La teoria dell’evoluzione per selezione naturale ci fornisce anche questa risposta.
Ci mostra, infatti, come la semplicità ha potuto trasformarsi in complessità: come da organismi monocellulari si è passati ad organismi pluricellulari, e da questi a tessuti, organi, apparati e sistemi all’interno di corpi animali sempre più organizzati. Non spiega solo la formazione dei corpi degli organismi ma anche i loro comportamenti e gli istinti finalizzati alla sopravvivenza e alla trasmissione dei caratteri ai loro discendenti.
Da tempo è entrata a far parte dei libri di testo di biologia, che trattano temi riguardanti l’origine e l’evoluzione della vita, un’altra teoria complementare, anche se generalmente viene considerata dai biologi con un lavoro di radicale estremismo. E’ la teoria di Darwin espressa sotto una diversa prospettiva: non si occupa del singolo organismo e della selezione individuale, ma guarda la natura dal punto di vista del gene. È nota sotto il nome de “ Il gene egoista”. L’autore, il biologo evolutivo Richard Dawkins l’ha esposta in diverse sue opere divulgative, quali ad esempio: “ Il fenotipo esteso”, “L’orologiaio cieco” e quella da cui tale teoria prende il nome “Il gene egoista”. In questi lavori Dawkins affronta anche i temi riguardanti il comportamento degli animali, gli istinti, la sopravvivenza e la riproduzione, visti sotto una luce nuova.
In sintesi, tutto ebbe inizio 3,5 miliardi di anni fa. La Terra era un pianeta altamente inospitale, con concentrazioni di CO2 , metano e ammoniaca estremamente elevate rispetto al solvente in cui erano disciolte, cioè l’acqua. Tuttavia, all’interno di questa soluzione, che i biologi chiamano brodo primordiale, è avvenuto qualcosa di importante che ha cambiato per sempre il corso degli eventi su questo pianeta rispetto agli altri del sistema solare. Questi semplici composti di partenza hanno avuto il tempo di reagire tra di loro, favoriti dall’energia proveniente dalle scariche elettriche presenti nell’atmosfera, originando delle molecole complesse organiche: gli amminoacidi. Oggi sappiamo che ne esistono di diversi tipi, che si possono legare tra di loro e che a seconda della sequenza in cui sono disposti formano particolari tipi di proteine. In origine, una di queste deve aver avuto una proprietà particolare: quella di replicarsi, cioè formare copie di sé stessa. A prima vista la duplicazione di una molecola può apparire come un evento altamente improbabile, tuttavia le probabilità dipendono anche dall’intervallo di tempo che consideriamo. Se per esempio giocassimo la schedina del totocalcio ogni settimana per 100 milioni di anni è probabile che vinceremmo parecchi 13. In quest’ottica anche un fenomeno molto improbabile può diventare probabile. Questa nuova molecola si chiama “REPLICATORE” e la sua esistenza è subordinata dalla concentrazione di subunità fondamentali di amminoacidi presenti nel brodo primordiale. Per fare un altro esempio, possiamo immaginare il replicatore come un treno composto da una colonna di vagoni, questi ultimi rappresentano le subunità di amminoacidi. Finché nella soluzione sono presenti in abbondanza vagoni è probabile che questi si leghino ad altri vagoni simili e quindi formino altri treni con la stessa sequenza del replicatore originario. Quindi ogni replicatore fungerà da stampo per altri replicatori indipendenti che a loro volta riprodurranno altri replicatori e il loro numero nel brodo primordiale crescerà in modo esponenziale. É plausibile che durante questo enorme lasso di tempo avvenissero degli errori di copiatura, e quindi non tutti i replicatori erano identici: alcuni per esempio presentavano delle sequenze di amminoacidi che conferivano loro la proprietà di essere maggiormente longevi, altri di essere più efficienti nella copiatura e altri ancora di creare copie di sé stessi con più rapidità. Si formarono quindi tutta una serie di varietà di replicatori con caratteristiche diverse: fedeltà di copiatura, longevità e fecondità, e dovevano coesistere e competere nel brodo primordiale. I replicatori con le caratteristiche migliori prevalsero su quelli meno efficienti che divennero sempre meno numerosi. Fu questa la prima forma di selezione naturale: una lotta primordiale per accaparrarsi le subunità migliori e replicarsi più fedelmente possibile, e tutto era lecito. Quando le subunità iniziarono a scarseggiare la concorrenza divenne ancora più serrata e tra le diverse varietà di replicatori ne comparve uno in grado di attaccare chimicamente altri concorrenti per scomporli in subunità, risorsa sempre più preziosa. Possiamo chiamarli i proto-carnivori replicatori; intanto dall’altra parte, le proto-prede replicatrici escogitavano il modo per non farsi mangiare riparandosi attorno ad una barriera: la prima membrana della storia. Questa continua corsa alle armi fece evolvere replicatori sempre più complessi ed efficienti il cui scopo era sopravvivere per creare copie di sé stessi.
