Che conseguenze avrebbe l’impatto di una meteorite di dimensioni pari a quelle del Monte Everest sulla Terra? Grazie.


Mappa degli impatti sulla terraferma (crosta terrestre) nell’anno 2000.

Premessa

Nelle notti serene, si vedono sottili strisce di luce che attraversano il cielo. Se ne possono scorgere anche molte in un’ora. Si chiamano comunemente “stelle cadenti“, e non è inesatto; infatti, i corpi che lasciano queste strisce, sono veramente blocchi di minerali provenienti dallo spazio che cadono attratti dalla forza di gravità terrestre. Gli astronomi li chiamano meteoriti. Entrano nell’atmosfera con una velocità tale – fino a 70 Km al secondo – che l’attrito con l’aria li riscalda fino all’incandescenza, così che la maggior parte brucia e si disintegra in polvere e vapore molto prima di toccar terra.
Sono detti in particolare “bolidi” le meteore insolitamente lente e luminose che scoppiano prima di raggiungere la superficie terrestre.
La maggior parte delle meteoriti non è più grande di un grano di riso. Tali meteoriti diventano incandescenti ad un’altezza tra gli 80 e 120 chilometri. Le più grandi si disgregano nel loro percorso fiammeggiante attraverso l’atmosfera e solo frammenti di essi colpiscono la Terra. Le meteoriti di rilevanti dimensioni, come quello che ha formato il Meteor Crater in Arizona del diametro di 1200 m circa e profondità sui 200 m, sono rarissime.


Un buon esempio di quello che accade quando un piccolo asteroide colpisce la Terra è il Barringer Crater (alias Meteor Crater) vicino Winslow, Arizona. Si è formato circa 50.000 anni fa, in seguito all’impatto di una meteorite ferrosa di circa 60 metri di diametro. Il cratere ha un diametro di circa 1.200 metri ed è profondo 200 metri. Fino ad oggi, sulla Terra sono stati identificati 120 crateri da impatto.

Il cratere più impressionante è quello di Chicxulub nel Golfo del Messico. L’evento risale a circa 65 milioni d’anni fa e probabilmente provocò un cataclisma di portata planetaria, determinando, forse, anche la scomparsa dei dinosauri. Si crede che a provocare tutto ciò sia stato un asteroide dalle dimensioni di almeno 10 Km di diametro. Restano ancora oggi, di questo terribile evento, tre anelli del diametro di 80,100 e 170 Km, che sono stati riconosciuti in base alle anomalie del campo gravitazionale della zona.


Il cratere Chicxulub nel Golfo del Messico. Le zone blu sono le più profonde.

Ogni anno circa 40.000 tonnellate di meteoridi sono attratte dal nostro pianeta e sfrecciano nel cielo. Si stima che di esse solamente 200 tonnellate riescano a raggiungere la superficie e che ne siano recuperate circa 10 mentre molti meteoridi finiscono in fondo agli oceani, nelle foreste o nella sabbia dei deserti. Una fonte importante per il loro recupero sta diventando l’Antartide.

Precisazioni, dati e tabelle

Prima di procedere con la risposta, è bene ricordare che sono chiamati meteoriti solo quei corpi extraterrestri che riescono a colpire la superficie del nostro pianeta.
Bolidi sono invece quei corpi che entrano nella troposfera ma che per la loro composizione non raggiungono la superficie poiché scoppiano ad altitudini al di sotto dei 50 Km dalla superficie terrestre.


Differenza fra meteoroide, meteora, bolide e meteorite.

Velocità dei meteoridi
I meteoridi arrivano nell’atmosfera terrestre con un’impressionante velocità variabile tra i 12 Km/sec (soggetti solo alla forza di gravità terrestre) e 73 Km/sec (esattamente 42,5 Km/sec per la velocità di fuga al perielio terrestre sommati agli oltre 30 Km/sec della velocità orbitale della Terra al perielio).

Tipi di Meteoriti


Ferrose Composte soprattutto di ferro e nichel; simili agli asteroidi di tipo M.
Ferrose-rocciose
Composte da una miscela di Fe e materiale roccioso, come gli asteroidi di tipo S.
Condriti
Di gran lunga il maggior numero di meteoriti ricade in questa classe;
esse sono simili per composizione al mantello e alle crosta del pianeta
Terra.
Condriti carbonacee
Simili per composizione al Sole meno gli elementi
volatili (idrogeno, elio, acqua, ammoniaca, anidride carbonica e il
metano); sono simili agli asteroidi di tipo C.
Acondriti Simili ai basalti terrestri;le meteoriti che si ritengono originarie della Luna e di Marte sono acondriti.

