Leggendo un articolo sulla formazione del sistema solare mi sono imbattuto nel “meccanismo di instabilità di Goldreich-Ward” e vorrei sapere qualcosa in proposito. Grazie

La formazione dei pianeti è uno dei più importanti meccanismi studiati in planetologia ed è argomento di accese discussioni tra gli esperti, soprattutto alla luce delle recenti scoperte di un gran numero di pianeti extrasolari.
Al momento non sono stati scoperti altri sistemi planetari con la stessa struttura del nostro, caratterizzato da pianeti piccoli e rocciosi in prossimità della stella centrale e pianeti giganti e gassosi più all’esterno. Ciò indicherebbe che il sistema solare deve essersi formato tramite un processo diverso da quelli operanti intorno a molte altre stelle.

Ma allora, cosa sappiamo sulla formazione del Sistema Solare? Ebbene, tutto ha avuto inizio in una della tante nubi interstellari di gas e polvere presenti nei bracci a spirale della nostra Galassia. Questa nube ad un certo punto ha iniziato a collassare per effetto della mutua attrazione delle sue varie parti. A causa dell’iniziale rotazione della nube, tale collasso ha portato alla formazione di un disco posto intorno ad un oggetto centrale che poi è diventato il Sole.

Da un punto di vista meno qualitativo si può dire che la formazione del disco è una conseguenza rapida (l’intero processo richiede meno di un milione di anni, un tempo molto breve su scala astronomica) e praticamente ineluttabile del principio di conservazione del momento angolare della nube. L’incremento di velocità angolare dovuto alla riduzione delle dimensioni della nube ha infatti prodotto un aumento della forza centrifuga che ha sempre più efficacemente contrastato la forza di gravità. Tale ostacolo al collasso si è manifestato soprattutto nel piano equatoriale della nube, ossia il piano perpendicolare all’asse di rotazione, e ciò ha comportato uno schiacciamento della nube stessa lungo tale asse: si è così formata struttura molto appiattita detta “disco protoplanetario”. I pianeti si sono appunto formati da questo disco costituito da particelle di gas e polvere, queste ultime in gran parte derivanti dalla nube originaria ed in piccola parte originatesi in loco per condensazione della componente volatile.

I grani di polvere, pur essendo una componente del tutto minoritaria rispetto al gas (avendo una massa totale vicina ad 1/100 di quella di quest’ultimo), hanno giocato un ruolo cruciale nel processo di formazione planetaria. Secondo una teoria proposta per la prima volta nel 1969 da Safronov [1] e indipendentemente da Goldreich e Ward [2],  il disco di polvere non può rimanere stabile a lungo; basta infatti una piccola perturbazione per far sì che, se il disco protoplanetario supera una certa densità critica, esso si frammenti spontaneamente per effetto delle mutua attrazione gravitazionale tra i grani;  per questo motivo il processo sopra descritto è detto “instabilità gravitazionale”.

Secondo una descrizione molto schematica ma che rende l’idea  del fenomeno, il disco protoplanetario si frammenta dapprima  in una serie di anelli concentrici che tendono rapidamente a separarsi gli uni dagli altri contraendosi sotto l’azione dell’autogravitazione. Gli anelli a loro volta sono instabili e tendono a frammentarsi formando condensazioni di polvere che si contraggono fino a raggiungere la densità di almeno 3 g/cm3 nella zona dei pianeti terrestri e di 0.01 g/cm3 in quella dei pianeti esterni [3]. Tali aggregati di particelle non sono ancora corpi solidi, ma possono essere pensati come delle enormi “nuvole di polvere” dalle dimensioni di qualche centinaio di chilometri che alla fine condensano in corpi solidi denominati “planetesimi” [4]. Questi ultimi sono corpi dalle dimensioni che vanno da uno ad una decina di chilometri in prossimità del Sole e di qualche centinaia di chilometri nelle regioni esterne [3].  Successivamente i planetesimi subiscono una serie di mutue collisioni con esiti prevalentemente costruttivi piuttosto che distruttivi (a causa delle basse velocità relative) e danno infine origine ai pianeti.

