Perchè il coefficiente di attrito radente statico massimo è maggiore del coefficiente di attrito radente dinamico? Sperimentalmente è così, ma qual è la ragione teorica?

Il coefficiente di attrito statico e’ spesso, ma non sempre, maggiore
del coefficiente di attrito radente dinamico. Cio’ puo’ essere dimostrato
sperimentalmente, come nel documento che segue.
Le forze che stanno all’origine dell’attrito sono quelle che si originano
tra le molecole o gli atomi delle superfici poste a contatto.
I termini <contatto> e <superfici> vanno comunque definiti
caso per caso, dato che a livello microscopico una delle definizioni piu’
rigorose di superficie e’ proprio <luogo di punti definito dalla condizione
*forza di contatto nulla*>, definizione che nasce con il microscopio
a scansione di forza (SFM), il solo che puo’ generare una topografia fedele
di una superficie con risoluzione nanometrica.

Se si vuole giustificare con una schematizzazione grossolana (mediante
linguaggio d’uso quotidiano) il fatto che in certi casi si osservi attrito
al distacco superiore all’attrito dinamico, si puo’ dire che nel primo
caso le superfici si <incollano> perche’
e’ consentita in media una distanza intermolecolare minore che nel secondo
caso (ove il moto macroscopico relativo tra le superfici che scorrono
avviene mantenendo in media una distanza maggiore).
Questo modello funziona meglio se si assume che le superfici abbiano una
rugosita’ microscopica casuale, e/o che sia consentita una deformazione
delle superfici a contatto. In tal caso nell’attrito radente interagisce
un numero maggiore di molecole (essenzialmente quelle che si trovano nei
picchi delle rugosita’) rispetto al caso
dell’attrito statico, e/o le forze intermolecolari sono in media maggiori
(dato che dipendono inversamente dalla distanza).

 

L’attrito
al distacco: due esperimenti a confronto

G.Torzo*, B. Pecori+

* Univ. di Padova, +Univ.
Bologna

 

Introduzione
al problema

La forza di attrito al distacco Fd
viene definita di solito per due corpi solidi con superfici piane
tra loro in contatto e soggette ad una forza di compressione Fn
(normale alla superficie di contatto) come la forza minima tangente
alla superficie di contatto che permette di mettere in moto relativo
un corpo rispetto all’altro
.

Dato che spesso Fd è
proporzionale alla forza Fn, viene anche
definito un coefficiente d’attrito al distacco kd
come rapporto kd =Fd
/ Fn.

L’attrito radente è invece definito
come la forza Fr (supposta circa costante)
tangente alla superficie di contatto che agisce contrastando la
forza che mantiene un moto relativo tra i due corpi in contatto.

Di solito si assume che sia sempre Fd
>Fr. Ma tale assunzione (mai spiegata
nei libri di testo) non sempre è valida.

Fd e Fr
pur essendo entrambe forze dovute all’interazione tra le molecole
delle due superfici non sono necessariamente legate da una relazione
analitica, anche se l’ipotesi che sia Fd ≥Fr
sembra ragionevole in base a considerazioni sui meccanismi microscopici
che le originano.

E’ consuetudine offrire nel laboratorio didattico
una semplice misura indiretta di kd osservando
che un corpo appoggiato su un piano inclinato richiede un angolo
minimo rispetto all’orizzontale per iniziare a scivolare:
detto a tale angolo e m la massa
del corpo, si ha

Fd=mg sina

E poichè Fn=mg
cosa, si ottiene anche

kd = tana.

Osserviamo qui che se l’attrito radente è
inferiore all’attrito al distacco risulta impossibile ottenere
un moto uniforme lungo il piano inclinato dopo il distacco
,
e proprio una misura della accelerazione successiva al distacco
fornisce una valutazione della differenza Fd
Fr .

Infatti se si cresce l’inclinazione assai lentamente
e la si arresta quando, al distacco, la forza tangente al piano
inclinato (mg sina) è appena
superiore a Fd , la legge di Newton fornisce:
ma = F d
Fr.

Questo esperimento tuttavia è piuttosto
difficile: per quanto l’operatore agisca con cura, il valore dell’angolo
b a cui si osserva il distacco è
sempre approssimato in eccesso (b>a).
In tal caso il moto sarà uniformemente accelerato con
accelerazione a=gsinbFr
/m anche se F d
= Fr.

 

Come
fare una misura più accurata?