Per valutare l’energia liberata negli impatti cosmici si è assunto il MegaTon, la stessa unità di misura utilizzata per le esplosioni nucleari. Un Megaton (abbreviato in MT), è l’energia rilasciata dallo scoppio di un Milione di tonnellate di Nitroglicerina. In unità fisiche (chilogrammo, metro, secondo) il MT corrisponde a 4.2×10^15 joules.
Le famigerate bombe su Hiroshima e Nagasaki ebbero la potenza di 0,01 MT; ebbene l’impatto di un meteoroide del diametro di 30 metri, densità 3 volte quella dell’acqua e velocità di 20 km/s rilascerebbe un’energia di 2 MT, duecento volte cioè quella delle suddette bombe! L’effetto dell’impatto nell’atmosfera, sul terreno e sul meteoroide stesso varia, ovviamente in funzione di queste dimensioni, come vediamo nella tabella qui sotto in cui la frequenza degli impatti è una stima prudente e piuttosto incerta, soprattutto per i corpi di dimensioni maggiori.

Queste sono fondate ipotesi sulle conseguenze degli impatti di varie dimensioni:
Diametro
del corpo impattante
(metri)

Energia sviluppata
(megatoni)
Intervallo
(anni)
Conseguenze
<50 <10 <1 Meteore nell’alta atmosfera, che per lo
più non raggiungono la superficie.
75
10 – 100
1.000 I meteoroidi ferrosi producono crateri come
il Meteor Crater; quelli
rocciosi producono
esplosioni in aria come a Tunguska; l’impatto

distrugge un’area vasta quanto una città.
160 100 – 1.000
5.000
I meteoroidi ferrosi e rocciosi colpiscono il suolo;
le comete
producono esplosioni in aria;
l’impatto distrugge un’area vasta quanto

una metropoli (New York, Tokyo).
350 1.000 – 10.000
15.000 L’impatto sulla terraferma distrugge un’area
vasta quanto un piccolo stato; l’impatto
negli oceani produce piccoli maremoti.
700 10.000 -100.000
63.000
L’impatto sulla terraferma distrugge un’area
vasta quanto uno stato
medio (come la Virginia);
l’impatto negli oceani genera grandi maremoti.
1700 100.000 – 1.000.000 250.000
L’impatto sulla terraferma solleva grandi quantità
di polveri con
conseguenze a livello globale;
viene
distrutta un’area vasta quanto un

grande stato (California, Francia).

Conseguenze d’impatto di meterorite pari al Monte Everst

Va subito precisato che è alquanto difficile calcolare il volume del Monte Everest perché esso si trova su un altopiano di circa 5.000 metri ed è impossibile “separarlo” dalla catena cui appartiene. Detto questo, paragoniamo l’Everest ad un cono avente come diametro di base pari alla sua altezza (8,8 Km).
Alla luce di quanto sopra premesso e specificato nei dati e nelle tabelle, assumendo che l’Everest abbia un volume di circa 180 Km3 pari ad una massa di circa 500 milioni di tonnellate e paragonato ad una sfera di 7000 metri di diametro, è possibile azzardare un’ipotesi abbastanza verosimile sulle conseguenze di un tal evento catastrofico, per non dire apocalittico.


Il Monte Everest

Ovviamente i fenomeni generati da un tal evento dipenderebbero molto dal materiale di cui fosse composta la massa impattante la quale potrebbe anche non raggiungere il suolo ma esplodere come un bolide nell’atmosfera.
L’impatto col suolo avrebbe come prima e “immediata” conseguenza la formazione di un enorme cratere.