Attualmente sono stati effettuati una serie di esperimenti in laboratorio con un virus chiamato Q-beta che vive come parassita nei batteri presenti anche nel nostro intestino (Escherichia coli). Questo virus contiene un singolo filamento di RNA che è stato isolato: si è visto che questa molecola si è duplicata numerose volte creando varietà stabili, alcune delle quali anche molto specializzate e munite di una membrana protettiva.
Ci sono diverse ipotesi che spiegano la formazione del DNA a partire da replicatori le cui subunità, invece di essere degli amminoacidi erano i nucleotidi. La membrana cellulare prima, e quella nucleare poi, non sono altro che dei sistemi di protezione programmati dai replicatori (il DNA) per assicurarsi la perpetuazione: l’immortalità. Il DNA è eterno: salta da un organismo all’altro, tutto resto che gli ruota attorno è temporaneo e serve solo come mezzo per garantire la sopravvivenza del replicatore. Quindi, i corpi dei diversi organismi in tutte le varie specie non sono altro che delle macchine da sopravvivenza progettate dai replicatori. Le azioni e i movimenti che compiono i corpi coordinati dall’encefalo, il comportamento sociale, l’istinto, la predazione, la riproduzione che vediamo nelle diverse classi di animali, non sono altro che ulteriori miglioramenti che i replicatori hanno apportato per poter competere con altri replicatori sempre più agguerriti. Tale processo è cumulativo e si trasmette da una generazione all’altra attraverso il DNA, e lo fa prima che il corpo su cui viaggia soccomba, duplicandosi nelle cellule uovo e negli spermatozoi. I corpi e i comportamenti degli animali non replicano sé stessi, ma lavorano per propagare i loro replicatori.
Dawkins scrive: “Il comportamento di un animale tende a massimizzare la sopravvivenza dei geni “di” quel comportamento…”. “ I geni lavorano per costringere una serie di organismi a propagarli.” “I replicatori non hanno un comportamento, non percepiscono il mondo, non catturano prede né fuggono i predatori, ma si costruiscono veicoli che fanno tutte queste cose.”
In sostanza secondo questa teoria la natura è un campo di battaglia tra replicatori che combattono (ma possono anche cooperare) per un futuro nella genetica a venire. Le armi originariamente erano effetti chimici diretti che agivano per sciogliere il replicatore, i seguito si sono perfezionati in zanne, penne, artigli, mimetismo, parassitismo, simbiosi, istinti e comportamenti vari di sopravvivenza, riproduzione, predazione etc.
A proposito dei replicatori originari Dawkins prosegue: “Essi si trovano dentro di voi e dentro di me, ci hanno creato, corpo e mente e la loro conservazione è lo scopo ultimo della nostra esistenza. Hanno percorso un lungo cammino, questi replicatori e adesso sono conosciuti sotto il nome di geni e noi siamo le loro macchine di sopravvivenza.”
Per concludere è utile anche esprimere una nota di dissenso proveniente dal celebre paleontologo Stephen J. Gould che considera presuntuoso parlare di un azione conscia dei geni. I geni non pianificano nè progettano, essi non agiscono come astuti agenti della propria conservazione; tuttavia dà il merito a Dawkins di aver reso l’evoluzione accessibile a tutti, studiandola dal punto di vista del gene. Continua affermando che non importa quanto Dawkins dia potere ai geni, poichè in ogni caso c’è una cosa che non può dare a loro: quella di essere visibili alla selezione naturale; deve usare l’intermediazione dei corpi; la selezione vede solo i corpi, non un pezzetto di DNA nascosto all’interno della cellula.
Fonti:
Dawkins, R.; (1979), Il gene egoista, Mondadori, Milano.
Dawkins R.; (1988) L’orologiaio cieco, Mondadori, Milano.
Gould S. J.; (1980) Il pollice del panda, il Saggiatore, Milano