Nell’ultimo decennio sono state mosse numerose critiche al modello sopra descritto perché troppo semplicistico, in quanto considera la formazione dei planetesimi direttamente dalle particelle di polvere attraverso l’autogravitazione, trascurando ogni altro processo di adesione [5, 6]. In effetti, fino a quando gli agglomerati in via di formazione sono di dimensioni sufficientemente piccole (inferiori al metro), essi  risentono della presenza del gas che li trascina nel suo moto. Ed è proprio per questo effetto di trascinamento (dovuto ad una sorta di attrito tra gas e polvere) che si dovrebbero creare delle turbolenze all’interno del disco, con l’insorgenza di vortici sia sul piano del disco che lungo la direzione ad esso perpendicolare. Si può provare che tali turbolenze sono in grado di inibire il raggiungimento della densità critica richiesta per innescare l’instabilità gravitazionale [7].

Tenendo conto di questo problema,  una teoria alternativa prevede che  i planetesimi non si siano formati esclusivamente per instabilità gravitazionale, ma anche e soprattutto per l’accrescimento dei grani in seguito a collisioni binarie, quantomeno fino alla formazione di corpi dell’ordine del metro, quando finalmente potrebbe essere intervenuta l’instabilità gravitazionale prima citata [7]. La mancanza di studi approfonditi sull’argomento, successivi ai pionieristici lavori di Safronov e Goldreich e Ward lascia però ancora aperta la possibilità che l’instabilità gravitazionale possa essersi instaurata già nelle prime fasi, quando i grani erano ancora delle dimensioni di qualche micrometro. In particolare, proprio l’attrito del gas potrebbe fornire una causa di instabilità non ostacolata dalle turbolenze [8].

Per concludere il discorso sull’instabilità gravitazionale è importante osservare che tale processo potrebbe interessare anche la componente gassosa del disco protoplanetario. Infatti  Goldreich e Ward [2] hanno ricavato che per la densità superficiale del gas il valore critico necessario per l’innesco dell’instabilità gravitazionale vale:

σg* = 7.6 · 103 T 1/2  g/cm2                                                               

(dove T è la temperatura del gas in Kelvin).

Se si assume una massa del disco pari a 0.01 masse solari, dalla sua estensione si ricava un valore della densità superficiale media data da σg* = 1.5 · 103 g/cm2 [2]. Ciò implica per l’equazione precedente che il disco è instabile per T = 0.04 K.
Ma essendo questa temperatura inaccettabilmente bassa si deve concludere che, in tale caso, nel gas non si instaura mai un’instabilità gravitazionale. Tuttavia se il disco avesse una massa pari a quella del Sole, rifacendo i conti il disco risulterebbe instabile per  T ~ 400 K. Siccome in gran parte del disco questa condizione risulta soddisfatta, si può quindi concludere che soprattutto nelle parti più esterne del disco si potrebbe innescare l’instabilità gravitazionale del gas che porterebbe alla formazione di grandi protopianeti gassosi in grado di dar origine agli attuali Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ciò avverrebbe in tempi molto più brevi rispetto a quelli previsti dal modello alternativo delle collisioni binarie tra grani [9], spiegando meglio di quest’ultimo  la formazione di quei veri e propri “serbatoi di comete” costituiti dalla Fascia di Kuiper e dalla Nube di Oort.

 

Bibliografia
[1]: Safronov, V. S.: 1969, in “Evolution of the Protoplanetary Cloud and Formation of Earth and Planets”, Nouks (Moskov), traduz. Inglese NASA TT F-667, 1972.
[2]: Goldreich, P., Ward, W. R.: 1973, Astrophys. Jou., 183, 1051.
[3]: Coradini, A.: 1983, Giorn. di Astr., 9, 155.
[4]: Coradini, A., Federico, C., Fulchignoni, M., Magni, G.: 1978, in “La Planetologia”, Newton Compton (Roma), pag. 268.
[5]: Wetherill, G. W.: 1988, in “Accumulation of Mercury from Planetesimals”, C. Chapman, F. Vilas ed., The University of Arizona Press, (Tucson).
[6]: Weidenschilling, S. J.:1988, in “Workshop on the Origin of Solar Systems”, Lunar and Planetary Inst., pag. 31.
[7]: Weidenschilling, S. J.: 1997, Icarus, 127, 290.
[8]: Ward, W. R.: 1999, American Astron. Society, 31 th DPS meeting, contrib. #36.02.
[9]: Boss, A.P.: 2003,  Astrophys. Jou., 599, 577.