Si sente spesso parlare di guarigioni prodigiose (1) che risulterebbero
inspiegabili agli occhi della scienza. L’aggettivo “inspiegabile” merita
tuttavia alcune considerazioni. Sostenere che una certa cosa è inspiegabile
significa affermare che lo sarà anche in futuro. Di conseguenza l’uso
di tale aggettivo è per lo meno imprudente: chi può sapere cosa ci riserva
il futuro? Nel passato moltissimi fenomeni apparentemente misteriosi hanno
successivamente ricevuto una spiegazione razionale. Quindi chi avesse
dichiarato inspiegabili tali fenomeni sarebbe stato smentito dalla storia.
Inoltre decretare l’inspiegabilità di un evento implica, come logica conseguenza,
la sospensione di ogni tentativo di studio e di indagine finalizzato alla
ricerca di una possibile interpretazione. Quindi se la scienza accettasse
l’inspiegabilità tra le sue categorie essa finirebbe con l’autodistruggersi.
Di fronte a un evento di cui non si riesce a fornire un’interpretazione
è pertanto molto più corretto utilizzare l’aggettivo “inspiegato”. Esso,
infatti, non ipoteca il futuro, ma esprime solamente la constatazione
dell’impossibilità temporanea di inquadrare l’evento all’interno delle
conoscenze disponibili in quel dato momento. Tale aggettivo, anziché bloccare
la ricerca, funge invece da stimolo per ulteriori indagini. Questa premessa
di carattere linguistico è necessaria per affrontare il tema delle guarigioni
prodigiose. Innanzi tutto la domanda fondamentale che occorre porsi è
la seguente: è sufficientemente documentata e dimostrata l’esistenza di
casi di simili guarigioni? A un esame sereno e obiettivo la risposta appare
affermativa. Anche se l’incidenza statistica di questi eventi appare talmente
esigua da indurre pochi entusiasmi, esistono effettivamente episodi in
cui patologie anche molto gravi, che facevano preannunciare esiti infausti,
si sono improvvisamente risolte senza alcuna causa apparente. Questi rari
episodi vengono chiamati dalla comunità medica “remissioni o regressioni
spontanee”. Esiste in merito una corposa letteratura che suscita indubbiamente
numerosi interrogativi. Di fronte a simili eventi è umanamente comprensibile
l’atteggiamento di coloro che invocano interventi soprannaturali. Chi
ha una fede religiosa vedrà in tali fenomeni l’intervento diretto della
divinità in cui crede. Le statistiche fanno tuttavia emergere che non
vi è alcuna relazione tra l’incidenza delle remissioni spontanee e l’appartenenza
a una certa confessione religiosa, la visita a luoghi ritenuti sacri o
l’intervento di personaggi al quale i discepoli attribuiscono un particolare
carisma. Di conseguenza l’ipotesi dell’intervento soprannaturale appare
piuttosto debole e gratuita. Di fronte alle remissioni spontanee la scienza
non dispone attualmente di una spiegazione adeguata, ma questo non significa
che neppure in futuro la troverà. Anzi quella delle remissioni spontanee
rappresenta una grande sfida che potrà portare la scienza a notevoli progressi.
Nel momento in cui si comprendessero le cause che portano ad esempio un
tumore a regredire spontaneamente, probabilmente si riuscirebbe anche
a trovare una terapia adeguata. Chi invece si limita a gridare al miracolo
dà sicuramente scarsi contributi al benessere della collettività. Le ipotesi
più plausibili che la scienza medica formula a proposito delle remissioni
spontanee sono legate al funzionamento del sistema immunitario. Nonostante
i grandi progressi fatti in questo campo, i meccanismi che determinano
le nostre difese immunitarie sono ancora in larga misura sconosciute.
In particolare sono in gran parte avvolte nel mistero le relazioni che
intercorrono tra il sistema immunitario e le condizioni psico-emotive
(2). Che tali relazioni siano una realtà è oramai dimostrato al di là
di ogni dubbio. La dimostrazione più convincente della loro esistenza
si ha nel cosiddetto effetto placebo (3).
Note:
1 Si veda: C. Hirshberg e M.I. Barasch, Guarigioni straordinarie, Mondadori,
Milano 1995;
2 Si veda, ad esempio: E. Sternberg e P. Gold, “Il corpo, la mente e la
malattia”, in “I Farmaci: dalla natura alle biotecnologie”, Le Scienze
Quaderni, n. 102, Milano 1998;
3 Si veda: W.A Brown, “L’effetto placebo”, Le Scienze n. 355, Milano 1998;