spinta all’estremo questa visione affermerebbe che senza
l’osservatore il mondo reale non esisterebbe, è il solipsismo), e
l’interpretazione materialistica (reali sono solo le cose, la mente
non ha alcuna importanza).

Secondo
l’interpretazione idealistica al momento in cui un’impressione entra nella
nostra coscienza, essa altera la funzione d’onda che descrive lo stato
quantico, perché modifica la nostra valutazione delle probabilità, per
quanto riguarda le altre impressioni che ci aspettiamo di ricevere in
futuro. La coscienza umana entra in modo inevitabile e inalterabile nella
teoria. La riduzione del pacchetto d’onda, il collasso dello stato
quantico, avviene solo nel momento in cui avviene la presa di
coscienza  dell’osservazione.

Secondo la più votata
interpretazione materialistica il mondo subatomico, il mondo dei
elettroni, delle particelle e tutto il resto, esistono tranquillamente
anche se noi non lo osserviamo, e si comporta esattamente come ci dice la
fisica quantistica. A livello quantistico la realtà fisica non può essere
definita in termini classici come si era tentato di fare con l’esperimento
EPR. La realtà è quantistica, non classica, e deve fornire una spiegazione
plausibile dell’apparenza classica. L’esperienza comune nel mondo classico
è quindi solo una piccola parte di ciò che è la realtà. In questi termini
la riduzione del pacchetto d’onda si spiega come dovuta all’equazione di
Schrödinger dell’insieme “quanto + strumento di misura”, la quale genera
una evoluzione molto veloce che lascia spazio a una sola delle possibilità
contenute nella funzione d’onda. Inoltre può essere lo strumento stesso ad
operare la riduzione, il collasso nell’autostato, poiché il carattere
macroscopico dello strumento favorirebbe la scomparsa degli effetti
propriamente quantistici.

La fisica essendo una
scienza è pragmatica, è una via di mezzo tra le due visioni. Noi abbiamo
delle sensazioni e facciamo delle osservazioni, poi costruiamo delle leggi
ed esperimenti che le verifichino. Non diciamo che tali leggi fisiche
siano la verità, ma solo che spiegano le nostre sensazioni.

Detto questo possiamo
tornare ai nostri due quanti. L’esperimento di Aspect ha eliminato
l’ipotesi di variabili nascoste locali, ed ha segnato la vittoria della
meccanica quantistica. Due sistemi quantistici che abbiano interagito sono
descritti da un’unica funzione d’onda, quale che sia il loro ulteriore
allontanamento reciproco. Questo implica due visioni possibili.

Una è la
non-località. Sono nuove teorie a variabili nascoste stavolta non
locali (esse sono distanti dalla fisica classica quasi quanto la fisica
quantistica, specialmente nella loro generalizzazione  probabilistica
rappresentata dalle “teorie stocastiche”). Queste teorie hanno una
matematica più intricata di quella della teoria dei quanti e
giungono  a risultati meno efficaci e sovente a frequenti
contraddizioni tra loro. Ma questo non significa che una loro future
evoluzione non porti a risultati teorici molto convincenti. Ad esempio la
teoria di David Bohm del 1951 afferma che, oltre ai campi di forza
riconosciuti dalla fisica classica e dalla fisica quantistica, esiste
nello spazio anche un “potenziale quantistico” che non trasporta energia e
non è rilevabile sperimentalmente. Le particelle ne subiscono gli effetti
e se ne servono per comunicare tra loro. Le due particelle che si
allontanano sono legate in permanenza da questo potenziale. La misura
effettuata su una di queste modifica istantaneamente il potenziale subito
dall’altra: da ciò deriverebbe la correlazione osservata fra i risultati
delle due misure. Una versione più convincente di questa teoria chiama in
gioco elementi provenienti dalle teorie stocastiche. Si tratta di teorie
in grado di descrivere evoluzioni probabilistiche nel tempo. Il vuoto
sarebbe in realtà pieno di una miriade di piccoli corpuscoli sub-quantici
totalmente inaccessibili ai nostri sensi e ai nostri attuali mezzi
d’osservazione, ma in grado di trasmettere un urto in maniera quasi
istantanea, o comunque a velocità maggiore di quella della luce. Quando
viene misurata la polarizzazione (od equivalentemente lo spin) della prima
particella, un’onda d’urto dalla propagazione quasi istantanea percorre
questo vuoto pieno in direzione della seconda e ne fissa la polarizzazione
in modo da rispettare le leggi della fisica quantistica. Ma c’è una grande
obiezione da fare a queste teorie. Una quantità come tale elusivo
potenziale che non è osservabile o comunque per ora inaccessibile, non può
essere una quantità fisica ma solo una idea. Non si sta facendo della vera
fisica, la scienza deve seguire sempre il principio del “rasoio di Occam”,
spiegare quante più cose possibili col minor numero di ipotesi ed
assunzioni. Queste teorie sembrano invece voler fare le cose in maniera
complicata quando si possono fare in maniera più semplice attraverso la
meccanica quantistica.

Per spiegare
l’esperimento di Aspect, esiste una seconda visione possibile: quella di
non-separabilità che rimette in discussione, in modo più o meno
esplicito, la nozione di spazio o di tempo. Appena si misura la proprietà
di un quanto, il risultato ottenuto sullo strumento che ha operato fissa
necessariamente (ed istantaneamente) il risultato che verrà trovato sul
secondo strumento che misura l’altro quanto, risultato che sarebbe stato
altrimenti aleatorio. La nozione di spazio è in questo modo violata, e
forse oggi comincia a vacillare l’assunzione dello spazio come categoria a
priori. In un esperimento del tipo EPR, si è costretti a considerare
l’insieme come indivisibile, anche se comporta effettivamente due
strumenti di misura separati nello spazio. Non si è più tanto sicuri di
avere oggi la definizione giusta di spazio.