Un modo per migliorare l’accuratezza di questo
esperimento è di usare una misura simultanea dell’angolo
a (usando un inclinometro) e della accelerazione
a (usando un sonar) e utilizzando un sistema di acquisizione
dati in tempo reale.

L’inclinometro può essere un sensore di
accelerazione (del tipo di quelli impiegati negli Air-Bag delle
moderne autovetture): fissando tale accelerometro al piano, quando
il piano viene inclinato di un angolo a
progressivamente crescente esso (che è stato opportunamente
tarato in modo da fornire segnale zero per a=0
e 9.8 m/s2 per a=p/2)
misura direttamente la componente gsina(t)
della accelerazione gravitazionale nella direzione parallela al
piano.

Fissando anche un sensore di posizione (sonar)
alla parte finale del piano esso potrà registrare sia l’istante
t1 in cui avviene il distacco che l’accelerazione
successiva del corpo. L’operatore deve bloccare l’inclinazione appena
il corpo inizia a muoversi; in tal caso si ha Fd=mgsina.

 

Se l’operatore non è stato sufficientemente
pronto a fermare l’aumento di inclinazione, può avvenire
che l’angolo di inclinazione sia b>a.
Ma , entro gli errori sperimentali, si potrà individuare
il valore di a nel grafico di gsina
verso il tempo, corrispondente al tempo in cui a(t) inizia
a crescere.

La figura 1 mostra un esempio di dati ottenuti
con un blocchetto di legno (m=132 g) con la faccia
inferiore ricoperta di velluto poggiato su un piano di alluminio.


a
b

c
d



Figura 1 : a) componente gsina(t)
dell’acc. di gravità lungo il piano inclinato
b) posizione del corpo x(t); c) velocità v(t);
d) accelerazione a(t).



Dal valore misurato dall’accelerometro al tempo
t=2.8 s in cui il blocchetto inizia a muoversi, si ricava gsina=(2.34±0.1)
m/s2 e si ottiene kd=(0.24±0.01).

Osserviamo che successivamente al distacco
(durante il quale viene impressa una accelerazione di circa 0.1
m/s2) il corpo si muove con accelerazione
praticamente nulla
(la velocità presenta un gradino seguito
da un andamento approssimativamente costante), mentre l’inclinazione
del piano è mantenuta abbastanza costante al valore in cui
si realizza il distacco, per cui si può stimare che l’attrito
al distacco in questo caso coincida approssimativamente con l’attrito
radente
(FdFr=mgkd=0.31N).

A
cos’è dovuto l’impulso che si osserva (picco nell’accelerazione)
?

Il picco nella accelerazione che si registra in
ogni caso al distacco (seguito da una piccola decelerazione) può
essere qualitativamente spiegato come segue: quando la forza
applicata al corpo raggiunge il valore che vince la coesione tra
le superfici a contatto, per un brevissimo istante la forza applicata
non è più bilanciata dalle forze di coesione (per
un istante le superfici vengono separate a livello microscopico)
e quindi la componente della forza di gravità parallela al
piano (mgsina) può imprimere
al corpo l’accelerazione gsina
.

Ma appena il corpo si è messo in moto si
sviluppa la reazione dovuta all’attrito radente, che può
essere pensato come la somma degli innumerevoli impulsi prodotti
dalle microcollisioni tra le asperità delle due superfici,
che decelera il corpo.

Lo stesso esperimento, ripetuto sullo stesso piano
con un corpo diverso (una scatola di cartone appesantita da oggetti
pesanti in essa racchiusi) fornisce diversi valori del coefficiente
di attrito al distacco kd.

 a
b
c

Figura 2 : Scatola di cartone con zavorra (m=0.83
kg) su piano di alluminio

a) gsina(t); b)
posizione del corpo x(t); c) accelerazione a(t). kd.=0.32

Qui è maggiore l’inclinazione finale, maggiore
il picco nell’accelerazione, e l’accelerazione media successiva
al distacco è all’incirca 0.1 m/s2, il
che potrebbe indicare che l’attrito al distacco supera l’attrito
radente oppure che l’inclinazione non è stata bloccata in
tempo.

