Potrebbe spiegarmi cosa sono le onde di gravità e quelle di shallow water nel campo dell’oceanografia fisica?

Le onde di gravità e le onde shallow water, pur essendo entrambe fenomeni che riguardano i mari e gli oceani, sono due tipi di onde sostanzialmente diverse.

La prima e fondamentale diversità consiste nella diversa causa che le generano:

        – le onde di gravità sono le comuni onde generate dall’azione del vento sulla superficie del mare:

        – le onde shallow water sono le onde di uno tsunami che possono essere provocate da csuse diverse.

Le onde di gravità
Quando il vento spira sul mare, ha come conseguenza l’effetto di deformare la sua superficie, non solo nell’area dove soffia, ma, a volte, anche in zone lontane centinaia di chilometri.
Infatti è possibile osservare il mare agitato anche in aree prive di vento, in quanto la deformazione non si smorza nello stesso momento in cui questo cessa, ma si attenua lentamente. La superficie del mare, rispetto allo stato di quiete, sotto il pulsare del vento, presenta innalzamenti ed avvallamenti che si susseguono con una certa regolarità, tanto che il loro movimento può essere ricondotto al concetto fisico di onda.
 
L’onda marina è caratterizzata da diversi elementi: “l’altezza”, intesa come distanza secondo la verticale tra la cresta e il ventre, cioè tra la parte più alta e più bassa dell’onda; la “lunghezza”, ossia la distanza orizzontale tra due creste o due ventri successivi; la “velocità” di propagazione, cioè lo spazio percorso nell’unità di tempo dalla cresta; il “periodo”, ossia l’intervallo di tempo compreso fra due passaggi consecutivi di una cresta per lo stesso punto fisso; la “pendenza”, data dal rapporto tra l’altezza e la lunghezza dell’onda; la “direzione” di provenienza e infine l’”età”, definita come rapporto tra la velocità dell’onda e quella del vento.
 


Figura 1.


Figura 2.

Nelle onde di gravità, per effetto della pressione causata dal vento sul mare, la massa d’acqua superficiale oscilla e assume un movimento circolare che si trasmette alle aree adiacenti, originando un profilo ondoso che si propaga nella direzione del vento. L’effetto visivo che risulta da questo processo è che sia la stessa superficie ondulata del mare a muoversi, mentre si tratta soltanto del propagarsi del profilo ondoso, senza che vi sia un vero spostamento d’acqua. Pertanto il moto dell’acqua è apparente; le sue particelle percorrono solamente traiettorie pressoché circolari, che diventano sempre più piccole verso il fondale. A una profondità equivalente a circa la metà della lunghezza dell’onda, il movimento circolare, ormai indebolito, si trasforma in piccolissimi spostamenti su un piano pressoché orizzontale, per esaurirsi subito dopo. (Figura 3.)

 


Figura 3.

 

 

Figura 4.
La formazione e lo sviluppo dell’onda marina presenta alcune fasi abbastanza definite.
La prima è quella delle “increspature” ovvero delle onde capillari
(periodo inferiore a un secondo); subito dopo viene la “maretta”
(periodo compreso tra 1 e 4 secondi) e infine la fase dei “cavalloni”
(periodo 5-12 secondi).

Le onde del tipo “increspature”, “maretta” e “cavalloni” sono tutte
determinate dall’azione diretta e in atto del vento sul posto, e
prendono il nome di onde vive. La direzione di provenienza del moto
ondoso è compresa entro un angolo di 10 gradi con quella del vento. Il
mare costituito da onde vive viene detto “mare vivo” e in inglese
“sea”. Quando le onde sono causate da un vento che ha soffiato
precedentemente (fino a 4 giorni prima) anche in tratti di mare molto
distanti (fino a 4000 chilometri), il corrispondente mare è detto “mare
morto” o “lungo” e in inglese “swell”. La direzione del mare lungo è
indipendente da quella del vento in atto.

 

Figura 4.

Le onde di tsunami (shallow-water waves” – onde d’acqua bassa).
Nel passato, talvolta, il termine è stato tradotto con onde di marea, ma tale traduzione è fuorviante. È certamente vero che la situazione di alta o bassa marea presente nel momento in cui uno tsunami colpisce può influenzare notevolmente la sua azione, ma si tratta di due fenomeni fisici ben distinti e assolutamente non correlati.
Un altro termine (impiegato soprattutto nella comunità scientifica) con il quale ci si riferiva a questo fenomeno era quello di onda sismica marina, ma anch’esso non è completamente corretto poichè quella sismica è solamente una delle possibili origini di uno tsunami. Anche la traduzione con il termine italiano di maremoto è, per analogo motivo, parzialmente fuorviante, come suggerisce l’etimologia stessa del termine che richiama espressamente ad un fenomeno di natura sismica.

 

figura 5. L’ideogramma giapponese che indica il termine tsunami: nella parte superiore il carattere tsu che significa porto e nella parte inferiore il carattere nami, il cui significato è onda.
L’origine di uno tsunami non va, dunque, ricercata solamente in fenomeni sismici: in generale si può affermare che qualunque causa in grado di perturbare verticalmente una colonna d’acqua sufficientemente grande muovendola dalla sua posizione di equilibrio è in grado di originare uno tsunami; dunque possono a pieno titolo diventare causa di tsunami anche eruzioni vulcaniche, esplosioni, frane e movimenti tettonici sottomarini. A queste cause di origine terrestre ne va aggiunta anche una esterna, costituita dal possibile impatto con oggetti cosmici.

