Più ci si inoltra sulla strada della conoscenza delle leggi fondamentali dell’universo e più ci si imbatte in una realtà che presenta caratteristiche ‘esotiche’, ovvero caratteristiche originali rispetto alla nostra esperienza, maturata a livello ‘macroscopico’. Quanto della nostra percezione di questa realtà dipende dalla proiezione di nostri schemi mentali? Ovvero, se pure è evidente che la nostra conoscenza del mondo è reale, tanto da permetterci di influire realmente su di esso, quanto la nostra idea del mondo stesso risente della nostra capacità immaginativa?

Credo che questa sia una
delle domande più affascinanti che un amante della
scienza possa porsi.

Personalmente, mi sono
posto questo interrogativo diverse volte, soprattutto
perché, se è vero che la scienza è il mezzo più
efficace ed attendibile che possediamo per interrogare e
conoscere la realtà, sorge spesso il dubbio che essa
possa eseguire un effetto “selettivo”,
lasciandoci indagare solamente quei fenomeni che si
prestano ad essere studiati dalla nostra mente e
lasciando inesplorate intere “fette” della
natura.

Credo tu ti renda conto
perfettamente che la domanda che hai posto è di natura
metafisica, e che pertanto non sia possibile fornire una
risposta scientifica definitiva al problema, sebbene
alcune considerazioni di massima di natura epistemologica
si possano fare. Ti dirò dunque il mio punto di vista,
sottolineando però che sull’argomento non posso
certo definirmi un “esperto”.

In primo piano di
discussione credo possa essere il capire perché il mondo
sembri obbedire alle leggi della matematica. Ovvero: il
mondo segue determinate leggi che, una volta scoperte e
formulate in modo sintetico chiamiamo
“matematica” o forse la matematica è una
creazione della nostra mente che ci permette classificare
taluni aspetti della natura? La domanda è veramente
basilare, dato che nel primo caso avremmo la certezza che
facendo scienza stiamo realmente leggendo “nella
mente di Dio”, mentre nel secondo caso ci stiamo
limitando a cercare degli schemi di ripetibilità in
mezzo al caos dell’universo. A tale proposito, ti
consiglio un libricino molto stimolante, di J.D.Barrow,
dal titolo “Perché il mondo è matematico?”
edito da Laterza, dal quale ho estratto la seguente
frase, a mio avviso molto significativa: “La scienza
esiste perché il mondo naturale sembra algoritmicamente
comprimibile. Le formule matematiche che noi chiamiamo
leggi di Natura sono riduzioni economiche di enormi
sequenze di dati sui cambiamenti degli stati del mondo:
ecco cosa intendiamo per intelligibilità del mondo.
[…] La ricerca di una Teoria del Tutto è
l’espressione estrema della nostra fede nella
riducibilità (compressione) algoritmica della
Natura.”.

Dunque, anche per gli
scienziati atei, fare ricerca è un atto di fede nella
comprensibilità del mondo, fede suffragata dal fatto che
finora la scienza ha fornito grandi prove della sua
efficacia. Se sia un atto di fede ben riposto o meno,
… a te il compito di giudicare.

Il secondo piano di
discussione, più inerente al problema da te sollevato,
sono i modelli fisici che descrivono il mondo
microscopico, così pittoreschi e curiosi da sembrare
scaturiti dalla mente di un artista piuttosto che da
quella di scienziati. Particelle puntiformi che ruotano
su se stesse (“spin”), dotate di
“colori” e “sapori”, che sono
contemporaneamente onde, particelle e stati di
probabilità, ecc…

E’ opportuno a tale
proposito avere ben chiara la distinzione tra i risultati
degli esperimenti ed i modelli fisici che tentano di
spiegarli. Infatti, da un esperimento di fisica delle
particelle ciò che si ottiene sono interazioni tra
queste ultime ed i rivelatori, i quali forniscono impulsi
elettrici in corrispondenza di ogni evento. Questo è
tutto ciò di cui possiamo essere certi: una serie di
letture su voltmetri digitali, convertite in numeri nella
memoria di un computer! Che cosa accada realmente
non ci è dato saperlo, e probabilmente i principi di
indeterminazione non ce lo permetteranno mai, sicché
ogni modello fisico, purché sia in grado di
“ridurre algoritmicamente” le misurazioni, si
può considerare valido. Nella fisica microscopica
bisogna perciò rinunciare al desiderio di capire cosa
accada “in realtà” e ci si deve accontentare
del più modesto (ma non meno affascinante) obiettivo di
trovare una serie di formule matematiche in grado di
rendere conto di tutti gli esperimenti effettuati e di
fare previsioni affidabili su quelli che verranno.

A questo punto, capirai
bene che, se ciò che conta sono solo talune proprietà
che noi attribuiamo alle particelle per descriverne il
comportamento, non ha alcuna importanza il nome che
usiamo per indicarle, ne’ il fatto che tale nome
evochi o meno un corrispettivo macroscopico o abbia
qualche analogia con una proprietà microscopica. Il
modello è, da questo punto di vista, una mera
“convenzione”, dunque tanto vale lasciare
libertà ai fisici di dotarsi di un linguaggio tecnico
colorito e bizzarro, se questo può aiutarli a rendere la
memorizzazione delle informazioni più agevole e lo
scambio di idee più efficace.

Sotto questo punto di
vista, dunque, hai perfettamente ragione: la fisica è
una proiezione dei nostri schemi mentali. Ma questo nulla
toglie alle sue capacità predittive, che è quanto la
scienza si pone come fine.