In figura 3 è riportato il risultato di
una misura con la stessa scatola, ora vuota (m=0.115kg):
si ritrova lo stesso coefficiente di attrito kd.=0.32±0.02,
e Fd Fr≈0.35N.

 a
b
c

Figura 3 : Scatola di cartone vuota (m=0.115
kg) su piano di alluminio

a) gsina(t); b)
posizione del corpo x(t); d) accelerazione a(t) kd.=0.32

 

Un
secondo esperimento

Da quando sono in circolazione sistemi di acquisizione
dati in tempo reale, sono apparse varie descrizioni di un esperimento
didattico per misurare l’attrito al distacco usando un sensore di
forza.

La misura inizia con il corpo fermo, poi si muove
a mano il sensore (con velocità approssimativamente costante)
e si registra un rapido incremento della forza misurata (la tensione
t del filo), che raggiunge un picco e
poi scende ad un valore inferiore, praticamente costante per il
resto del tempo in cui il corpo viene trascinato.

Quello che viene mostrato di solito è un
grafico ottenuto con il sensore di forza attaccato, mediante un
filo, ad un corpo appoggiato su un piano orizzontale.

Gli autori di solito identificano il valore di
picco misura con Fd e il valore stazionario
con l’attrito radente dinamico Fr.

Vedremo ora come sia facile dimostrare che assai
spesso il valore di picco così misurato è una misura
male approssimata per eccesso del valore della forza d’attrito
al distacco. Con unerrore che spesso supera quello commesso usando
il metodo descritto in precedenza

Vedremo poi come si possa invece ottenere una misura
più attendibile (ovvero meglio approssimata) di Fd
.

 

Un
modello del fenomeno.

Per interpretare il fenomeno in dettaglio, e poi
progettare una misura adeguata, conviene innanzitutto costruire
un modello del fenomeno e studiare le previsioni che tale modello
consente. In particolare possiamo cercare di prevedere il grafico
della forza misurata in funzione del tempo.

Assumiamo che sia Fd
>Fr e per semplicità supponiamo
di applicare al corpo una forza F(t) crescente
linearmente
nel tempo.

Finchè questa forza non raggiunge il valore
Fd anche la forza di attrito deve crescere
linearmente, mantenendosi uguale a –F(t) perché
il corpo in quiete deve essere sottoposto ad una forza risultante
nulla.

Non appena viene raggiunto il valore F(t1)=Fd>Fr
il corpo inizia a muoversi (accelera per effetto della forza F(t1)Fr
= Fd
Fr,
dato che appena il distacco è avvenuto la forza d’attrito
si riduce a Fr.

Come si può applicare una forza crescente
linearmente nel tempo? Ad esempio attaccando una molla tra
sensore e corpo, e muovendo il sensore con velocità costante

Per la legge di Hooke la forza cresce linearmente
con l’allungamento della molla fino a quando la tensione t
raggiunge il valore Fd nell’istante (t=t1)
in cui il corpo inizia a muoversi e a inseguire il sensore.

Dato che a questo punto la forza di attrito scende
bruscamente al valore Fr , la forza netta
t Fr accelera
il corpo fino a che esso (dopo un transiente Dt)
raggiungerà la velocità costante Vf
a cui si sta muovendo il sensore.

Ovvero Dt è il
tempo necessario perché la tensione t
applicata dalla molla decresca dal valore Fd
al valore Fr , e la forza di attrito
radente bilanci la forza applicata dal sensore al corpo che striscia.

Questa descrizione potrebbe suggerire che la massima
forza applicata (e registrata dal sensore) sia proprio Fd,
e che quindi un grafico ben approssimato sia quello indicato in
figura 4a. Questo non è affatto vero !

4a): modello inconsistente 4b):
modello plausibile

Infatti nell’intervallo di tempo tra t1
e t1+Dt è
facile vedere che la forza applicata deve necessariamente crescere
oltre il valore Fd .

Nella prima parte dell’intervallo Dt
la velocità del corpo è ancora inferiore a Vf,
e quindi la tensione non può decrescere, dato che se il corpo
è più lento del sensore la molla deve a questo istante
allungarsi ancora, non accorciarsi !Questo prova che,
la tensione anziché decrescere deve inizialmente
crescere ancora
a valori superiori a Fd,
per poi calare al valore finale Fr, e
anche la velocità dovrà, in questo intervallo, passare
attraverso un massimo (cioè assumere valori superiori a quello
stazionario finale Vf) per consentire
l’accorciamento della molla .

Infatti se a regime la tensione t
dev’essere pari a Fr, la lunghezza della
molla deve calare rispetto al valore nell’attimo del distacco.

