Per quali applicazioni e per quale motivo si discretizzano le equazioni di Maxwell?

Le equazioni di MAXWELL sono delle equazioni differenziali alle derivate parziali che descrivono il comportamento del campo elettromagnetico in qualunque condizione e in qualunque zona di spazio. Naturalmente a questa affermazione fanno eccezione i casi in cui è necessario considerare il comportamento quantistico del campo elettromagnetico, in tal caso si utilizza l’Elettrodinamica Quantistica che però ha comunque dei legami con le suddette equazioni.

Il fatto che il campo elettromagnetico sia descritto mediante delle equazioni differenziali significa che esso è descritto da un insieme di funzioni (tre per le componenti cartesiane del campo elettrico e tre per le componenti cartesiane del campo magnetico) continue reali dipendenti da variabili reali (le variabili indipendenti sono invece quattro: tre per le dimensioni spaziali e una per il tempo). Il fatto che le variabili di queste funzioni siano più di una rende le equazioni alle derivate parziali. In termini meno matematici, l’uso di questo tipo di equazioni parte dal fatto che, in fisica classica, sia le grandezze fisiche sia la posizione dei punti nello spazio e ancora gli intervalli di tempo, sono grandezze continue, cioè si passa da un valore all’altro senza interruzione. Quest’ultima osservazione è vera per il campo elettromagnetico solo se il materiale di cui è riempito lo spazio in analisi non presenta brusche variazioni di proprietà: se analizzo il comportamento di un contenitore che è riempito per metà di acqua allora è possibile che i campi elettrico e magnetico abbiano una discontinuità, cioè una variazione con salto, nell’attraversare la superficie di separazione acqua-aria.

Quanto detto serve per chiarire un fatto fondamentale: il comportamento esatto del campo elettromagnetico non può essere mai descritto mediante equazioni che non riguardino grandezze variabili con continuità. Allora quando è che si usano delle equazioni discretizzate?

Per capire questo bisogna tenere presente che per le equazioni differenziali alle derivate parziali non esistono formule risolutive, perché la forma esatta della soluzione viene a dipendere fortemente da diverse proprietà del dominio dell’equazione e delle funzioni note che vi compaiono. Quasi sempre la soluzione esatta di un’equazione differenziale alle derivate parziali si ottiene in presenza di proprietà geometriche particolari che permettono di trasformare l’equazione alle derivate parziali in un insieme di equazioni differenziali ordinarie più o meno indipendenti tra loro. Invece in molti casi reali la regione da analizzare può presentare delle irregolarità che rendono difficile, se non impossibile, risolvere esattamente le equazioni di MAXWELL relative. Questo può accadere per molteplici motivi, ad esempio:

1) forma non regolare della regione;

2) variazioni complicate, anche se continue, delle proprietà del mezzo materiale presente;

3) disposizione complicata o variazioni complicate, nello spazio e/o nel tempo, delle cariche e delle correnti presenti nella regione;

4) presenza di conduttori di forma irregolare (per esempio, questo si presenta ogni volta che si studia il comportamento del campo elettromagnetico in prossimità di un’antenna).

In questi e altri casi, non essendo possibile ottenere una soluzione esatta, si usano le equazioni discretizzate. Questo significa che si suddivide la regione di spazio in tante cellette di volume molto piccolo, all’interno del quale si approssima ogni grandezza fisica con un valore costante, che in genere è preso come il valore nel punto centrale della celletta. Naturalmente è necessario discretizzare anche le operazioni di derivata dato che, non essendo più lo spazio continuo, non si può calcolare la derivata nel solito modo. Un modo ingenuo di fare questo è semplicemente approssimare una derivata con il rapporto incrementale

 

 

dove x è una delle coordinate di un centro di una celletta e l’incremento è la differenza tra i valori della coordinata x dei centri di due cellette adiacenti, per cui al numeratore c’è la differenza tra i valori della funzione in due cellette adiacenti. Tuttavia questa approssimazione è poco precisa, inoltre finisce per creare un’asimmetria artificiale, perché ogni derivata viene calcolata tenendo presente solo i valori da un certo lato della celletta. Inoltre è un metodo che non si estende con precisione alla derivata seconda, operazione che invece è presente nelle equazioni di MAXWELL. Per ovviare a questi problemi si sfrutta lo sviluppo in serie di TAYLOR di una funzione che, fino al secondo ordine, e per entrambi i segni dell’incremento, è

 

Ora possiamo usare queste due uguaglianze come se fossero una sistema di equazioni nelle incognite f’(x) e f”(x), ottenendo

queste formule ora trattano in maniera identica le cellette di entrambi i lati della celletta in cui dobbiamo calcolare le derivate. Inoltre sono più precise. Infatti si può verificare che il rapporto incrementale approssima la derivata prima con un errore che è lineare nel rapporto tra distanza tra celle adiacenti e dimensioni totali della regione, invece la derivata prima calcolata con lo sviluppo in serie di TAYLOR ha un errore che è proporzionale al cubo di tale rapporto, mentre addirittura la derivata seconda calcolata con lo sviluppo in serie di TAYLOR  ha un errore che è proporzionale alla potenza quarta di tale rapporto.1

In questo modo le equazioni differenziali diventano delle ordinarie equazioni algebriche, anche se il numero di incognite è talmente elevato da richiedere comunque l’uso di un computer per il loro calcolo.

Per concludere c’è da dire che la discretizzazione delle equazioni di campo non è un’esclusiva dell’elettrodinamica, anche se questa è forse la parte della fisica dei campi che ha maggiori applicazioni e che quindi usa questo metodo in maniera più massiccia, ma viene usata per ogni insieme di equazioni che descrivono grandezze fisiche variabili con continuità in condizioni che non permettono soluzioni esatte. Calcoli di questo tipo sono eseguiti per esempio in Relatività Generale sulle equazioni di EINSTEIN e in Fluidodinamica sulle equazioni di NAVIER-STOKES.

 

 

1 Nel valutare questa affermazione bisogna tenere presente che la distanza tra due cellette adiacenti è naturalmente inferiore alla dimensione della regione completa, per cui il rapporto di cui si parla è certamente minore di 1 e le potenze dei numeri minori di 1 sono tanto più piccole quanto maggiore è l’esponente. Per cui maggiore è la potenza del rapporto e minore è l’errore che si commette con la discretizzazione.