L’opera d’arte, o meglio «l’esperienza estetica», sembra aver poco a che fare con la logica matematica, intesa come studio di sistemi e linguaggi formali, in quanto sua peculiarità è «l’espressività» o «semantica». Con un tono molto sarcastico il logico Carnap accusava «i metafisici» di fare dell’«arte» poiché i loro linguaggi non rispettavano la «sintassi logica del linguaggio». Il loro approccio era quindi «non scientifico» e le loro proposizioni «pseudo-proposizioni» articolate in modo «logicamente scorretto». L’opera d’arte coinvolgerebbe non la sfera logico-formale bensì quella creativo-espressivo, una differenza che è stabilita da Saussure, fondatore della semiotica con Pierce, con i rispettivi «parola» e «linguaggio» [Corso di linguistica generale, 1916]. Possiamo però trovare almeno due modi di concepire oggigiorno «l’analisi dell’opera d’arte».
La prima possiamo definirla «ermeneutica» (dal greco «ermenèia», ossia «interpretazione, spiegazione, facoltà di esprimere»). L’approccio ermeneutico nei confronti dell’opera d’arte è esposto da M. Heidegger: «l’arte» è ciò che «fa venire al senso» le cose del mondo, è quella «messa-in-opera» mediante la quale è possibile «aprire il senso». All’artista è affidato l’arduo compito di «manifestare l’Esserci storico» del popolo a cui appartiene, cioè la «condizione storica» a cui esso è assoggettato [cfr. L’origine dell’opera d’arte, pp. 76-77, in Holzwege. Sentieri erranti nella selva., trad. it., Milano, 2002].
Per l’emeneutica vi è pertanto una coscienza primaria rispetto a quella estetica quando si fa esperienza dell’arte come scrive H-G. Gadamer: «[scopo dell’artista] è quello di vedere la sua creazione, in ciò che essa dice e rappresenta, essere accettata e appartenere al mondo in cui gli uomini vivono uniti dai legami della comunità. La presa di coscienza dell’arte, la coscienza estetica, è sempre una coscienza secondaria. È secondaria rispetto alla pretesa immediata di verità che emana dall’opera d’arte» [L’universalità del problema ermeneutica (1966) in Verità e Metodo 2, p. 212, trad. it., Milano, 1996]. L’opera d’arte rivela, oltre al “rappresentato”, il vissuto [detto «Erlebnis»] dell’artista e mediante questo manifesta anche una certa Weltanschauung [«visione del mondo»], cioè un orizzonte storico di senso a cui apparteneva l’artista. In realtà la relazione che si viene ad instaurare tra fruitore ed artista è quella della «fusione di orizzonti» in cui il fruitore\interpretante «legge», cioè interpreta, l’opera sempre a partire dai propri «pre-giudizi culturali» che formano la sua «coscienza storica e personale».
La seconda possiamo invece denominarla «semiotica», la quale tratta sia la «sintassi» (lo studio delle relazioni tra espressioni») che la «semantica» (in cui si studiano i rapporti tra espressioni e significati), tematiche che sono invece entrate all’interno delle discussioni logico-matematiche. Dal punto di vista «scientifico» e «logico» è sicuramente molto più rigorosa dell’ermeneutica (tra il rapporto ermeneutica-semiotica rimando a P. Ricouer-A.J. Greimas, Tra semiotica ed ermeneutica, ed. Maltemi, 2000).
Uno dei più grandi esponenti di semiotica è stato A.J. Greimas nei due suoi capolavori Del senso e Del senso 2. Greimas propone una metodologia di lettura dei testi detta «semiotica generativa» – che studia la «generazione del senso» non in senso storico o psicologico, bensì logico, con una maggiore priorità all’aspetto formale-sintattico rispetto a quello squisitamente espressivo – mediante la quale è possibile «esplicare il senso del testo» relativamente a diversi livelli (grammatica fondamentale, grammatica narrativa di “superficie”, strutture discorsive, manifestazione testuale).
La semiotica pertanto si è principalmente orientata all’analisi del testo più che dell’arte figurativa. Tuttavia la rimando a due testi fondamentali di «semiotica visiva e plastica»: Corrain, L. – Valenti, L., Leggere l’opera d’arte, 1991, Bologna, Esculapio e Corrain, L., 1999, Leggere l’opera d’arte II, 1999, Bologna, Esculapio. In Italia si è impegnato nello studio della «semiotica figurativa» U. Eco (cfr. La struttura assente, Milano, Bompiani e Trattato di semiotica generale, Milano, Bompiani).
Concludendo: una vera e propria applicazione del linguaggio logico-matematico non si è ancora verificato nell’analisi delle opere d’arte anche perché implicano un’esperienza «informulabile» in termini puramente logici.
Ciò che si può studiare scientificamente è la «decostruzione dell’immagine (o del suono o del testo)» sia dal punto di vista percettivo (ovvero quegli schemi cognitivi mediante i quali si organizza «l’immagine dell’oggetto» e dunque la sua «espressività»: attenzione non l’espressione, ma «la possibilità» di essere espressione) che da quello strettamente produttivo – ad esempio lo studio dell’ottica o della geometria aiutano a comprendere la produzione di opere sia figurative (scultura, pittura) sia architettoniche.
Oggigiorno è anche possibile ridurre le immagini in algoritmi molto complessi così come è possibile ridurre ad elementi matematici un’opera sinfonica – come facevano già i pitagorici. Ma «l’esperienza estetica» va al di là del prodotto artistico in sé, in quanto ha a che fare con il «senso» che non è riducibile ad un linguaggio meramente logico-formale, ma con qualcosa di «precategoriale».
Il «senso», dirà Wittgenstein, «dev’essere fuori del mondo», fuori cioè della serie di fenomeni descrivibili «così e così» mediante «un linguaggio scientifico» che può dire il «com’è» di un’opera (la sua descrizione), ma non il suo «senso». Esso infatti non è vincolato all’oggetto osservato in quanto non appare con esso – nella pittura non è neanche vincolato a regole grammaticali – ma ha a che fare con l’esperienza della vita precategoriale [il «mondo della vita» di E. Husserl]. L’estetica, come «l’etica» è «trascendentale», cioè al di là del semplice oggetto, e quindi «informulabile» [Tractatus logico-philosophicus, 6.41, 6.42, 6.421]. Nell’opera d’arte c’è dunque qualcosa di «invisibile» dato, come scrive E. Fanzini, dalla «frattura originaria tra il pensare e il sentire», grazie alla quale l’esperienza estetica «si mantiene e si rinnova all’interno di questo “iato”, i cui tentativi di “compimento” sciolgono il valore stesso della comunicazione simbolica, cercandone un troppo preciso cronotipo» [Fenomenologia dell’invisibile. Al di là dell’immagine., p. 234, Milano, 2001]. È probabile quindi che un’analisi strettamente logico-formale in estetica sia la «morte» dell’opera d’arte e dell’esperienza estetica ad essa connessa che si genera e rigenera proprio in virtù di questo “iato” tra pensare e sentire proprio dell’uomo.