In altre parole: necessariamente il valore del
picco nel grafico della forza misurata è maggiore della forza
di attrito al distacco, e tale valore di picco deve essere raggiunto
ad un istante successivo all’istante t1 in cui
avviene il distacco. Una schematizzazione di questo modello, sempre
qualitativo, ma ora autoconsistente, è mostrato in figura
4b.

E’ interessante osservare che ciò vale
anche nel caso particolare che sia
Fd=
Fr.

Infatti anche in tal caso quando la molla ha raggiunto
la lunghezza che fornisce t=Fd=Fr,
il corpo è fermo e inizia a muoversi con velocità
prossima a zero e quindi necessariamente inferiore a Vf,
e l’allungamento deve continuare fino a che la velocità
del corpo supera quella Vf del sensore
e
inizia l’accorciamento . Insomma anche in questo caso si deve registrare
un picco per la forza (seguito da un picco della velocità,
se anch’essa viene misurata).

 

Un
modello più raffinato: le oscillazioni della molla

Possiamo ancora osservare che nell’istante in cui
la tensione raggiunge il valore Fr la
velocità del corpo che striscia (e dell’estremo della molla
ad esso solidale) deve essere superiore alla velocità dell’altro
estremo della molla (sensore), dato che la molla si sta accorciando.

Quindi, negli istanti successivi all’istante in
cui forza applicata e forza di attrito si bilanciano, necessariamente,
per l’inerzia del corpo che si sta muovendo più velocemente
che il sensore, la molla dovrà accorciarsi ancora e la tensione
dovrà scendere sotto il valore Fr
, e allora il corpo strisciante inizierà a decelerare.

In definitiva si innesca una oscillazione
smorzata della lunghezza della molla attorno al valore che essa
assumerà in condizioni stazionarie. Ci si potrebbe ora chiedere
se il fenomeno appena descritto possa osservarsi anche nel caso
non si inserisca nessuna molla tra il sensore di forza e il filo
cui è attaccato il corpo che striscia.

La risposta è sì: il sensore di
forza infatti si comporta proprio come una molla
, dato che è
costituito da un apparato a leva flessibile solidale ad un estensimetro
che provvede a trasformare la deformazione della leva (forza elastica)
in segnale di tensione fornito all’interfaccia. Quindi il fenomeno
descritto è assolutamente generale.

Più avanti faremo vedere come l’uso del
solo sensore di forza per misurare l’attrito al distacco produca
notevoli oscillazioni nella forza applicata e conseguente grande
errore nella misura di Fd. Se la costante
elastica è grande (quella del sensore) l’oscillazione può
compiere diversi periodi prima di smorzarsi. Se si usa invece una
molla con piccola costante elastica posta tra il sensore e un corpo
di notevole massa, e una velocità di trascinamento piccola,
l’oscillazione innescata può essere sovrasmorzata e si registra
solo un modesto picco.

 

Figura 5: Forza e velocità misurate contemporaneamente

In figura 5 sono riportati i grafici misurati per
forza e velocità con l’apparato descritto più avanti
(che interpone una molla tra corpo trascinato e sensore di forza),
e che mostrano come la forza non raggiunge il massimo quando la
velocità comincia ad assumere valori positivi (distacco),
ma un pò più tardi, come previsto qualitativamente
dal nostro modello. Si può anche osservare come in questo
caso Fd~Fr
, cioè il valore della forza al distacco non differisce molto
da quello assunto successivamente quando la velocità torna
a valori prossimi a quelli di regime (ultima parte dei grafici).

 

Un
apparato sperimentale adatto a misure riproducibili.

Se si vuole realizzare l’esperimento sopra descritto
con piccoli e riproducibili valori di Vf,
non ci si può affidare ad un trascinamento manuale, si dovrà
allestire un apparato per fornire una velocità di trascinamento
regolabile in modo controllato.

Inoltre se si vuole produrre una rampa di forza
abbastanza lenta da renderla misurabile, si dovrà usare una
costante elastica di accoppiamento tra corpo e forza traente di
valore molto inferiore a quello dei normali sensori di forza, aggiungendo
una molla cedevole tra sensore e corpo

L’apparato per realizzare la velocità di
trascinamento costante da noi realizzato (1) consiste
in un tubo metallico verticale nel quale viene fatto scendere un
magnete appeso ad un filo. Le correnti parassite indotte dal magnete
nel tubo generano una forza frenante proporzionale alla velocità
F=-b V (legge di Lenz), e quindi la velocità
di regime Vf (dopo un breve transiente
non rilevabile nel nostro caso) risulta proporzionale alla forza
costante (peso-tensione) applicata al magnete (2).

