La formazione dei pianeti è uno dei più importanti meccanismi studiati in planetologia ed è argomento di accese discussioni tra gli esperti, soprattutto alla luce delle recenti scoperte di un gran numero di pianeti extrasolari.
Al momento non sono stati scoperti altri sistemi planetari con la stessa struttura del nostro, caratterizzato da pianeti piccoli e rocciosi in prossimità della stella centrale e pianeti giganti e gassosi più all’esterno. Ciò indicherebbe che il sistema solare deve essersi formato tramite un processo diverso da quelli operanti intorno a molte altre stelle.
Ma allora, cosa sappiamo sulla formazione del Sistema Solare? Ebbene, tutto ha avuto inizio in una della tante nubi interstellari di gas e polvere presenti nei bracci a spirale della nostra Galassia. Questa nube ad un certo punto ha iniziato a collassare per effetto della mutua attrazione delle sue varie parti. A causa dell’iniziale rotazione della nube, tale collasso ha portato alla formazione di un disco posto intorno ad un oggetto centrale che poi è diventato il Sole.
I grani di polvere, pur essendo una componente del tutto minoritaria rispetto al gas (avendo una massa totale vicina ad 1/100 di quella di quest’ultimo), hanno giocato un ruolo cruciale nel processo di formazione planetaria. Secondo una teoria proposta per la prima volta nel 1969 da Safronov [1] e indipendentemente da Goldreich e Ward [2], il disco di polvere non può rimanere stabile a lungo; basta infatti una piccola perturbazione per far sì che, se il disco protoplanetario supera una certa densità critica, esso si frammenti spontaneamente per effetto delle mutua attrazione gravitazionale tra i grani; per questo motivo il processo sopra descritto è detto “instabilità gravitazionale”.
Nell’ultimo decennio sono state mosse numerose critiche al modello sopra descritto perché troppo semplicistico, in quanto considera la formazione dei planetesimi direttamente dalle particelle di polvere attraverso l’autogravitazione, trascurando ogni altro processo di adesione [5, 6]. In effetti, fino a quando gli agglomerati in via di formazione sono di dimensioni sufficientemente piccole (inferiori al metro), essi risentono della presenza del gas che li trascina nel suo moto. Ed è proprio per questo effetto di trascinamento (dovuto ad una sorta di attrito tra gas e polvere) che si dovrebbero creare delle turbolenze all’interno del disco, con l’insorgenza di vortici sia sul piano del disco che lungo la direzione ad esso perpendicolare. Si può provare che tali turbolenze sono in grado di inibire il raggiungimento della densità critica richiesta per innescare l’instabilità gravitazionale [7].
Per concludere il discorso sull’instabilità gravitazionale è importante osservare che tale processo potrebbe interessare anche la componente gassosa del disco protoplanetario. Infatti Goldreich e Ward [2] hanno ricavato che per la densità superficiale del gas il valore critico necessario per l’innesco dell’instabilità gravitazionale vale:
(dove T è la temperatura del gas in Kelvin).
Se si assume una massa del disco pari a 0.01 masse solari, dalla sua estensione si ricava un valore della densità superficiale media data da σg* = 1.5 · 103 g/cm2 [2]. Ciò implica per l’equazione precedente che il disco è instabile per T = 0.04 K.
Ma essendo questa temperatura inaccettabilmente bassa si deve concludere che, in tale caso, nel gas non si instaura mai un’instabilità gravitazionale. Tuttavia se il disco avesse una massa pari a quella del Sole, rifacendo i conti il disco risulterebbe instabile per T ~ 400 K. Siccome in gran parte del disco questa condizione risulta soddisfatta, si può quindi concludere che soprattutto nelle parti più esterne del disco si potrebbe innescare l’instabilità gravitazionale del gas che porterebbe alla formazione di grandi protopianeti gassosi in grado di dar origine agli attuali Giove, Saturno, Urano e Nettuno. Ciò avverrebbe in tempi molto più brevi rispetto a quelli previsti dal modello alternativo delle collisioni binarie tra grani [9], spiegando meglio di quest’ultimo la formazione di quei veri e propri “serbatoi di comete” costituiti dalla Fascia di Kuiper e dalla Nube di Oort.