Lo stesso accade, come
afferma qualcuno abbastanza fantasiosamente, per il tempo. Tali tipi di
esperimenti permetterebbero almeno concettualmente di risalire il tempo
all’indietro, poggiandosi sull’idea dei diagrammi di Feynmann. In tali
diagrammi ad esempio un’antiparticella come il positrone (elettrone di
carica positiva), sarebbe equivalente ad un elettrone che scorre
all’indietro nel tempo. Tale concetto è in linea di principio applicabile
al caso degli EPR.

Un EPR si può spiegare
anche in termini di universi paralleli. L’equazione di Schrödinger ed il
principio di sovrapposizione ci dicono che per un elettrone sussistono
entrambe le possibilità di spin up e down. Il fatto che lo strumento
indichi al momento della misura un solo valore dello spin avverrebbe
perché all’atto della misura non ci sarebbe riduzione a una sola
possibilità, ma la divisione dell’insieme “quanto + strumento di misura”
in due insiemi, quindi la creazione di due universi, uno in cui lo spin
dell’elettrone è up, ed uno in cui è down. Questo “sdoppiamento”
avverrebbe spontaneamente durante tutte le operazioni di misura realizzate
nell’universo e durante tutti i fenomeni naturali  che presentano le
stesse caratteristiche.

È certo che tale
sovrabbondanza di universi, se vogliamo adoperare il solito caro rasoio di
Occam, è fastidiosa almeno quanto il vuoto pieno di particelle fantasma
enunciato precedentemente.

Niels Bohr ribadì a
proposito che solo gli insiemi “quanti+strumenti” possono essere presi in
considerazione dalla fisica, dal momento che è solo su questi insiemi che
è possibile definire ed ottenere risultati. Parlare quindi di velocità
maggiori della luce o della trasmissione di un segnale tra le due
particelle non ha senso fisico. La fisica si occupa di ciò che si
concretizza all’atto della misura sui due strumenti, non ci dice cosa
succede prima, o cosa succede tra la sorgente ed i rivelatori. Laddove non
ci sia fisica non ci può essere applicazione tecnologica, si può solo fare
della matematica o della filosofia, ma queste se non si trasformano in
fisica, in scienza del mondo reale, raramente hanno delle ricadute
tecnologiche.

Matematicamente esistono
velocità maggiori della luce, la velocità di fase di un’onda ad esempio
può essere maggiore di c, ma è improprio chiamarla velocità in
senso fisico, infatti tale velocità non trasporta un segnale, non è una
velocità dinamica (cioè meccanica, cioè fisica) ma solo cinematica (cioè
matematica). I segnali sono trasportati da pacchetti d’onda caratterizzati
da una velocità di gruppo che è sempre minore di c. L’onda portante
ha velocità di propagazione sempre minore di quella della luce, in accordo
con la Relatività.

In conclusione a parte
la filosofia e le ipotesi esotiche, resta il fatto che il mondo dei quanti
è fatto di tanti piccoli elementi che si rivelano poco più che mere
astrazioni matematiche, disobbedienti al determinismo, e con connotazione
non-locale (il termine non-locale ricordiamo che è una parola basata
sull’ormai vecchio concetto di spazio). Non si può fare un determinismo
totale usando la fisica quantistica, ma al più predizioni statistiche.
Inoltre i costituenti ultimi dell’universo possono rimanere collegati
ignorando le distanze che ai nostri occhi li separano. La meccanica
quantistica funziona, e comincia a spiegare anche vari aspetti del mondo
macroscopico, come ha spiegato efficacemente quello microscopico. Il mondo
dei quanti è reale, la realtà è in essenza quantistica anche se appare
spesso ai nostri occhi classica. Non saprei dire se una ridefinizione
dello spazio, o dello spazio-tempo, maggiormente in accordo con la fisica
quantistica, porterà in futuro al concetto di velocità superluminali, ma
sicuramente è anche essa una possibilità.

 

Letture
consigliate
:

P. A. M. Dirac;
I
Principi della meccanica quantistica
.

1976, Torino: Edizioni
Boringhieri

V.G. Braginsky, & F.
Khalili;

Quantum Measurement.
1992, Cambridge: Cambridge University
Press

(a cura di) Ludovico
Lanz;

Il mondo dei
quanti.

Febbraio 1993, Le Scienze Quaderni n. 70, Edizioni Le
Scienze.

S. Ortoli, & J. P.
Pharabod;

Il
cantico dei quanti.

1991, Milano: Edizioni Theoria

J. C. Polkinghorne;
Il
mondo dei quanti.

1986, Milano: Garzanti Editore

J. M. Jauch;
Sulla
realtà dei quanti.

1980, Milano: Edizioni Adelphi

L. D. Landau, & E. M.
Lifsits;
Meccanica Quantistica. Teoria non
relativistica.

1976, Roma: Editori Riuniti 

L. D. Landau, & E. M.
Lifsits;
Teoria quantistica  non
relativistica.

1978, Roma: Editori Riuniti

 

Vedi anche
la risposta di V. Moretti alla domanda: “Cos’è
il paradosso EPR
?