Chimica e
alchimia sono due cose ben diverse e non bisogna correre il rischio di
confonderle.
La
chimica è una disciplina scientifica che ha come oggetto di studio
la materia e le trasformazioni che essa può subire. Essa si avvale
del metodo scientifico che poggia sostanzialmente sull’osservazione sperimentale
e sul ragionamento logico matematico. La chimica moderna muove i suoi
primi passi tra il XVII e il XVIII secolo grazie a quegli autori (per
citare due soli nomi: Robert Boyle e Antoine Laurent Lavoisier) che introdussero
il metodo quantitativo nello studio delle trasformazioni della materia,
contribuendo a eliminare tutte le false credenze che avevano dominato
fino a quel momento lo studio di tali fenomeni. Attualmente il campo di
ricerche della chimica è vastissimo, tanto è vero che esistono
numerose branche specialistiche al suo interno: chimica inorganica, chimica
organica, chimica-fisica, chimica analitica, ecc.
Obiettivo
costante della chimica è lo stabilire le relazioni esistenti tra
la struttura microscopica (a livello atomico e molecolare) delle sostanze
e le loro proprietà macroscopiche direttamente osservabili. A tale
proposito è opportuno osservare che attualmente la chimica è
riconducibile, almeno in linea di principio, alla fisica e, in particolare,
a quella sua particolare branca chiamata meccanica quantistica. Questo
perché tutti i fenomeni chimici sono interpretabili in termini
di interazioni microscopiche tra atomi e molecole, regolate, appunto,
dalla meccanica quantistica. Tuttavia, a causa della complessità
di tale approccio, la chimica continua a possedere caratteristiche sue
proprie che la rendono una scienza autonoma e ben definita.
Per
quanto riguarda l’alchimia, mi permetto di riportare di seguito il paragrafo
a essa dedicato del mio libro, di recente pubblicazione, Realtà
o illusione? Scienza, pseudoscienza e paranormale (Edizioni Dedalo,
1999):
“L’alchimia
è un’antica pseudoscienza di cui si sono trovati scritti risalenti
al III-IV secolo d.C., sia in Oriente che in Occidente. Essa raccoglie
il patrimonio di conoscenze dell’antichità (soprattutto egizio)
relativo alle proprietà e alle trasformazioni della materia. Tale
patrimonio venne ripreso e arricchito dalla cultura araba a partire dal
VII secolo d.C. e per tutto il Medioevo. L’alchimia si diffuse ben presto
in Occidente e costituì un curioso fenomeno che perdurò
fino al 1600 e che, sia pure in modo sporadico, sopravvive ancora oggi.
Essa viene pure indicata come “arte ermetica” o “magistero ermetico” in
quanto, secondo la tradizione, il primo a occuparsi di tale disciplina
fu il mitico sapiente Ermete Trismegisto, nella cui figura venivano sincretizzati
il dio egizio Thot e il greco Ermes.
In
origine l’alchimia aveva probabilmente scopi pratici e tecnologici. Ben
presto però si trasformò in una curiosa attività
iniziatica e segreta in cui gli adepti, pur continuando a occuparsi delle
trasformazioni della materia, attribuivano però a queste ultime
un profondo significato spirituale. L’obiettivo degli alchimisti era la
ricerca della “pietra filosofale”: misteriosa sostanza in grado di trasformare
in oro i metalli vili. Tale trasformazione sarebbe stata possibile attraverso
le cosiddette “nozze chimiche” in cui i tre “principi ipostatici” dello
zolfo, del mercurio e del sale si sarebbero uniti per generare l’oro,
simbolo ideale di tutto il regno minerale. Lo scopo non era tuttavia economico.
La rigenerazione dei metalli verso lo stato di perfezione rappresentato
dall’oro rispecchiava, per analogia, la redenzione dell’uomo verso lo
stato di grazia, perduto a causa del peccato originale. L’obiettivo principale
dell’alchimia non era pertanto la trasmutazione dei metalli, bensì
la trasformazione dell’alchimista stesso verso un’umanità nobile
e aurea.
L’alchimia
fu una sorta di filosofia mistica, intrisa di elementi magici ed esoterici.
Ciò nonostante gli alchimisti, con il loro paziente lavoro di laboratorio,
accumularono una serie di conoscenze che si dimostreranno utili per la
successiva nascita della chimica moderna.
Numerosi
furono i punti di contatto tra alchimia e astrologia. Fino al XVII secolo,
gli alchimisti conoscevano soltanto sette metalli (oro, argento, mercurio,
rame, ferro, stagno e piombo). A ciascuno di essi veniva associato uno
dei sette corpi celesti fino ad allora conosciuti (Sole, Luna, Mercurio,
Venere, Marte, Giove, Saturno). Secondo le concezioni alchemiche, infatti,
la generazione dei metalli sarebbe avvenuta nel “grembo della terra”,
sotto l’influsso dei vari corpi celesti. In tal modo, ad esempio, l’oro
corrispondeva al Sole, l’argento alla Luna, il mercurio all’omonimo pianeta,
ecc. Addirittura i metalli e i corpi celesti venivano rappresentati con
gli stessi simboli, che sopravvissero fino alla rivoluzione chimica di
fine settecento.
Fin
dalla sua nascita, la chimica moderna, pur non potendo dire nulla sugli
aspetti spirituali e allegorici connessi all’alchimia, dimostrò
la totale infondatezza delle concezioni alchemiche relativamente al mondo
della materia. In particolare evidenziò l’illusorietà della
ricerca della pietra filosofale (nessuna sostanza può essere in
grado di trasformare un elemento in un altro. Tale trasformazione è
possibile soltanto attraverso complesse reazioni nucleari).
Al
giorno d’oggi, nonostante lo sviluppo della chimica, alcuni isolati cultori
continuano a occuparsi di pratiche alchemiche, privilegiandone soprattutto
gli aspetti psicologici. L’interpretazione psicologica delle pratiche
alchemiche si è sviluppata soprattutto in seguito ai lavori di
Carl Gustav Jung. Nella sua opera Psicologia e alchimia (del 1944),
egli interpreta, infatti, in chiave simbolica il linguaggio alchemico,
ritenendo di individuare in esso le strutture profonde e archetipe della
psiche umana”.