La “scannerizzazione”
della faccia nascosta della Sindone, cui il lettore fa riferimento, non
ha fatto altro che confermare ciò che già si presupponeva da tempo. Attraverso
specchi e sonde a fibre ottiche introdotte tra il retro della Sindone
e il telo su cui è cucita, infatti, era già stato possibile constatare
(sia pure senza assoluta certezza) che l’immagine appare solo sul lato
superiore. Solamente le presunte macchie di sangue appaiono visibili sul
retro. Nonostante quanto sostenuto dai soliti sindonologi, quindi, non
sembra vi siano nuovi elementi a favore dell’autenticità della Sindone.
I dati più
significativi che mettono fortemente in dubbio l’autenticità della Sindone
sono due. Il primo è uno studio scientifico condotto nel 1988. In tale
anno tre laboratori indipendenti (Tucson, Oxford e Zurigo) effettuarono
su alcuni frammenti della Sindone un test di datazione che utilizza il
dosaggio dell’isotopo 14 del carbonio. Tale procedura, ampiamente utilizzata
in campo archeologico, consente di ottenere margini di errore piuttosto
ridotti. I risultati dei test furono resi pubblici in una conferenza stampa
dal cardinale Anastasio Ballestrero, vescovo di Torino, il 13 ottobre
1988. In base al test del carbonio 14 l’età del telo era ricondotta al
periodo compreso tra il 1260 e il 1390 (centrato sul 1325) con una fiducia
del 95% che la vera età sia compresa in questo intervallo (tra l’altro
questo periodo coincide proprio con quello a cui risalgono le prime notizie
storiche sulla Sindone). Le varie ipotesi formulate in seguito dai sindonologi
per negare l’attendibilità di questo risultato non appaiono per niente
convincenti.
Il secondo
dato riguarda invece il fatto che l’immagine riprodotta sulla Sindone
non appare affatto deformata. Ora, se si trattasse realmente dell’impronta
lasciata da un cadavere essa dovrebbe essere inevitabilmente distorta.
Infatti, un telo che aderisce a una superficie tridimensionale come quella
di un corpo umano, dovrebbe fornire un’immagine deformata di quest’ultimo.
Quindi o l’immagine della Sindone è stata dipinta o rappresenta, come
è stato ipotizzato da qualcuno, l’impronta di un bassorilievo appositamente
preparato.
L’ipotesi
cui il lettore fa riferimento venne formulata dall’antropologo dell’Università
di Bari Vittorio Pesce Delfino nel 1982 (si veda il libro: V. Pesce Delfino,
E l’uomo creò la Sindone, Dedalo, Bari). Secondo tale ipotesi,
l’immagine sindonica potrebbe essere stata ottenuta mediante un bassorilievo
metallico riscaldato sul quale il telo di lino sarebbe stato adagiato
per un breve periodo. Il calore avrebbe prodotto una parziale disidratazione
della cellulosa creando il tipico ingiallimento. Il metodo di Pesce Delfino
produce buoni risultati per quanto riguarda la negatività, l’adirezionalità
e l’indelebilità dell’immagine. Inoltre contiene le informazioni tridimensionali
proprio come accade nella Sindone. I punti deboli del metodo riguardano
invece la sua scarsa verosimiglianza storica. Il bassorilievo necessario
sarebbe, infatti, molto più piatto di quelli prodotti solitamente dagli
scultori del Trecento e anche l’esecuzione dell’impronta comporta qualche
difficoltà. Inoltre la strinatura ottenuta, nei punti di maggiore intensità,
produce un effetto che appare talvolta anche sul retro del telo. Quindi
da questo punto di vista le affermazione dei sindonologi ricordate dal
lettore non sono del tutto infondate. Infine il metodo di Pesce Delfino
produce un’immagine uguale a quella attuale della Sindone, ovvero fortemente
sbiadita e appena percettibile. Da fonti storiche si apprende invece che
in passato la figura doveva apparire molto più visibile e solo con il
passare del tempo si sarebbe sbiadita.
Un altro
metodo con cui sarebbe possibile ottenere l’immagine sindonica è stato
suggerito nel 1983 dall’americano Joe Nickell ne libro Inquest on the
Shround of Turin (Prometheus Books, Buffalo). L’immagine sarebbe il
risultato dello sfregamento (frottage) di un colore a secco (ad
esempio ocra) su un telo adagiato su un bassorilievo. Con il tempo il
colore si sarebbe staccata dal lenzuolo, dopo aver però prodotto un ingiallimento
della cellulosa. Questa ipotesi concorderebbe inoltre con quanto riscontrato
dal microanalista Walter C. McCrone che determinò la presenza indubbia
sul telo di tracce di ocra, cinabro e di alizarina, ovvero tipici pigmenti
usati nei colori a tempera. Per quanto riguarda infine le presunte macchie
di sangue, esse potrebbero essere state aggiunte in seguito, dopo l’ottenimento
dell’immagine. Occorre, infatti, osservare che la loro forma è piuttosto
inverosimile e che i cadaveri non sanguinano. Inoltre il loro colore è
rosso vivo, mentre il vero sangue dopo molti secoli dovrebbe apparire
praticamente nero. Nonostante i numerosi studi analitici eseguiti, inoltre,
non esiste alcuna prova certa che sulla Sindone siano presenti tracce
di vero sangue.
In definitiva
quindi, dal punto di vista scientifico esistono numerosi indizi a favore
dell’ipotesi della falsità della Sindone. Sorprende quindi l’ostinatezza
con la quale i sindonologi vogliono, a tutti costi, sostenerne l’autenticità.