L’impatto di un oggetto proveniente dallo spazio esterno su una superficie planetaria, evento che porta alla formazione di un cratere, è solitamente un fenomeno estremamente rapido e si svolge completamente in tempi che vanno da frazioni di secondo a pochi minuti. Nella necessità di dover descrivere il meglio possibile un fenomeno dal decorso talmente veloce, si è soliti ricorrere ad un artificio, una sorta di scomposizione degli eventi fatta a tavolino, identificando e separando nella genesi del cratere d’impatto varie fasi.
Deve comunque essere chiaro che tale convenzione (perché di una convenzione si tratta) è esclusivamente dettata dall’esigenza di approfondire i fenomeni fisici coinvolti nel fenomeno con l’intento di giungere, in tal modo, ad una migliore visione d’insieme.
I vari momenti indicati, infatti, più che una sequenza temporale rigorosa, dovranno essere considerati fenomeni fisici che si sovrappongono e s’influenzano vicendevolmente durante il breve lasso di tempo occupato dall’intero evento e, conseguentemente, la separazione tra una fase e la successiva non può essere stabilita in modo netto.
Per usare una analogia cinematografica, non si sta esaminando il verificarsi dell’evento usando una moviola con del fermo-immagine, ma si analizzano spezzoni di una stessa scena, diverse inquadrature, flash istantanei su quanto si sta verificando (o si è già verificato).
Fatte queste indispensabili precisazioni, esaminiamo da vicino le quattro fasi dell’evento che, di solito, sono indicate come le più rappresentative, vale a dire: compressione, escavazione, espulsione dei materiali e modificazione finale della struttura.

Compressione
Durante la prima fase, la meteorite colpisce la superficie planetaria e s’innesca un sistema di onde d’urto che trasferiscono energia cinetica (è, infatti, questa l’origine del contenuto energetico associato ad ogni evento impattivo) non solo dal proiettile al bersaglio, ma anche all’interno dello stesso corpo impattante.
La pressione che si viene a generare nel momento dell’impatto è elevatissima: si calcola, infatti, che nella formazione di un tipico cratere di 10 km a seguito di un urto con un oggetto dotato di velocità entro valori standard (dell’ordine, cioè, di 15 km/sec) si possono raggiungere picchi di 5000-10000 kbar (500-1000 Gpa).
Questo significa che diventa molto più di una ragionevole ipotesi il pensare al violento sgretolarsi del meteorite (una vera e propria esplosione) e la quasi istantanea sua vaporizzazione, destino che necessariamente deve coinvolgere parte del materiale superficiale planetario presente nella zona dell’impatto (figura A).


L’oggetto proveniente dallo spazio è riuscito ad eludere la protezione offerta dall’atmosfera e sta per concludere il suo viaggio sulla superficie. L’indicazione della traccia dell’oggetto (1) vuole schematizzare i possibili effetti luminosi e sonori associati all’avvicinamento e collegati al meccanismo di ablazione. É possibile, inoltre, la presenza di una prima onda d’urto (2) dovuta alla violenta compressione dell’aria che il corpo incontra nella sua discesa.

Escavazione
Le onde d’urto generate dall’evento si propagano nel terreno (la loro velocità iniziale è di circa 10 km/sec) e questa compressione (associata all’espulsione di materiali dal luogo dell’impatto) origina la cosiddetta “cavità transiente”, l’enorme voragine iniziale destinata, in seguito, a trasformarsi nel cratere vero e proprio (figura B).
Il cratere, pertanto, (tranne il caso di cadute meteoritiche caratterizzate da un più basso livello energetico) non è mai identificabile come un fenomeno di scavo meccanico originato da un oggetto solido (il meteorite) che, per così dire, si apre la strada all’interno di un altro oggetto (la superficie planetaria), cercando di mantenere la direzione originaria del suo moto; si tratta, invece, del trasformarsi istantaneo in una regione limitatissima d’enormi quantitativi d’energia cinetica in energia meccanica e termica.
Dal punto di vista fisico l’evento è paragonabile a ciò che accade nel caso dell’esplosione di una bomba: le differenze risiedono fondamentalmente nel quantitativo di energia coinvolta e nel tipo di energia iniziale, cinetica quella della meteorite, chimica quella del TNT (o altro esplosivo) che origina lo scoppio. Una fondamentale conseguenza suggerita direttamente da tale paragone è che, nel caso di un impatto astronomico come quelli che stiamo considerando, diventano completamente irrilevanti sia la forma dell’impattore che la direzione di provenienza del suo moto ed il risultato che si ottiene è in ogni caso un cratere circolare (che è quanto si può comunemente osservare).


Il proiettile è ormai esploso a causa dell’elevata pressione originando una potentissima onda d’urto (1) che spazza la zona circostante l’impatto. L’onda d’urto si propaga anche nel terreno (3) ed inizia la creazione della cavità transiente con fenomeni di fusione e vaporizzazione delle rocce presenti nel luogo dell’impatto (2).