Se si usa un potente magnete cilindrico di diametro
appena inferiore a quello del tubo (buon conduttore, ad esempio
alluminio) si possono realizzare velocità inferiori a 5 cm/s.

Appesantendo il magnete (massa m) si può
aumentare la velocità: si noti che mentre la durata del transiente
dipende dalla massa complessiva, la velocità stazionaria
non dipende trascinata dal magnete. La durata del transiente dipende
ovviamente anche da b (ad essa inversamente proporzionale).
In altri termini: più debole è la molla, più
lunga è la rampa della forza che, allungando la molla, si
trasmette al corpo.

Figura 6: Un apparato per lo studio dell’attrito
al distacco con sensore di forza

La forza è misurata da un sensore posto
su un carrello (trascinato dal filo cui è appeso il magnete)
al quale viene attaccata la molla. (Figura 6). Un sensore di distanza
(sonar) poggiato sul piano alle spalle del corpo che viene trascinato
consente di misurare posizione e velocità contemporaneamente
alla forza applicata alla molla.

Supponiamo ancora sia Fd =
Fr, e studiamo la dinamica del sistema
magnete-carrello-molla – corpo
. La legge di Newton allora si
può scrivere:

mg bv(t)- t(t)
=(M1+ M2+
M3+m)a(t)= Ma(t),

ove t(t) la tensione
della molla che varia con l’allungamento e quindi è funzione
del tempo, m la massa del magnetee M1
la massa di sensore e carrello, M2 massa
della molla e M3 massa del corpo trascinato.

A regime si ha : a=0 e mgFr=
bVf
,e quindi Vf
=(mgFr)/b, cioè
la velocità a cui si stabilizzerà il sistema dopo
il transiente dipende solo da m, b, Fr.

E’ quindi possibile regolare il sistema in modo
che la velocità limite sia sufficientemente piccola: basta
ridurre la differenza mgFr
, mantenendo la condizione mg>Fr.

In tal caso la tensione stazionaria del filo misurata
quando il corpo scivola a velocità costante è un valore
attendibile della forza di attrito Fr=
mg bVf.

 

Risultati
sperimentali

Una indagine preliminare del fenomeno con questo
apparato ha permesso di dimostrare che il valore di picco registrato
per la forza dipende in modo sostanziale dalla derivata temporale
della forza prima del distacco
: se la forza è applicata
con gradualità (ad esempio usando una molla con piccola costante
elastica) il valore misurato è inferiore rispetto al valore
misurato quando la forza applicata cresce rapidamente (senza molla).

In questo secondo caso inoltre la forma dei grafici
dipende dalla velocità di campionamento.

 

Figura 7: Blocco legno e molla (M=0.14 kg),
velocità= 0.1m/s, kd=0.22, FrFd=0.3N

In figura 7 ove si è usata una molla con
k=0.52 kg/m, è evidente il picco della forza (circa 0.3N)
a tempi appena successivi a distacco, e il picco nella velocità
prima che si stabilizzi al valore di regime.

 

Figura 8 : Come in figura 7, ma senza molla
(campionamento a 10 Hz) Fd=0.5N!!

Il valore di picco nella forza se si toglie la
molla (figura 8) è quasi raddoppiato (circa 0.5N), ma ancora
smussato dalla bassa velocità di campionamento, e
compare traccia di una oscillazione smorzata. Se la velocità
di campionamento cresce
la forza è misurata più
precisamente e il valore di picco diventa 5 volte maggiore (circa
1.5 N: le oscillazioni del sensore di forza sono evidenti.

 

Figura 10 : Come in figura 7, ma senza molla
(campionamento a 100 Hz) Fd=1.5N!!

E’ evidente la sovrastima del valore di picco
(di un fattore 5!!!) quando si elimina la molla.

 


1 – Gli insegnanti che desiderassero
utilizzare tale dispositivo possono farne richiesta alla Associazione
per la Didattica con le Tecnologie
http://www.adt.it

2 – A. Sconza e G. Torzo, “Il
freno elettromagnetico : un altro esperimento sulla legge di Lenz”
, La Fisica nella Scuola (2002).