Un corpo quando entra in orbita intorno ad un corpo di massa più grande entra sempre in un punto specifico della futura orbita, ad esempio il perelio, o in un punto qualsiasi della stessa? Quale forza e come costringe a rispettare sempre la stessa orbita?

Partiamo dall’ultima domanda, cioè da quale forza constringe un corpo sulla sua orbita. In realtà le leggi della dinamica di Newton impongono che un corpo poco massiccio orbiti naturalmente attorno ad uno molto più massiccio del primo; è una diretta conseguenza della conservazione dell’energia e del momento angolare del corpo orbitante. Il fatto sorprendente semmai è come mai un corpo possa venire “catturato” in un’orbita stabile, se non lo era in precedenza.
Infatti, se consideriamo una dinamica puramente di due corpi, per esempio un pianeta e una sonda spaziale, di cui uno di massa trascurabile rispetto all’altro e posto a grande distanza dal primo, si verifica con le leggi della dinamica che esso non può entrare in orbita intorno al corpo massiccio. In particolare esso seguirà una traiettoria parabolica o iperbolica, a seconda che la sua velocità iniziale rispetto al centro di massa sia nulla o positiva; dunque, dopo aver raggiunto un minimo avvicinamento al pianeta, punto nel quale raggiunge anche la velocità massima, la sonda si allontanerà lungo un percorso simmetrico a quello di avvicinamento, finendo per perdersi nuovamente a distanza infinita.
L’”assurdo” è che, nella situazione semplice descritta pocanzi, solo un corpo che è già in orbita può rimanere in orbita! E’ una pura questione di conservazione dell’energia: se anche a distanza infinita la sonda aveva velocità nulla rispetto al pianeta (situazione ancor peggiore per velocità non nulla), dopo aver raggiunto la distanza minima e aver convertito parte della sua energia potenziale gravitazionale in velocità (energia cinetica), quest’ultima si converte “all’indietro” in modo conservativo durante il moto di ritorno, dunque è costretta ad allontanarsi in modo indefinito per convertire l’energia cinetica accumulata. La sonda non può dunque avere un periastro (punto più distante dal pianeta, in cui la velocità radiale si annulla e l’energia cinetica è minima) a distanza finita e di conseguenza non può avere nemmeno un’orbita chiusa.

Affinchè la nostra sonda possa entrare in orbita, bisogna in qualche modo dissipare parte della sua energia, in che si può fare in più di un modo. Il metodo classico è quello di accendere i motori della sonda in un qualche punto della sua orbita, rivolgendo gli ugelli in direzione opposta a quella del moto; in tal modo si espelle parte della massa della sonda (il gas dei motori) in direzione del moto, mentre la parte restante perde velocità.
Un altro modo è quello di dissipare l’energia cinetica in calore per frenamento aerodinamico; è la cosiddetta manovra di “aerobraking”, in cui si fa entrare la sonda negli strati superiori e poco densi dell’atmosfera del pianeta, in modo che, per attrito, parte dell’energia si converta in calore e si perda velocità. Si tratta in questo caso di una manovra molto delicata, sia perché si rischia di surriscaldare la sonda e danneggiare le sua parti mobili esposte (antenna, pannelli solari, ecc…), sia perché se la si fa entrare troppo profondamente in atmosfera si potrebbe avere una perdita di quota eccessiva e finire per precipitare sul pianeta.
Va notato che alcune teorie di formazione del sistema solare affermano che probabilmente molti piccoli satelliti naturali dei pianeti maggiori sono ex-asteroidi “catturati” dai pianeti principali. Anche in questo caso la cattura deve essere avvenuta per dissipazione di parte dell’energia orbitale, e quindi è accaduta probabilmente nelle prime fasi di formazione del sistema solare, quando c’era ancora un denso disco di accrescimento intorno al sole e ai pianeti, tale da poter fungere da efficace freno aerodinamico.
Ci sono poi altri effetti non inerziali che in taluni casi diventano rilevanti. Per esempio le comete, rilasciando potenti getti di materia, possono comportarsi come sonde dotate di razzi e cambiare in modo significativo le loro orbite.
Inoltre c’è il cosiddetto effetto Yarkovsky che domina la dinamica a lungo termine degli asteroidi con rapido moto di rotazione; in pratica il sole riscalda la faccia esposta ad esso, dopo di che la rotazione porta la faccia dell’asteroide riscaldata nella zona in ombra, dove emette fotoni infrarossi, e con essi la loro quantità di moto, che agisce come una spinta debolissima ma continua sul sistema. Se dunque la rotazione porta la faccia riscaldata prevalentemente in direzione del moto si ha un rallentamento progressivo dell’asteroide e il restringimento dell’orbita, se invece rivolge questa faccia in “coda” al moto si ha un’accelerazione con allargamento dell’orbita.

Tutti i discorsi fatti fin qui sono validi solo in presenza di due corpi. Se i corpi coinvolti sono 3 o più, la situazione si complica parecchio, e non esiste una soluzione univoca. Quello che si può dire è che l’effetto combinato di due i più pianeti può in teoria portare un oggetto a finire in orbita intorno ad un altro, anche se solitamente la situazione è instabile, e l’orbita non si mantiene indefinitamente inalterata.

Dopo questi discorsi, appare quasi scontata quale sia la risposta alla domanda principale posta dal lettore. L’immissione nell’orbita può avvenire in qualsiasi momento e punto: dipende dalle modalità di dissipazione dell’energia orbitale. Solitamente non si tratta di immissione in orbita “puntuale”, che avviene in un particolare istante, ma più probabilmente di una lenta evoluzione della traiettoria verso l’orbita definitiva (ammesso che ve ne sia una), mano a mano che l’effetto non inerziale agisce. L’unica eccezione di rilievo sono le sonde spaziali costruite dall’uomo e che usano motori a razzo per le manovre.

Orbita di trasferimento
Esempio di orbita di trasferimento

Nel caso dei motori a razzo, generalmente le manovre vengono compiute all’apoastro e al periastro, in quanto questo fornisce alcuni vantaggi nella manovra stessa. Per esempio, se non si azionano i razzi durante la navigazione tra apoastro e periastro, la traiettoria si sviluppa lungo un tratto di ellisse, chiamata orbita di trasferimento, i cui parametri orbitali sono facilmente calcolabili. Inoltre se si azionano i motori al periastro, puntando gli ugelli in direzione del moto, si ha l’effetto di ottenere una nuova orbita con uguale periastro ma con apoastro abbassato, “stringendo” l’orbita ma mantenendola tangente alla precedente al periastro; dualmente se si puntano i motori in direzione opposta all’aopastro, si allontana il periastro allargando l’orbita, pur mantenendola sempre tangente, questa volta all’apoastro.