Espulsione dei materiali
Inizialmente l’espulsione dei materiali avviene a velocità molto elevate (anche qualche km/sec), ma poi si attenua stabilizzandosi su valori dell’ordine di 100 m/sec.
I materiali (ejecta) sono scagliati verso l’alto e verso l’esterno ricoprendo in tal modo una vasta area circostante il luogo dell’impatto e vanno a formare le caratteristiche raggiere tipiche di alcuni crateri lunari, ma che sulla Terra verranno ben presto mascherate dall’opera erosiva dei fenomeni atmosferici e molto spesso completamente cancellate, assieme a tutta la struttura craterica, dall’azione distruttiva dei fenomeni geologici (figura C).


Prosegue il meccanismo di escavazione della cavità transiente ed una grande quantità di materiale (ejecta) viene lanciata lontano dalla zona dell’impatto (1). I blocchi più grandi potranno, ricadendo al suolo, originare a loro volta crateri secondari. Prosegue ancora anche l’azione dell’onda d’urto nel terreno (2) innescando fenomeni di modificazione strutturale delle rocce (shock metamorphism).

Modificazione
La fase di modificazione della struttura craterica iniziale creatasi a seguito dell’impatto (cavità transiente) può essere vista in una duplice prospettiva: se da un lato, infatti, si possono considerare i fenomeni immediatamente successivi all’evento e ad esso direttamente correlati, dall’altro, però, non si devono trascurare altri processi che, sebbene non direttamente innescati dall’impatto e caratterizzati da tempi di azione non altrettanto rapidi, sono cause di mutamenti non meno importanti per l’intera struttura (figura D).
Il più importante tra i processi direttamente innescati dall’evento impattivo e che si manifestano negli istanti immediatamente seguenti al suo verificarsi, è l’assestamento isostatico della struttura.
È evidente, infatti, che non appena diminuisce l’azione di compressione sulle rocce sottostanti la zona della caduta, queste tendono a ritornare nella posizione iniziale (un vero e proprio rimbalzo elastico) riducendo in parte la profondità della cavità transiente; tale fenomeno, nel caso d’impatti di grosse dimensioni, può sfociare nella formazione di una struttura centrale (central peak) oppure in una struttura più complessa ad anelli concentrici sopraelevati (bacino multi-ring).
Non è automatico, infatti, che i crateri da impatto abbiano la caratteristica forma “a scodella” come quella del Meteor Crater in Arizona e non è detto che le strutture più complesse siano riscontrabili unicamente sulla Luna o sugli altri pianeti.
Anche sulla Terra esistono crateri da impatto caratterizzati da un picco centrale e strutture multi-ring, anche se queste ultime sono certamente di più difficile “lettura” rispetto a quelle, evidentissime, riscontrabili sul nostro satellite.
Tornando ad occuparci della modificazione di un cratere dobbiamo ricordare anche l’inevitabile ricaduta degli ejecta nella zona stessa dell’impatto, contribuendo ulteriormente a ridurre la profondità della struttura.
A questo punto si potrebbe pensare che la morfologia della struttura possa considerarsi ormai definitiva e duratura, invece bisogna cominciare a fare i conti con modificazioni a più lungo respiro quali sono i mutamenti indotti dai fenomeni atmosferici (venti, precipitazioni, azione dei corsi d’acqua, movimento dei ghiacci, …) e da quelli geologici (bradisismi, terremoti, fenomeni d’orogenesi, manifestazioni vulcaniche, …).
E’ chiaro che le modificazioni di questo tipo possono riguardare solamente la Terra ed i corpi celesti ancora geologicamente attivi (un esempio in tal senso può essere Europa, satellite di Giove) oppure dotati di un’atmosfera (ad esempio Venere), mentre non sono evidentemente presenti sul nostro satellite o sugli asteroidi.
Giorno dopo giorno, anche se sarebbe indubbiamente più corretto (ma meno poetico) dire “milione d’anni dopo milione d’anni”, la lenta azione di livellamento degli agenti atmosferici e lo sconvolgimento superficiale caratteristico dei fenomeni geologici porta inevitabilmente alla cancellazione di queste ciclopiche cicatrici lasciate dagli impatti e questo lo si può notare in modo molto semplice ed immediato confrontando una fotografia della Terra ed una della Luna, anche se, ad essere rigorosi, un tale confronto potrebbe reggere limitandoci a considerare della Terra solamente le zone desertiche o comunque libere da ogni forma di vegetazione che finirebbe col nasconderebbe ogni struttura sottostante.
A proposito della vegetazione è opportuno accennare che anch’essa può contribuire non solo a mascherare un sito d’impatto (e questo deve essere messo in conto quando si cerca di rintracciare tali strutture sul nostro pianeta), ma anche a mutarne la morfologia.
E’ pur vero, comunque, che anche sui corpi geologicamente morti e privi di atmosfera è attivo un modo tutto particolare di eliminazione delle tracce di un impatto: poiché la superficie di tali corpi conserva i crateri di tutti gli impatti avvenuti nel corso dell’intera storia geologica, si può giungere in talune regioni alla cosiddetta saturazione di craterizzazione, il che significa che ogni nuovo cratere deve necessariamente distruggere (parzialmente o completamente) una struttura preesistente.


