Se per gli idealisti, come Hegel, la realtà è contenuta nella coscienza… come si giustifica l’esistenza dell’ “altro da me”?

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Georg Wilhelm Friedrich Hegel (1770-1831)

Le filosofie idealiste si manifestano in varie forme e sfaccettature che vanno da Platone a Sant’Agostino, da Berkeley agli idealisti cosiddetti romantici (Fichte, Shelling e Hegel), per arrivare fino a Benedetto Croce e Giovanni Gentile.

Al di là delle loro differenze, queste filosofie hanno in comune il ruolo centrale affidato alla coscienza umana. In pratica i filosofi idealisti negano l’esistenza di una realtà esterna in sé (il cosiddetto “noumeno” kantiano) e sostengono solamente la realtà del “fenomeno”, ovvero ciò che la nostra coscienza percepisce.
Una forma estrema di idealismo è rappresentata dal solipsismo, concezione filosofica secondo la quale esiste unicamente l’individuo pensante e tutto ciò che lui crede realtà è invece frutto della propria coscienza.
 
Le filosofie idealiste hanno una loro logica. Se ci pensiamo bene, l’unica cosa di cui possiamo essere certi sono le nostre sensazioni e i nostri pensieri (il famoso Cogito ergo sum di Cartesio può anch’esso essere considerato una forma di idealismo). Nel corso della storia della filosofia, tuttavia, sono stati numerosi i tentativi di confutazione delle posizioni idealiste (e solipsiste in particolare) da parte di coloro che assumono invece una posizione realista. Costoro sostengono l’esistenza di una realtà esterna indipendente, che noi percepiamo attraverso i nostri organi di senso ed elaboriamo con il nostro cervello.
Una trattazione approfondita di tali problemi richiederebbe un ampio spazio. Consiglio al lettore questa mia precedente risposta, in cui fornivo anche alcuni links per eventuali approfondimenti:
 
Come già affermavo nella risposta precedente, io ritengo ci siano numerosi “indizi di realismo” che rendono oltremodo plausibile l’ipotesi dell’esistenza di una realtà esterna indipendente.
L’assunzione realista è un presupposto indispensabile alla scienza. Come ho cercato di illustrare nella risposta precedente, tuttavia, non si tratta di un’assunzione fideistica a priori, ma di un’ipotesi corroborata da ciò che la scienza riesce a dedurre.
È piuttosto interessante, tuttavia, che la stessa scienza metta in evidenza il fatto che ciò che talvolta noi percepiamo sia molto diverso dalla “realtà” (o meglio da ciò che riusciamo a comprendere di essa con un esame più approfondito). La psicologia cognitiva e le neuroscienze hanno fornito in tal senso innumerevoli esempi di come la nostra mente, attraverso gli organi di senso, non si limiti a registrare la realtà: non si comporta cioè come una semplice telecamera. Al contrario la nostra mente costruisce la realtà, sfruttando sì gli stimoli sensoriali ricevuti, ma utilizzando anche ampiamente le proprie esperienze pregresse. In pratica più che come una telecamera, la mente agisce come un regista. La nostra intelligenza, tuttavia, ci consente di renderci conto di ciò e correggere le percezioni illusorie di cui talvolta siamo vittime. Ovviamente tutto ciò, per essere interpretato in una prospettiva idealista, richiederebbe notevoli contorsionismi mentali. Nella visione realista offerta dalla scienza trova al contrario un’interpretazione semplice ed efficace.
 
In conclusione, a me sembra che la visione realista consenta un’interpretazione molto più semplice e lineare della realtà, in accordo con il principio metodologico noto come rasoio di Occam: «Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem» (ovvero, sono sempre preferibili le ipotesi più semplici).

Anche se dal punto di vista strettamente logico le premesse idealiste sono difficilmente attaccabili, esse conducono ben poco lontano nella strada della conoscenza. La prospettiva realista, insieme alla scienza, al contrario, aumenta incredibilmente le nostre conoscenze e la nostra capacità di agire sulla realtà.

 

Nota: Osserviamo che la meccanica quantistica mette in evidenza le inevitabili interazioni tra osservatore e realtà osservata e come, a livello microscopico, sia proprio il processo di misura a determinare in qualche maniera il risultato della misura stessa. Alcuni autori interpretano questi fatti in chiave idealista, estremizzando però in tal modo alcuni risultati della meccanica quantistica (un testo celebre che fornisce questo tipo di interpretazione è, ad esempio: F. Capra, Il Tao della fisica, Adelphi 1982). Osserviamo tuttavia che la meccanica quantistica può essere perfettamente interpretata in chiave realista (si veda, ad esempio: G. Ghirardi, Un’occhiata alle carte di Dio, Il Saggiatore, 1997).