Ho letto un libro di Hancock (L’enigma di Marte) che, a parte le ciarlatanerie sul presunto volto di Cydonia, presentava anche interessanti capitoli sugli asteroidi. Dal libro risultava che gli impatti apocalittici non sono poi così rari e che la Terra ultimamente ha sfiorato per poco dei giganteschi bolidi… vi risulta questa cosa? La soluzione missilistica può essere veramente quella risolutiva?

Dall’epoca della formazione della Terra, gli impatti di corpi asteroidali si sono succeduti costantemente nel tempo quale “coda” nel processo evolutivo di accrescimento che aveva portato alla nascita del sistema planetario. Una parte di questi, a causa delle notevoli dimensioni del proiettile accoppiate ad una elevata velocità relativa, ha provocato delle vere e proprie catastrofi a livello planetario; l’ultima in ordine di tempo pare sia stata quella che, circa 65 milioni di anni fa, tra la fine del periodo Cretaceo e l’inizio dell’Era Terziaria, portò all’estinzione di massa per numerose specie di esseri viventi, tra cui i dinosauri.

Col passare dei millenni è ragionevole supporre che i corpi impattanti di maggiori dimensioni siano tutti precipitati sui vari pianeti o sul Sole, ma negli ultimi vent’anni si è visto che molti oggetti asteroidali circolano ancora nei pressi dell’orbita terrestre. Collettivamente chiamati NEO (Near Earth Objects), si dividono principalmente in tre famiglie, denominate con riferimento al capostipite di ciascuna:

Amor, con distanza minima dal Sole tra 1 e 1,3 UA (Unità Astronomica, corrispondente alla distanza media della Terra dal Sole e pari a circa 150 milioni di km);

Apollo, con minima distanza dal Sole inferiore ad 1 UA e semiasse maggiore dell’orbita superiore ad 1 UA;

Aten, con semiasse maggiore inferiore ad 1 UA ma distanza massima dal Sole superiore ad 1 UA.

Per i NEO, gli astronomi hanno stabilito 4 gradi di pericolosità:

1 – disintegrazioni in alta quota, fenomeni che avvengono di frequente ma che non rappresentano alcun pericolo per gli esseri viventi;

2 – disintegrazioni a bassa quota, con frequenza da 2 a 300 anni, che producono effetti locali dovuti all’esplosione (tipico evento è stato quello di Tunguska, in Siberia, avvenuto nel 1908). Le conseguenze locali sono piuttosto disastrose, ma occorre ricordare che le aree densamente popolate, sulla Terra, sono poche, per cui le probabilità di impatto su una zona metropolitana sono molto basse;

3 – disintegrazioni nei pressi del suolo con ripercussioni ambientali su vasta scala;

4 – catastrofi planetarie con sconvolgimenti climatici ed estinzioni di massa di molte specie viventi.

Le probabilità degli eventi di tipo 3 e 4 sono piccolissime ma non impossibili. Da qui la necessità di tenere sotto osservazione il maggior numero possibile di NEO al fine di escogitare soluzioni drastiche in tempo utile. Tra queste soluzioni, quella che oggi pare la più promettente è quella missilistica che, in linea teorica, potrebbe causare la frattura dell’asteroide con conseguente cambio di rotta o, per lo meno, deviarne significativamente l’orbita scongiurando l’impatto.

Le ricerche attualmente in corso hanno lo scopo di censire tutti i NEO con diametro superiore ad 1 km e che potrebbero causare i disastri del tipo 4. Solo quando saranno tutti individuati ci si potrà dedicare a quelli minori (100-1000 m) che causano gli effetti di tipo 3. La possibilità di catalogare quelli degli effetti di tipo 2 (come l’oggetto di Tunguska) è per ora al di là delle nostre capacità tecnologiche.

Il vero problema è dovuto alla scarsa attenzione della comunità mondiale (compresa quella degli addetti ai lavori) a sostenere questi tipi di ricerche, condotte da pochi istituti professionali e da gruppi di volonterosi astrofili.

In conclusione, il rischio di impatto esiste, anche se poco probabile nell’immediato, ma gli sforzi fatti per tenere sotto controllo la situazione non sono per nulla adeguati, quindi… tutto è possibile, anche oggi o domani.