E’ ritornata la quiete sul luogo dell’impatto e la voragine nel terreno è l’unico e terribile promemoria di ciò che è appena accaduto.

Il cratere (1) è già stato ricoperto dalla ricaduta di parte degli ejecta e dal cedimento delle pareti (2) che, franando, concorrono a limitarne la profondità. Non infrequente è la presenza di zone (3) in cui si è verificata un’inversione degli strati geologici.


NON SOLO CRATERI...

Il processo di craterizzazione non è però l’unico fenomeno indotto da un impatto; nonostante la brevità temporale dell’evento, si possono innescare conseguenze ben più gravi e in grado di coinvolgere anche l’intera superficie terrestre.
Ci occupiamo perciò a questo punto delle conseguenze di un impatto e lo facciamo introducendo una scala di valutazione dei rischi, articolata in quattro livelli di gravità crescente, proposta da Andrea Carusi nel 1995.

Primo livello: eventi che non costituiscono alcun rischio significativo per la biosfera.
Sono compresi in questo gruppo le interazioni con corpi le cui dimensioni variano dalla regione millimetrica (ed inferiore) fino a qualche metro.

Un esempio particolarmente significativo è stato il bolide con dimensioni iniziali di 1,5-3,0 metri e massa di 104-105 kg esploso ad un’altezza di circa 30 km sopra Lugo di Romagna il 19 gennaio 1993. (http://www.castfvg.it/articoli/asteroid/lugo.htm).

Un dato certamente confortante è che, in generale, i corpi rocciosi di massa minore di 100 tonnellate vengono disintegrati nel loro attraversamento dell’atmosfera: la maggior parte della loro energia cinetica viene dissipata in tempi dell’ordine del secondo (o anche meno) con la conseguente esplosione del corpo.
Questi episodi sono definiti fireball o bolidi; di molti di essi non vi è rilevazione a terra, ma soltanto attraverso i satelliti di sorveglianza.
Il Dipartimento della Difesa degli Stati Uniti ha reso pubblici i risultati delle osservazioni dei satelliti-spia effettuate dal 1972 in poi, permettendo così di ricostruire gli episodi d’interazione di oggetti aventi dimensioni dell’ordine della decina di metri con l’alta atmosfera: questi flash, la cui energia è stimata dell’ordine di 10.000 kton, sono stati rilevati con una frequenza media non inferiore ad un evento all’anno.


Bellissima immagine che mostra la scia multicolore rimasta in cielo dopo l’esplosione di un bolide.

Per rendersi conto dell’enorme contenuto energetico associato a fenomeni di questo tipo, basterebbe fare due semplici conti e calcolare l’energia cinetica posseduta da un meteoroide di 10 grammi lanciato alla velocità di 30 km/sec (indubbiamente elevatissima, ma tutt’altro che lontana dalla realtà essendo proprio questo il valore approssimativo della velocità orbitale della Terra): si ottiene in tal modo per il meteoroide un valore di energia di 4.5×106 joule e, dal momento che il contenuto energetico associabile allo scoppio di 1 kg di tritolo è 4.2×106 joule, è presto calcolabile che l’impatto con quel minuscolo meteoroide libererebbe un quantitativo di energia corrispondente all’esplosione di più di un kg di TNT…

Secondo livello: eventi che coinvolgono corpi con dimensioni comprese tra 10 e 100 m, la cui incidenza temporale è dell’ordine di un evento ogni secolo.
Appartiene a questo secondo gruppo il ben noto evento di Tunguska avvenuto il 30 giugno 1908 (http://www-th.bo.infn.it/tunguska/), un bolide di una sessantina di metri esploso ad un’altezza di circa 8 km, la cui onda d’urto sconvolse oltre 2000 km2 di fitta foresta siberiana (80 milioni di alberi abbattuti) e la cui potenza esplosiva viene stimata in 10-40 Mton.

