Vorrei sapere se il bambù Phyllostachys Aurea h=10-12m, d=5/6cm che è classificato con forma biologica Pscap (fanerofite arboree), avendo tronco ben individuabile e ramificazioni a maturità ad altezza ben superiore ai 2m., indicato dallo stesso Pignatti con il simbolo dell’albero, debba essere equiparato albero o ad un arbusto? Grazie Carlo

Vorrei fare una premessa.

L’uomo da sempre ha cercato di incasellare e di dare un nome a tutte le diverse forme di vita che incontrava

Ogni organismo doveva avere un nome, doveva essere etichettato, sistemato in un determinato archivio. Da qui la parola “sistematica”: zoologia sistematica e botanica sistematica.

La natura si presentava sotto un’infinità di forme, e per comprenderla i primi naturalisti avevano bisogno di classificare e sistemare in qualche casella gli organismi. Il noto giornalista scientifico Piero Bianucci ha affermato: “C’è un fascino sottile nelle classificazioni. Saranno anche noiose, però sono rassicuranti, ti danno la sensazione di possedere una bussola per muoverti nel Creato.”

Nel regno vegetale per riconoscere una pianta occorre averla classificata in precedenza. 

I botanici tuttavia non si sono soffermati solo sull’aspetto ‘qualitativo’, cioè tipo di specie o varietà, ma anche su quello ‘quantitativo’. Le specie vegetali formano popolazioni che non vivono isolate ma convivono con altre specie, formano delle associazioni vegetali. Ora una specie può essere più o meno presente in una determinata area rispetto ad un‘altra. Ci sono specie caratteristiche della zona e specie compagne, quest’ultime sono presenti in percentuali decisamente più basse. Per conoscere le percentuali occorre contare quante ce ne sono in un campione di vegetazione. Se abbiamo a che fare con un prato brucato regolarmente dalle capre il discorso è semplice, perché più o meno i diversi individui delle specie avranno tutte all’incirca la stessa altezza. Ma quando dobbiamo classificare da un punto di vista quantitativo un bosco la questione cambia.  È possibile notare che il bosco è formato da strati: ci sono individui arborei molto alti che competono tra loro per la luce, poi ci sono altre specie che non hanno tutte queste esigenze e possono benissimo vivere in uno strato inferiore: sono gli arbusti. Poi ci sono specie ancora più piccole che sfruttano i momenti di quiescenza vegetativa dei loro rivali più alti per svolgere le funzioni vitali: sono le erbacee. In sostanza ci sono 3 strati. L’abbondanza di una specie in questo caso non si valuta solo su una dimensione: l’estensione dell’area campione, ma anche sul loro sviluppo in altezza. Un specie può essere presente al 90% nello strato arboreo, ma solo il 9% in quello arbustivo e l’1% in quello erbaceo. Questo perché un albero non viene collocato in quel posto già adulto, ma si sviluppa come semenzale (piccola piantina) poi cresce a livello degli arbusti e infine, se trova lo spazio sufficiente, si estenderà quanto più possibile in altezza. Tuttavia, l’incasellamento a strati di un bosco è solo uno stratagemma inventato dai botanici per poter dare un indice di abbondanza ad una specie, in realtà in natura non esiste un ordine gerarchico di sviluppo in altezza così rigoroso. Se in una dato momento una specie è presente al 10% nello strato arbustivo, in un altro momento può essere presente al 60%, perché nel frattempo qualche individuo dello strato arboreo può essere caduto o abbattuto da un temporale. Gli individui di alcune specie dello strato arbustivo – se nel loro patrimonio genetico è previsto – con la nuova risorsa di luce, possono svilupparsi in altezza e occupare la nicchia delle specie arboree. Oppure, se nessuna specie arborea è schiantata durante la tormenta,  è probabile che molti individui giovanissimi siano rimasti a livello dello strato erbaceo per un po’ di tempo. Per esempio, ci sono stati casi di arbusti di biancospino (Crataegus monogyna Jacq.) che sono cresciuti quansi come un albero in una zona dove temporaneamente è venuto amancare lo strato arboreo; oppure esistono casi di maggiociondolo (Laburnum anagyroides Medik.) che sono rimasti confinati come arbusti per diverso tempo perché altre specie le impedivano uno sbocco verso la luce.

