Quali materiali diventano incandescenti al passaggio di correnti di piccolo voltaggio, come ad esempio provenienti da due pile di 4.5 volts collegate in serie?

Oltre che una questione di materiale, il problema posto richiede di dimensionare il sistema allo scopo.
Ecco qualche linea guida per eseguire il calcolo.
Due batterie da 4.5V in serie formano una batteria da 9V. Quando essa viene chiusa da un filo di resistenza R, la potenza che esso deve dissipare è P=V2/R.
Tale potenza provocherà un riscaldamento del filo, che deve essere sufficiente a renderlo incandescente.
Per capire a quale temperatura di porterà il filo, sarebbe necessario un modello termico del sistema.
Un modello molto semplificato assume che il filo scambi calore verso l’ambiente, tenuto a temperatura costante TA, attreverso un solo “canale”. In tal caso si definisce RT la resistenza termica del filo (un parametro che indica la sua capacità di scambiare calore con l’ambiente per conduzione). Nella realtà bisognerebbe tener conto dello scambio per conduzione col supporto del filo, per diffusione con l’aria, per radiazione ecc…
In ogni modo, col nostro modello semplificato il filo inalzerà la sua temperatura di T=RTP, portantosi a una temperatura RTP+TA. Da tenere presente che questa assunzione è estremamente riduttiva, dato che quando un materiale diventa incandescente la sua dissipazione per radiazione è per definizione tutt’altro che trascurabile!
Volendo raffinare ancor più il modello, si potrebbe introdurre la capacità termica del conduttore (CT), verificando che la temperatura va a regime con un andamento esponenziale la cui costante di tempo è RTCT . In ogni modo per fili piccoli e sottili si ottengono costanti di tempo dell’ordine di meno di un secondo, per cui la cosa è all’atto pratico trascurabile, visto che dopo pochi secondi il filo sarà alla temperatura di regime.

Per quanto visto, possiamo trarre le seguenti conclusioni:
* La resistenza R del filo deve essere adeguata a dissipare almeno qualche Watt (da cui R deve essere dell’ordine della decina di ohm) . Come conseguenza il filo deve essere di materiale conduttore, in altre parole in metallo (o una lega).
* La resistenza termica deve essere alta, in modo da non scaricare il calore verso l’ambiente e consentire alla temperatura di alzarsi; dunque è bene reggere il filo su un suporto in materiale isolante. La cosa più semplice è fare qualche sperimentazione, per individuare la configurazione ottimale.

Basta pensare a come è fatta una lampadina, il cui supporto del filamento è in vetro, per non scaricare molto calore verso il supporto e i contatti elettrici, e il filamento, per essere lungo quanto basta a raggiungere la R voluta e occupare poco spazio è avvolto a spirale.

Venendo alla questione del materiale da scegliere, un punto importante è la temperatura di fusione del materiale: è
evidente che un metallo a bassa temperatura di fusione è inadatto
perché fonderebbe prima di diventare incandescente. In altre parole lo
stagno o il piombo, per esempio, non vanno bene. Solitamente per le lampadine si usa tungsteno, anche perché ha una resistività abbastanza elevata, per cui sono sufficienti pochi cm di filo sottile per raggiungere qualche ohm di resistenza. Sconsiglierei il rame, perché la sua resistività è molto bassa e possono servire metri.  Il tungsteno ha anche il vantaggio che varia fortemente la sua resistività con il calore, per cui all’accensione (da freddo) lascia scorrere molta corrente e diventa subito incandescente, poi però la resistenza sale e si “auto-limita” nella potenza da dissipare.

Per finire, bisogna tenere presente che a temperatura elevata l’ossigeno dell’aria può reagire con il metallo usato, infatti nei bulbi delle lampadine si inserisce di solito un gas inerte. Se l’esperimento deve durare solo pochi minuti, però, si potrebbe trascurare questo problema.

Per finire, bisogna tenere presente l’autonomia delle batterie: supponendo di porre R=10 ohm (e quindi, per quanto visto prima, di dissipare 8.1W), la corrente che scorre nel filo sarà V/R = 0.9A.
Ora, le tipiche batterie da 4.5V (delle dimensioni di una tavoletta) contengono una carica di 1-2 Ah, per cui l’esperimento non potrà durare più di un paio d’ore prima che le batterie si esauriscano completamente.
All’atto pratico l’autonomia sarà meno, dato che tutti i calcoli sono stati fatti per batterie nuove, con resistenza interna molto bassa; nella realtà, mentre si scaricano, la loro resistenza serie aumenta, per cui si trasferisce sempre meno potenza verso il conduttore e sempre più si dissipa nella batteria stessa. Quando la resistenza serie raggiunge R, la tensione ai capi del conduttore si dimezza, inoltre la corrente pure si dimezza, dato che la resistenza totale di carico più batteria è raddoppiata, per cui la potenza totale trasferita al carico si riduce a solo un quarto di quella iniziale.
Per sapere esattamente come varia la resistenza interna della batteria, mentre questa si consuma, è necessario procurarsi la curva di scarica dal produttore della batteria stessa.