Salve dottor Fuso. In un periodo in cui proliferano profezie apocalittiche, anche grazie al terrorismo informativo da parte dei mass media, credo che la scienza debba fornire strumenti critici per non farci cadere vittime di speculatori. A tal proposito, vorrei sapere il suo parere sulla profezia di Malachia. Grazie molte.

 

 San Malachia di Armagh (1094-1148)

Ho trattato l’argomento in un paragrafo specifico del mio libro Pinocchio e la scienza. Come difendersi da false credenze e bufale scientifiche (Edizioni Dedalo, Bari 2006). Mi permetto pertanto di riportare di seguito l’intero paragrafo:

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La profezia di Malachia
 
Con la morte di papa Giovani Paolo II avvenuta il 2 aprile 2005, tra i tanti articoli pubblicati sui giornali che avanzavano previsioni sull’elezione del nuovo papa qualche giornalista non ha trovato di meglio da fare che riproporre la celebre profezia di Malachia. San Malachia era un monaco cistercense vissuto tra il 1094 e 1148. Secondo la tradizione avrebbe lasciato una profezia, scoperta nel 1590 dopo essere rimasta sepolta per secoli negli archivi vaticani, nella quale il monaco avrebbe previsto tutti i papi che sarebbero stati eletti nel futuro. La cosa clamorosa che suscitò l‘interesse dei giornalisti è la previsione secondo la quale dopo papa Giovanni Paolo II, verranno eletti solamente altri due papi. A quel punto, secondo la profezia, Roma verrà distrutta e secondo alcune interpretazioni si verificherà addirittura la fine del mondo.
Nella profezia vengono elencati in tutto 112 pontefici, da Celestino II (contemporaneo di Malachia) fino alla fine del mondo. La cosa singolare però è che i papi non vengono indicati con il rispettivo nome, bensì in modo più o meno sibillino mediante un breve motto in latino.
Alcuni dei motti, tuttavia si adattano in modo straordinariamente preciso a papi realmente esistiti dopo la morte di Malachia. Vediamo alcuni esempi. Eugenio III è Ex magnitudine montis, ossia "dalla grandezza del monte", e questo papa era nato nel castello di Grammont e il suo cognome era Montemagno. Gregorio IX è Avis Ostiensis ("uccello di Ostia"), e questo papa fu cardinale di Ostia. Urbano IV è Hierusalem Campaniae ("Gerusalemme della Champagne") e nacque a Troyes, nella regione dello Champagne oltre a essere patriarca di Gerusalemme. Callisto III (1455-1458) viene identificato dal motto Bos pascens ("bue al pascolo"). E lo stemma di Alfonso Borgia recava un bue dorato che pascola.
C’è veramente da rimanere impressionati: le descrizioni sono troppo precise per essere frutto di semplici coincidenze. In questo caso non si può certo invocare la nota tecnica della genericità delle affermazioni.
 
Se si esamina a fondo il documento tuttavia si nota una cosa sospetta: i motti latini si adattano con estrema precisione ai rispettivi papi solamente fino al quindicesimo secolo. Successivamente si riescono ad adattare soltanto applicando una notevole fantasia interpretativa. Vediamo qualche esempio. Giovanni XXIII viene indicato dal motto Pastor et Nauta ("pastore e marinaio"). Gli interpreti di Malachia lo spiegano con il fatto che papa Roncalli "fu patriarca di Venezia e viaggiò molto". Paolo VI è contraddistinto dal motto Flos florum ("fiore dei fiori") e viene riferito al fatto che il suo stemma presentava tre gigli. Giovanni Paolo I viene contraddistinto dal motto De medietate lunae ("della metà della luna"). Secondo alcuni Malachia sembra aver previsto con estrema precisione il suo brevissimo pontificato, che durò poco più di un mese lunare e iniziò e terminò quando la luna era visibile a metà. Se si considera tuttavia che la luna presenta questa forma due volte al mese, appare abbastanza probabile che in qualsiasi pontificato accada qualcosa di significativo quando la luna è in queste fasi. Il motto con cui San Malachia indica Giovanni Paolo II, De labore solis ("della fatica del sole"), secondo alcuni farebbe riferimento alla sua instancabile attività, o al fatto che abbia viaggiato intorno al mondo come il sole. Ma potrebbero anche andare bene altre interpretazioni.
 
Guarda caso l’epoca fino alla quale la descrizione dei papi è accurata e priva di ambiguità coincide proprio con quella del presunto ritrovamento della profezia negli archivi romani. Nasce abbastanza spontaneo il sospetto che il documento sia stato scritto proprio intorno al sedicesimo secolo. Non sono infatti richieste straordinarie facoltà di preveggenza per effettuare previsioni dopo che gli eventi si sono verificati. Se si svolge qualche ricerca storica il sospetto viene presto confermato. Da molte fonti ecclesiastiche infatti la presunta profezia di Malachia viene considerato un falso. È infatti molto strano che per quattro secoli nessuno abbia mai fatto riferimento all’esistenza del documento. Neppure San Bernardo, che scrisse una Vita di San Malachia, ne fa il minimo cenno.
 
È interessante considerare il motto con cui Malachia indica il successore di Giovanni Paolo II: Gloria olivae. Ora prima dell’elezione del nuovo pontefice gli interpreti di Malachia hanno fatto varie ipotesi. Il motto avrebbe potuto indicare l’elezione di un papa italiano (terra delle olive); oppure un papa non italiano di carnagione olivastra; oppure, scendendo ancora di più sul generico, un papa che si adopera per la pace (l’ulivo è simbolo di pace), e così via. Francamente non sembra che papa Ratzinger abbia molto a che fare con l’ulivo e tutti i tentativi di adattamento sembrano piuttosto tirati per i capelli.
 
La profezia si conclude con l’indicazione dell’ultimo papa, al quale, anziché essere attribuito al solito un motto latino, è dedicata un’intera frase latina:
 
Nella persecuzione estrema, il trono della Santa Romana Chiesa verrà occupato da Pietro il Romano, che pascerà il suo gregge fra molte sofferenze, finite le quali la città dei sette colli verrà distrutta e il tremendo giudice giudicherà il proprio popolo. Fine (o Amen, a seconda delle versioni).
 
Qualcuno, prendendo sul serio la previsione, nutre seri timori. Qualcun altro per contro si è preoccupato di consolare i timorosi sottolineando che non è detto che l’ultimo papa sia il centododicesimo, cioè il successore dell’attuale [papa Ratzinger, quando il libro è stato pubblicato]. Tra il centoundicesimo (l’attuale) [idem] e l’ultimo potrebbero essercene molti altri e quindi la fine del mondo potrebbe non essere così imminente. Gli interpreti di Malachia avranno ancora di che sbizzarrirsi.