Nella zona non è stato rinvenuto alcun frammento meteoritico, ma si è scoperto un eccesso di iridio (anche se modesto) nel fango e la presenza di particelle microscopiche di polvere nella resina delle conifere del luogo nel periodo 1902/1920: tutto questo porta a riconoscere la natura extraterrestre dell’impattore, ma non consente di identificarne con certezza la tipologia (cometa o asteroide).
Simile in dimensioni (ma differente in composizione e struttura) il
piccolo asteroide metallico di poche decine di metri che 50.000 anni
fa, impattando la Terra ad una velocità di circa 20 km/sec, originò in
Arizona (USA) il Meteor Crater, una voragine profonda circa 200 m e con
diametro di 1,2 km.

(Figura a destra: il meteor crater)


Terzo livello: in questo gruppo vengono annoverati impatti con oggetti aventi dimensioni dell’ordine di 1 km.
La situazione, nell’eventualità di un simile impatto, comincia ad essere rischiosa per la biosfera a causa dell’elevata quantità di polveri immesse nell’atmosfera: i cambiamenti climatici che ne derivano possono estendersi nel tempo (anche per un periodo di alcuni mesi).
La soglia che separa il secondo livello dal terzo, corrisponde approssimativamente ad un evento la cui potenza esplosiva può essere quantificata dell’ordine di un milione di megatoni.

Quarto livello: è il caso estremo e comprende gli impatti con piccoli asteroidi aventi dimensioni dell’ordine della decina di km; la situazione descritta in precedenza assume un carattere planetario.
L’impatto stesso ed i fenomeni da esso scatenati comporterebbero per il nostro pianeta conseguenze apocalittiche, uno scenario spesso ipotizzato anche come conseguenza di un conflitto termonucleare su scala planetaria.

L’impatto di una meteorite di massa pari al Monte Everest avrebbe conseguenze pari a quelle descritte al quarto livello.
Vediamo ora nel dettaglio tali conseguenze. La sequenza temporale delle letali conseguenze imputabili ad un impatto di questo livello può essere così sintetizzata:

1) L’aspetto iniziale è certamente il verificarsi di quei fenomeni puramente meccanici ascrivibili direttamente all’impatto, quali la formazione di un cratere ed il conseguente terremoto ad esso associato, con effetti catastrofici entro un raggio di alcune centinaia di chilometri; si stima che un oggetto con dimensioni di 10 km possa produrre un cratere avente come minimo 100 km di diametro.
Ipotizzando, poi, una caduta in mare (evento certamente più probabile dato il rapporto terre emerse/mari sul nostro pianeta) si deve considerare anche il conseguente tsunami, la cui potenza distruttiva sarebbe tutt’altro che trascurabile.
Un oggetto di 200 metri (inquadrabile dunque ancora nel secondo livello!) potrebbe dare origine in mare aperto ad onde alte 3,5 metri, che raggiungerebbero i 100 metri d’altezza sulle coste.
Parallelamente a questi fenomeni meccanici sono da annotare quelli termici indotti sul luogo dell’impatto dall’energia liberata dall’urto stesso e, nelle zone limitrofe, dalla caduta dei materiali incandescenti (eiecta), cause sicure dell’accensione di immensi incendi nelle zone circostanti.

2) Soppressione della fotosintesi clorofilliana a causa dell’oscurità provocata dal permanere in sospensione nell’atmosfera delle polveri, dei fumi e delle ceneri prodotte dagli incendi, fenomeno che comporta conseguenze irreparabili non solo per il regno vegetale, ma per l’intera biosfera poiché viene drammaticamente a mancare un anello basilare della catena alimentare.

3) Produzione nell’atmosfera di NOX (ossidi d’azoto) e HNO3 a causa dello shock termico e conseguente verificarsi del fenomeno delle piogge acide.

