L’operatore differenziale, o operatore nabla, viene trattato come un vettore esso stesso, non godendo, tra l’altro, della proprietà commutativa. Benché la Matematica faccia spesso uso di queste “astrazioni”, vorrei sapere come è possibile per un funzionale giustificare quanto detto.

Leggendo la prima parte della domanda posta si resta subito un po’ perplessi sul contenuto: cosa significa che un vettore (o un operatore) non gode della proprietà commutativa? La proprietà commutativa è solitamente una proprietà che è riferita ad un’operazione binaria definita su un certo insieme, di solito una struttura algebrica.

Premesso ciò però ritengo la domanda interessante, poiché offre spunto per notare che la questione della rappresentazione delle applicazioni lineari e continue diventa un problema non banale in dimensione infinita.

Analizziamo quindi prima di tutto la situazione in dimensione finita. Sia f : A → R una funzione differenziabile, con A aperto di Rn. Allora, per definizione, per ogni x ∈ A l’applicazione df(x) : RnR è lineare e continua. Ne segue che, essendo Rn di dimensione finita, esiste un unico vettore v(x) ∈ Rn tale per cui df(x)(y)=<v(x),y>, essendo <∙,∙> il prodotto scalare canonico in Rn. Tale vettore v(x) si denota anche con ∇f(x) e viene detto gradiente della funzione f in x. Utilizzando le ben note relazioni tra differenziale e derivate direzionali si vede facilmente che le componenti del vettore ∇f(x) sono le derivate parziali di f, ovvero le derivate direzionali rispetto alla base canonica {e1,…,en} di Rn. Dunque si ha

∇f(x)j=∂f/∂xj, j=1,…,n.

Ne segue che tutto il calcolo differenziale per funzioni differenziabili può essere fatto sfruttando tale rappresentazione del differenziale come vettore gradiente; in particolare il calcolo differenziale si riduce all’algebra lineare applicata alla matrice jacobiana, ovvero la matrice che rappresenta il differenziale, come operatore lineare, rispetto a basi fissate  (nel caso del gradiente si tratta di un vettore, si ha una matrice che non è né vettore riga né colonna nel caso in cui f abbia valori vettoriali).

Il vettore gradiente può anche essere pensato, soprattutto in forza della sua notazione, come "operatore" ∇ che agisce sulla funzione f; per quanto detto sopra l’operatore preciso è il differenziale, che per l’appunto si rappresenta con il vettore gradiente. L’uso del simbolo ∇ per denotare, formalmente, l’operatore che manda f nel vettore ∇f delle derivate parziali è comoda soprattutto in vista della computazione, in coordinate cartesiane ortogonali, di altri operatori differenziali, quali la divergenza o il rotore di campi vettoriali (in R3 se è il caso del rotore). Infatti in tal caso, come è ben noto, formalmente si ha

div V = <∇,V>    rot V = ∇ ∧ V

essendo ∧ il prodotto vettoriale in R3. Ovviamente, tali non sono le definizioni di divergenza e rotore, ma solo un modo conveniente per ricordare come essi si calcolano in coordinate cartesiane ortogonali. Come nel caso del gradiente, anche divergenza e rotore potrebbero essere introdotti allo stesso modo, rappresentando un particolare funzionale lineare e continuo; infatti grazie a importanti teoremi di calcolo integrale divergenza e rotore verificano relazioni di tipo "integrazione per parti" (cfr. teorema della divergenza, teorema di Stokes).

Approfondimento

Il problema della rappresentazione dei funzionali lineari e continui non è facilmente generalizzabile alla dimensione infinita; infatti se f : A → R è una funzione differenziabile secondo Fréchet (si tratta di usare solo la stessa definizione di differenziale del caso della dimensione finita), con A aperto di X, essendo X spazio normato qualunque, allora, per definizione, per ogni x ∈ A l’applicazione df(x) : X→ R è ancora lineare e continua, ma stavolta non è più vero, in generale, che esiste un elemento v(x) ∈ X che rappresenta df(x), rappresentazione che per altro in questo contesto non avrebbe nemmeno senso, dal momento che in X non è definito un prodotto scalare. C’è però un caso in cui tutto si può fare, ed è il caso in cui X sia uno spazio di Hilbert H, ovvero uno spazio unitario (spazio vettoriale dotato di un prodotto scalare <∙,∙>H) che sia anche completo (ogni successione di Cauchy converge) rispetto alla metrica indotta dal prodotto scalare:

dH(x,y):=<x-y,x-y>H1/2.

Allora in tal caso esiste un fondamentale teorema appartenente alla teoria degli spazi di Hilbert, detto teorema di rappresentazione di Riesz, il quale afferma che dato un funzionale lineare e continuo L : H → R esiste uno ed un solo v ∈ H tale che L(y)=<v,y>H per ogni y ∈ H. Applicando il teorema di rappresentazione di Riesz al differenziale df(x) si ha, pure in questo contesto, una nozione di gradiente della funzione f in x.