E’ possibile il lavaggio del cervello? E se no, come si spiega che alcuni adepti di talune sette, rinneghino mogli e figli arrivando a lanciargli maledizioni? Grazie.

Anche se molto comunemente si fa uso di espressioni come “lavaggio del cervello”, “controllo mentale”, “plagio” per indicare uno stato di apparente totale dipendenza psicologica di un individuo nei confronti di altri, dal punto di vista scientifico le cose sono un po’ più complicate. Poiché nel mio libro Pinocchio e la scienza. Come difendersi da false credenze e bufale scientifiche (Dedalo, Bari 2006) avevo dedicato un paragrafo a tale argomento, mi permetto di riportarlo integralmente di seguito:

—————————–
 
Plagio
 
Numerosi fatti di cronaca fanno pensare alla possibilità da parte di qualcuno di dominare completamente la mente altrui. Manifestazioni eclatanti di questa eventuale possibilità si verificano all’interno delle sette, dove gli adepti giungono al punto di effettuare le più orrende nefandezze per obbedire al loro capo spirituale. Ma l’esempio più clamoroso si ha forse nei kamikaze e nei terroristi suicidi che arrivano al punto di sacrificare se stessi pur di servire la causa in cui credono.
 
Di fronte a tali manifestazioni molti parlano di plagio. Tuttavia la questione è meno semplice di quanto possa apparire.
 
Dal punto di vista giuridico il plagio veniva contemplato come reato dall’articolo 603 del Codice Penale che recitava: “Chiunque sottopone una persona al proprio potere, in modo da ridurla in totale stato di soggezione, è punito con la reclusione da cinque a quindici anni”. Il reato è stato tuttavia cancellato dall’ordinamento giuridico penale dalla Corte Costituzionale, con la sentenza n. 96 del 08/06/1981. I motivi che portarono l’alta corte a questa sentenza sono legati a un celebre caso giudiziario che suscitò molto clamore in Italia alla fine degli anni Sessanta: il caso Braibanti.
 
Aldo Braibanti, intellettuale piacentino, ex partigiano, marxista e omosessuale, nel 1964 venne denunciato per aver “plagiato” due giovani: Giovanni Sanfratello di 24 anni e Piercarlo Toscani di 23.
Con Giovanni Sanfratello, Braibanti ebbe una relazione sentimentale. I familiari del ragazzo, cattolici osservanti, con idee politiche di destra e appartenenti alla buona borghesia di Piacenza, si opposero duramente alla relazione. Il padre e il fratello di Giovanni un giorno si presentarono a casa di Braibanti, prelevarono di forza il loro congiunto e lo fecero ricoverare in un manicomio vicino a Verona (dove rimase a lungo, sottoposto, tra l’altro, a una lunga serie di elettroshock). Il 14 luglio del 1968, il giudice Orlando Falco, riconobbe Braibanti colpevole del reato di plagio ai sensi dell’art. 603 del Codice Penale. Braibanti venne condannato a 9 anni di reclusione, ridotti a 6 in appello, a 4 con il condono riconosciutogli come ex-partigiano e a 2 di effettivo di carcere (tolti i 2 di libertà condizionale). Nella sentenza Braibanti venne definito "diabolico, raffinato seduttore di spiriti, affetto da omosessualità intellettuale". Il caso suscitò la reazione di gran parte del mondo intellettuale che vedeva nella condanna un’indebita ingerenza della giustizia nei rapporti interpersonali tra due persone adulte. Il successivo dibattito giuridico portò, come abbiamo detto, all’abolizione del reato di plagio. Va osservato che il povero Aldo Braibanti fu l’unico italiano a essere condannato per questi tipo di reato.
 
La motivazione principale che condusse la Corte Costituzionale ad abolire il reato di plagio fu la sostanziale difficoltà a definire in modo oggettivo il plagio stesso. Come si fa infatti a stabilire se un certo tipo di comportamento è dovuto al condizionamento operato da qualcun altro o se è frutto di libera scelta?
La questione non è affatto semplice neppure dal punto di vista scientifico. Gli psicologi parlano di plagio, ma affinché si verifichi sottolineano la necessità di avere una serie di determinate condizioni che si devono creare nella relazione tra plagiatore/i e plagiato1. Il plagiato deve necessariamente possedere già una certa predisposizione ad abbracciare l’idea o l’ideologia che gli viene imposta dall’esterno. In altre parole deve crederci profondamente già di suo.  Oltre a questo il plagio può essere favorito dal fatto che il soggetto sia privo di punti di riferimento importanti (una persona significativa, una robusta razionalità, un credo religioso o una ideologia politica, ecc.). Se il soggetto è una mente vuota alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi è probabile che il plagio possa essere favorito. Tutte le tecniche di plagio fanno presa solo quando vi siano determinati fattori predisponenti. Una persona con idee e principi ben radicati non sarà mai vittima di un plagio. Un’altra motivazione importante che spinge il plagiato a soggiacere alla volontà altrui è il desiderio di appartenenza a un gruppo. Come ha scritto lo psicologo Armando De Vincentiis:
 
Il bisogno di appartenenza ad un gruppo è la motivazione più semplice. Purtroppo questo sviscerato bisogno di farsi accettare può spingere addirittura una personalità particolarmente debole a commettere qualche atto illecito. L’effettuare qualcosa di estremo è un rituale di iniziazione tipico di qualche setta e se non lo si commette si è fuori. Per un giovane a caccia di valori che lo rendano unico e riconosciuto nello stesso tempo, il commettere un atto estremo assume una importanza straordinaria, una prova per il gruppo e soprattutto per se stesso.
 
Questo bisogno di appartenenza a un gruppo può spingere qualcuno anche al sacrificio supremo come nel caso dei kamikaze e dei terroristi suicidi.
 
Da queste considerazioni si capisce comunque l’estrema difficoltà nello stabilire in modo oggettivo il plagio. Vi sono indubbiamente casi estremi in cui i dubbi sono minimi. Per questo motivo l’ordinamento giuridico italiano, pur cancellando il reato di plagio, ha mantenuto quello di circonvenzione di incapace (art. 643 c.p.). In tanti altri casi però il plagio è assolutamente dubbio e la sua repressione può essere molto rischiosa in quanto può fortemente limitare la libertà di pensiero, di espressione e di insegnamento che sono alla base di ogni società libera e democratica. Destano pertanto non poche preoccupazioni coloro che, pur comprensibilmente, vorrebbero reintrodurre il reato di plagio per contrastare i fenomeni di dipendenza che spesso si vengono a creare nei confronti di guru, santoni e ciarlatani vari.
Molto più sensato appare invece operare affinché siano eliminate tutte le condizioni che possono favorire il plagio. In questo senso l’educazione, l’istruzione e l’informazione possono svolgere un ruolo di prevenzione fondamentale.
 
 
Note:
 
1) Si veda a questo proposito l’interessante libro: S. Hassan, Mentalmente liberi. Come uscire da una setta, Avverbi, Roma 1999.