4) Diminuzione della temperatura ambientale per l’effetto-scudo delle polveri e delle ceneri, riduzione che può essere quantificata in 10-20 gradi e perdurerebbe per un periodo d’alcuni anni.
E’ stato calcolato che il calo anche solo di 1 grado nella temperatura media del globo farebbe colare a picco la produzione di cereali in Canada, mentre un calo di 3 gradi sposterebbe il limite settentrionale della coltivazione del grano negli USA fino nel sud dello Iowa.

5) Se l’effetto iniziale dell’immissione in atmosfera delle polveri e delle ceneri è quello di provocare una diminuzione della temperatura, la situazione successiva sarà caratterizzata da un suo drastico innalzamento causato dall’innesco del meccanismo dell’effetto-serra.
Il conseguente aumento di vapore d’acqua nell’atmosfera concorrerà a sua volta ad incrementare ulteriormente tale effetto-serra, prolungandone gli effetti anche per molte migliaia di anni.
Il valore di soglia dell’immissione nella stratosfera di particelle di polvere che darebbe inizio a quello che è stato definito inverno da impatto, è stato stimato in circa 1013 kg, circa 100 volte maggiore della quantità prodotta dalle maggiori eruzioni vulcaniche negli ultimi due secoli, comprese quelle del Pinatubo nel 1991 e quella del Tambora nel 1816, responsabile di quello che è stato definito un anno senza estate.

Figura a sinistra: veduta aerea del cratere Manicouagan, in Canada.
Questa struttura circolare ha un diametro di circa 100 km e l’evento che l’ha originata risale a 215 milioni di anni fa.


Tale soglia potrebbe essere superata a seguito dell’impatto di un asteroide roccioso con diametro di almeno 1,5 km, che sarebbe in grado di liberare un’energia equivalente a 200 miliardi di tonnellate di tritolo. Figuriamoci l’impatto ipotizzato dal lettore per una meteorite pari a 5 volte tanto quale abbiamo ipotizzato l’Everest.

L’esempio che può essere proposto quale rappresentativo di quest’ultimo livello è l’evento K/T, un impatto con un asteroide avente dimensioni di una decina di km avvenuto 65 milioni di anni fa (periodo tra il Cretaceo ed il Terziario) al quale si attribuirebbe l’estinzione dei dinosauri. (Teoria molto accreditata ma non condivisa da tutti in quanto si fanno anche alcune altre ipotesi circa la scomparsa dei grandi rettili).
La stima dell’energia associata all’impatto suggerisce un valore dell’ordine di 1023 joule, corrispondenti a 24 milioni di megatoni, circa un miliardo e mezzo di bombe di Hiroshima

Dopo anni di ricerche sembra ormai certa l’individuazione del cratere
prodotto da quella collisione: nel nord della penisola dello Yucatan
(Messico) è stata scoperta, infatti, grazie a misure gravimetriche
confermate da immagini ottenute dallo Shuttle Endeavour, una
depressione di circa 180 km di diametro, (cratere Chicxulub nella figura
qui a sinistra
) che potrebbe essere stata causata proprio dall’impatto
con un corpo di 10-20 km di diametro.


La localizzazione nella zona caraibica, regione caratterizzata da bassi fondali ricchi di carbonati, suggerisce che un sufficiente quantitativo di CO2 avrebbe potuto essere volatilizzato nell’atmosfera tanto da innescare, dopo l’iniziale repentino raffreddamento cui già si è accennato, quel temporaneo effetto-serra in grado di far innalzare la temperatura media del pianeta di 10 gradi protraendosi nel tempo per 105 anni.


Il cerchio nella figura indica la locazione del cratere Chicxulub
nella penisola dello Yucatan nel Golfo del Messico

Non è certamente stata questa l’unica occasione di profondi mutamenti dell’ecosistema terrestre ascrivibili, secondo alcuni, alle conseguenze d’impatti con corpi esterni.
Si è potuto rilevare, da osservazioni geologiche e paleontologiche, l’esistenza di una serie d’eventi che, quasi con cadenza periodica (alla stregua di un serial-killer), hanno coinciso con estinzioni di specie viventi sul nostro pianeta.
Questa, però, è un’altra storia…

Per saperne di più a proposito della saga del cratere K/T consiglio la lettura di due libri veramente interessanti: T.REX e il cratere dell’apocalisse di W. Alvarez – Mondadori, 1998,
Impact! The threat of comets & asteroids di G.L. Verschuur – Oxford University Press, 1996.