Proprio per evitare le possibili inesattezze legate ai diversi termini impiegati per indicare il fenomeno è stato deciso, nel corso di un convegno scientifico internazionale tenutosi nel 1963, di introdurre la parola giapponese tsunami quale denominazione ufficiale.


Un’onda di tsunami è profondamente differente dal comune moto ondoso che ha la sua origine nell’azione dei venti in mare aperto e come epilogo il ritmico, rilassante – e talvolta poetico – infrangersi delle onde sulla battigia delle coste. Nel classico moto ondoso le onde sono caratterizzate da un periodo (intervallo di tempo tra due onde successive) solitamente di 5-20 secondi e da una lunghezza d’onda (distanza tra due creste successive) di circa 100-200 metri; le onde di uno tsunami, invece, hanno un periodo dell’ordine di un’ora e una lunghezza d’onda che può raggiungere anche il valore di alcune centinaia di km.

Ma i parametri fisici che più di ogni altro caratterizzano le onde di uno tsunami (chiamate anche shallow-water waves – onde d’acqua bassa – in quanto la loro lunghezza d’onda è di gran lunga maggiore della profondità dell’acqua in cui si sviluppano) sono la loro modesta ampiezza (altezza rispetto al piano medio della superficie marina) e l’elevata velocità con la quale si propagano in mare aperto.

La velocità v di propagazione delle “shallow-water waves” è data dalla formula:

                           

                                              in cui :
                                    g = l’accelerazione di gravità (9.8 m/sec2).                            
                                    d =
profondità dell’acqua in quel punto.

Mentre la velocità in acque profonde è data da:

                                       
                                    in cui :
                                      g = l’accelerazione di gravità (9.8 m/sec2).                            
                                    
lunghezza d’onda.
                                    
Un semplice calcolo impiegando questa formula ci permette di trovare che, per esempio, in un oceano caratterizzato da una profondità di 4000 metri (quale può essere l’Oceano Pacifico) un’onda di tsunami si può propagare alla velocità di oltre 710 km/ora: la velocità di un aereo.

Come si diceva, da un punto di vista fisico, le onde di tsunami sono caratterizzate da lunghezze d’onda (distanza tra due creste) molto elevate, dell’ordine delle decine o centinaia di chilometri, quindi molto grande rispetto alla profondita` dell’acqua in cui viaggiano, anche in aperto oceano. Inoltre, la loro altezza in mare aperto è tipicamente dell’ordine di un metro o meno (figura 6). Queste caratteristiche fanno sì che esse risultino praticamente “invisibili” per qualsiasi imbarcazione che le incroci in mare aperto poiché si confondono con il normale moto ondoso.


Figura 6. -Onda di tsunami in oceano profondo. La velocità è espressa in miglia per ora.
1 miglio = 1609.3472 metri; 1 inch = 1 pollice = 2,540005 cm; 1 feet = 1 piede = 30.48006 cm.

Tali onde si comportano, quindi, come onde in acque basse (shallow water waves) e sono in grado di propagarsi per migliaia di chilometri conservando pressoché inalterata la loro energia in modo che si abbattono con eccezionale violenza anche su coste molto lontane dal punto di origine.
Avvicinandosi alle coste diminuisce la profondità del mare e dunque anche la velocità delle onde si riduce, ma questo comporta che, dovendo per necessità fisica rimanere costante l’energia, debba aumentare l’ampiezza del moto ondoso, cioè l’altezza delle onde.
La massima altezza cui può giungere un’onda di tsunami viene indicata con il termine inglese di runup ed il suo valore è mediamente circa dieci volte maggiore dell’altezza dell’onda che lo ha originato, ma è evidente che tutto è legato all’andamento del profilo batimetrico.

L’entità finale dell’evento è, evidentemente, legata in modo molto stretto all’energia trasmessa all’oceano dall’evento scatenante: nel caso di terremoto, ad esempio, sarà la sua magnitudine a determinare l’ampiezza iniziale del moto ondoso. Ma hanno la loro importanza anche altre caratteristiche quali la rapidità delle deformazioni del fondo marino, il profilo batimetrico e la profondità del mare nella zona dell’epicentro.

Nella figura 7 viene illustrato in modo schematico il fenomeno dello tsunami: l’immagine, naturalmente, è solamente indicativa e dunque non ha alcuna pretesa di mostrare i fenomeni ondosi in scala. L’intento è quello di descrivere la situazione che si viene a creare allorché un’onda di tsunami proveniente dal mare aperto si avvicina alla costa, si innesca il fenomeno del runup ed una montagna d’acqua si abbatte violentemente sulla regione costiera.

 

Figura 7. – In mare aperto (1) l’onda è caratterizzata da una limitata ampiezza. Al diminuire della profondità del fondale (2) si innesca il fenomeno del runup (3) ed il muro d’acqua si riversa sulla costa (4) spingendosi nell’entroterra.
 

Figura 8. – Una montagna d’acqua sta per abbattersi sulla spiaggia mentre alcuni bagnanti fuggono precipitosamente.