Come mai i batteri alofili riescono a vivere in condizioni di così alta salinità?

I generi di procarioti che vivono in habitat caratterizzati da condizioni estreme (elevata salinità, bassa concentrazione di ossigeno, alta temperatura e valori estremi di pH) sono raggruppati nella divisione degli Archeobatteri. Il nome di questo gruppo di microrganismi (dal greco archanios, antico) fa riferimento all’antichità della loro origine. Molti archeobatteri vivono in ambienti estremi, probabilmente molto simili alle condizioni che erano presenti sulla Terra durante le prime fasi dell’evoluzione dei procarioti.

Se consideriamo le caratteristiche dell’ambiente nel quale vivono, gli archeobatteri appaiono un gruppo decisamente disomogeneo, mentre in realtà presentano molte caratteristiche comuni, come la composizione della loro parete cellulare e la sequenza delle basi del loro RNA. In particolare, la parete cellulare non è costituita da peptidoglicani, molecola caratteristica della parete di un batterio.

La divisione degli archeobatteri viene scomposta in tre gruppi: i termoacidofili, i metanogeni e gli alofili stretti.
Gli alofili (dal greco hals, sale e philos, amico) vivono in habitat salini quali il Grande Lago Salato degli Stati Uniti o il Mar Morto, cha ha una concentrazione salina di circa 10 volte superiore a quella degli altri mari (340g/l).  Alcune specie si limitano a tollerare un elevato grado di salinità, mentre altre per crescere richiedono la presenza di un ambiente con una salinità 10 volte maggiore di quella dell’acqua marina. Le colonie di alofili formano pellicole rosa il cui colore è dovuto alla presenza di un pigmento fotosintetico, derivato dai betacaroteni, detto batteriorodopsina. Questi gruppi vengono studiati con attenzione perché sono potenzialmente utili in campo biotecnologico sia per produrre carotenoidi, sia per individuare enzimi attivi in soluzioni saline molto concentrate.
http://biologia.campusnet.unito.it/didattica/att/e421.1801.file.pdf 

Molecola di batteriorodopsina da: http://www.egalois.org/infm/hl/nest/nest_applicazioni.htm

Molti organismi alofili o alotolleranti spendono energia per eliminare il sale del loro citoplasma, così da evitare la denaturazione delle proteine dovuta alla alta concentrazione salina. Questo  fenomeno viene chiamato  “salting out”. 

Una diversa strategia consiste nell’aumentare la osmolarità interna, in modo da sopravviere alla alta salinità. Per raggiungere questo risultato gli alofili usano due differenti strategie che evitano l’essiccamento dovuto ai movimenti osmotici dell’acqua dal citoplasma verso l’ambiente esterno, che è maggiormente concentrato. 

Nel primo caso, che si presenta nella maggioranza dei batteri, in alcuni Archea, in alghe e funghi, si accumulano composti organici nel citoplasma – detti soluti compatibili. In genere sono molecole neutrali o zwitterioni (Lo zwitterione è una molecola elettricamente neutra nel suo complesso che però presenta sia cariche positive che negative localizzate) come aminoacidi, zuccheri, polioli, betaine ed ectoine.
http://it.wikipedia.org/wiki/Zwitterione  

Nell’altro sistema l’adattamento è più radicale e coinvolge l’ingresso selettivo di ioni K+ nel citoplasma. Questo sistema è ristretto all’ordine batterico degli Halanaerobiales, moderatamente alofili ed al batterio estremamente alofilo Salinibacter ruber.  L’intera macchina cellulare (enzimi, proteine strutturali etc) deve essere in grado di funzionare ad alti livelli di sale, mentre nell’adattamento compatibile non è richiesto nessun adattamento. Infatti i soluti compatibili spesso agiscono come protezione dello stress generale. Analizzando il genoma batterico, si è trovato che le proteine del Salinibacter ruber  sono molto ricche in aminoacidi  idrofobici, cosa che li rende solubili e stabili a tali alte concentrazioni.

http://www.copernico.bo.it/subwww/lavoro%20evoluzione/ipertesto%20monere/html/archeobatteri.htm