La storia dei “raggi
N” è un caso classico di quella che il
chimico-fisico statunitense Inving Langmuir definì scienza patologica.
La storia della scienza offre numerosi
esempi di ricerca scientifica “deviante”. Tutti i casi di scienza patologica, però, dopo
periodi più o meno lunghi, vengono inevitabilmente alla luce per quello
che sono. La scienza è, infatti, una delle poche attività umane dotata
di straordinari meccanismi autocorrettivi.
La continua critica che caratterizza il mondo scientifico impedisce
che le idee false sopravvivano. Questo
è tanto più vero, quanto più clamorose e innovative sono le idee che vengono
proposte. Nella scienza vale,
infatti, costantemente il principio secondo il quale “affermazioni
straordinarie richiedono prove straordinarie”.
Spesso gli oppositori della scienza scambiano questo principio
per un eccesso di conservatorismo. Se
è vero che esso, talvolta, può aver rallentato l’accettazione di idee
innovative, è però pur vero che questo atteggiamento rappresenta una garanzia
contro il proliferare di idee fasulle.
In ogni caso le idee valide, su periodi più o meno lunghi, si affermano,
nello stesso modo in cui quelle false vengono eliminate.
Dopo questa premessa, per rispondere
alla richiesta del lettore, mi permetto di riportare per esteso un paragrafo del mio
libro Realtà o illusione? Scienza, pseudoscienza e paranormale
(Edizioni Dedalo, Bari 1999), intitolato appunto “I raggi N”:
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I raggi N
Nel 1903 il fisico francese René Blondlot, professore all’Università
di Nancy e membro dell’Académie des Sciences, pubblicò un articolo in
cui illustrava la scoperta di un nuovo tipo di radiazioni, che egli chiamò
“raggi N”, in onore della città in cui lavorava.
Il mondo scientifico di quel periodo era psicologicamente
preparato alla scoperta di nuovi tipi di radiazioni, in quanto pochi anni
prima vi erano state importanti scoperte in questo campo. Nel 1895 Roentgen aveva scoperto i raggi X e pochi anni dopo gli
esperimenti sulle sostanze radioattive avevano evidenziato l’esistenza
delle radiazioni alfa, beta e gamma.
Blondlot giunse alla sua scoperta mentre effettuava ricerche
volte a determinare la natura dei raggi X. A quei tempi, infatti, non
era chiaro se essi fossero costituiti da onde o da particelle. Per verificare se si trattasse o meno di onde,
Blondlot pensò di cercare di polarizzare i raggi X prodotti da un tubo
di scarica. Per rilevare l’eventuale
polarizzazione, Blondlot utilizzò uno spinterometro che generava una scintilla
elettrica. Una variazione della
luminosità della scintilla, al variare dell’orientazione dei raggi X incidenti,
avrebbe evidenziato una polarizzazione e, quindi, dimostrato la natura
ondulatoria dei raggi. Gli esperimenti
di Blondlot confermarono un’effettiva polarizzazione dei raggi X. Con
sua grande sorpresa notò tuttavia una variazione della luminosità della
scintilla anche quando i raggi X incidenti non subivano, in realtà, alcuna
variazione di polarizzazione. Pensò
allora che la variazione di luminosità della scintilla fosse dovuta alla
presenza di altre radiazioni, che egli chiamò, appunto, raggi N.
Proseguendo i suoi studi Blondlot perfezionò i sistemi di
rilevazione e di produzione dei raggi N. Da esperto sperimentatore, egli
ebbe cura di eliminare tutte le cause di possibili interferenze, quali
la luce ordinaria. In tal modo egli scoprì numerose sorgenti di raggi
N. Oltre ai tubi di scarica, si rilevarono ottime sorgenti i filamenti
e le reticelle metalliche riscaldate.
Inoltre Blondlot scoprì l’esistenza di parecchie sorgenti naturali:
il Sole, ad esempio, emetteva raggi N.
Le proprietà dei raggi N erano altrettanto interessanti.
Potevano attraversare spesse lastre metalliche e, in generale,
tutti corpi opachi nei confronti della luce visibile.
Al contrario venivano assorbiti da alcuni corpi trasparenti quali
l’acqua e i cristalli di salgemma.
L’entusiasmo di Blondlot si diffuse ben presto in gran parte
del mondo scientifico francese. Fisici
famosi, quali Charpentier, Becquerel, Broca, Zimmern, ripeterono con apparente
successo gli esperimenti di Blondlot, confermando l’esistenza dei raggi
N. Il numero di pubblicazioni sull’argomento ebbe un enorme e rapidissimo
incremento. Nella prima metà del
1903 apparvero quattro lavori sui raggi N nei Comptes Rendus dell’Académie
des Sciences. Nella prima metà del 1904 il loro numero era già salito
a 54. In questi lavori si sostenevano
tesi insolite. Charpentier, illustre
fisico medico, credette di scoprire l’emissione di raggi N da parte di
nervi e muscoli. Sosteneva inoltre
che l’emissione di raggi N da parte di organismi persisteva anche dopo
la morte. Ci fu persino chi pensò
di utilizzare questa scoperta per scopi diagnostici. Inoltre si sosteneva
che i raggi N potevano essere immagazzinati.