Sia gli alberi che gli arbusti sono piante perenni i cui cicli biologici in uno stesso ambiente sono i medesimi, tuttavia l’aspetto cespuglioso di alcune specie è determinato anche dalle condizioni ambientali pregresse in cui tali specie si sono evolute. Un albero molto alto, per esempio, non potrà mai svilupparsi in ambiete alpino, oltre i 2000 m alle nostre latitudini, poichè verrebbe quasi sicuramente rimpiazzato dalla selezione naturale; in queste condizioni estreme vengono privilegiati gli individui più tozzi e piccoli, con le ramificazioni principali che si dipartono già dalla base e in grado di resistere alle forti raffiche di ventoe al carico di neve. Per esempio, restando nella fascia alpina esistono dei salici prostrati (Salix reticulata L. ) che se si esaminano bene, sono a tutti gli effetti degli alberi nani, con un fusto principale incredibilmente corto.

 Salix erbacea L.scattata a 2300 m sul Colle dl Piccolo San Bernardo
Dal punto di  vista della disposizione dei fasci  del legno e del libro (che portano verso l’alto l’acqua e la linfa verso vari distretti) non esistono differenze sostanziali. tra alberi e arbusti.

La collocazione che noi diamo alla forma di una specie è solo un artefatto per poterla descrivere da un punto di vista quantitativo o ecologico. La fitosociologia è una branca della botanica che ha bisogno di conoscere l’abbondanza relativa di una specie in dato momento in una determinata zona. Solo che il rilievo che compie un fitosociologo è puntuale a livello di tempo. Ha un’indicazione in quel preciso momento, ma se potesse vivere costantemente con la specie vedrebbe che può occupare qualsiasi livello della stratificazione. Certo una pervinca (Vinca minor L.) o una polmonaria (Pulmonaria officinalis L.), che sono specie sciafile del sottobosco e vivono a livello erbaceo, non si svilupperanno mai con alberi o arbusti, perché non è previsto nel loro codice genetico. Perciò l’utilità di far rientrare in una casella un albero o un arbusto è marginale, almeno che non si debba scrivere un trattato di botanica.

Ora rispondo alla sua domanda.

Il bambù appartiene alla famiglia delle Poaceae le cui specie solitamente in Italia si presentano allo strato erbaceo, tuttavia nel caso del bambù gli individui possono formare popolazioni abbastanza estese se il luogo è umido e raggiungere altezze considerevoli (fino a 30 m!). Il fusto in questa famiglia prende il nome di culmo ed è cavo. Lungo il fusto si trovano ingrossamenti che si dicono nodi in corrispondenza dei quali il fusto è pieno; da qui prendono origine le foglie e le ramificazioni laterali.

Definirlo "albero" o "arbusto" solo perché raggiunge una determinata altezza, non è corretto. Il sito Usda Plants statunitense lo definisce "arbusto"; tuttavia, in realtà è un caso particolare di Graminoide che la selezione naturale cumulativa ha indirizzato in questa forma molto alta per motivi che non possiamo conoscere ma che dipendono dall’economia della natura dove questa specie si è evoluta.

Ripeto, l’incasellamento come "alberi" o "arbusti" ha senso solo in un trattato di botanica sistematica, dove bisogna riempire uno spazio perché le altre specie lo possiedono. In realtà, quando si affrontano temi naturalistici, bisogna scendere dal piedistallo e guardare alle forme di vita non come qualcosa di statico e preordinato, ma come un continuo divenire, mutare, in un susseguirsi di forme e trasformazioni avvenute gradualmente in un periodo di tempo lunghissimo.

Fig A http://aboutbamboo.free.fr/Bamboo%20Images/bamboohand2.jpg

Fig B http://www.completebamboo.com/bamboo_anatomy.html

Bibliografia

  1. Cerutti A. Il nuovo Pokorny Loescher Ed. 
  2. http://plants.usda.gov/java/profile?symbol=PHAU8  
  3. http://www.completebamboo.com/bamboo_anatomy.html
  4. http://www.earmi.it/ricette/alberi.htm
  5. http://www.sardegnaambiente.it/foreste/flora_fauna/flora/arbusti.html