Un mattone avvolto in un foglio di carta nera ed esposto al sole
poteva, per esempio, immagazzinare raggi N che venivano riemessi e rilevati
successivamente in laboratorio.
Il clima di euforia generale generato dai raggi N cessò
bruscamente intorno alla metà del 1904.
Nel 1905, infatti, i Comptes Rendus non pubblicarono più
nulla sull’argomento.
Causa di questo generale raffreddamento fu il fisico americano
Robert W. Wood, professore di fisica alla John Hopkins University.
Wood, grande esperto di ottica e di spettroscopia, aveva
tentato senza successo di riprodurre gli esperimenti di Blondlot e, sollecitato
da altri fisici che avevano condiviso la stessa esperienza, si recò a
Nancy per visitare i laboratori di Blondlot.
Wood non era soltanto un illustre fisico, ma aveva anche
tutte le carte in regola per essere un perfetto smascheratore di eventuali
inganni o illusioni. Incorreggibile autore di scherzi e burle, aveva più
volte smascherato presunti possessori di facoltà paranormali. Questi suoi aspetti caratteriali furono determinanti
per l’epilogo della storia di raggi N.
Il primo esperimento che Blondlot propose a Wood era un
perfezionamento di quello che egli aveva condotto originariamente. Lo stesso Wood, nel resoconto della sua visita
pubblicato sulla rivista Nature, afferma di non aver osservato
alcuna variazione della luminosità della scintilla, contrariamente a quanto
affermavano Blondlot e i suoi collaboratori.
L’esperimento decisivo fu però il successivo. Blondlot intendeva
misurare la deviazione subita da un fascio di raggi N incidenti su un
prisma di alluminio. Oltre a un
sistema di focalizzazione, l’apparato sperimentale disponeva di una rivelatore
dei raggi N deflessi, costituito da uno schermo fluorescente. Blondlot e collaboratori sostenevano che si osservavano quattro
diverse posizioni in cui i raggi venivano deflessi. In altre parole questo esperimento avrebbe dimostrato l’esistenza
di raggi N con quattro differenti lunghezze d’onda. Wood non riuscì nuovamente a condividere le osservazioni di Blondlot
e collaboratori. Egli chiese che
l’esperimento fosse ripetuto e, spinto dalla sua natura burlona, sottrasse
il prisma di alluminio, senza che nessuno se ne accorgesse (l’esperimento
si svolgeva al buio). Ebbene,
secondo Blondlot e collaboratori, i risultati del secondo esperimento
confermavano quelli del primo. Wood
lasciò Nancy, con la convinzione che nessun esperimento cui aveva assistito
poteva in qualche maniera confermare l’esistenza dei raggi N. Essi esistevano
soltanto nella mente dei loro scopritori.
Dopo la pubblicazione del resoconto di Wood, la maggior
parte degli scienziati non francesi si convinse dell’inesistenza dei raggi
N. Blondlot e gli altri, sicuramente in buona fede, si erano fidati troppo
della possibilità di stimare visivamente le variazioni della luminosità,
che potevano avere un’origine puramente casuale.
Il desiderio e l’eccitazione di essere di fronte a un’importante
scoperta scientifica completarono infine l’opera di autoconvincimento.
I
sostenitori dei raggi N continuarono tuttavia a lottare anche dopo lo
smacco imposto loro da Wood. Essi affermavano che per osservare i raggi
N occorreva essere dotati di particolare sensibilità.
Alcuni sostenitori arrivarono all’eccesso, sentenziando che solamente
le razze latine possedevano questa sensibilità.
Le capacità percettive degli anglosassoni erano compromesse dalla
continua esposizione alla nebbia e quella dei tedeschi dall’uso continuo
della birra.
Blondlot restò fedele alla sua convinzione
e rifiutò persino di sottoporsi a un esperimento decisivo, che venne proposto
dalla rivista francese Revue Scientifique, e che avrebbe definitivamente
chiarito la questione dei raggi N. Egli,
nel 1906, così si espresse:
…i
fenomeni in questione sono troppo delicati. Lasciamo che ciascuno si formi
la sua opinione personale sui raggi N, o in base ai propri esperimenti
o in base a quelli di altri in cui egli abbia fiducia.
Blondlot andò in pensione nel 1909
e morì a Nancy nel 1930.