Dall’esame della letteratura appare evidente che la trasmissione dell’infezione HIV da madre a figlio sia un dato accertato.
Bisogna però considerare alcune cose importanti.
Anzitutto la maggior parte di studi recenti sono stati compiuti in paesi africani od asiatici, dove l’infezione è assai diffusa, ma esistono anche condizioni di vita particolarmente favorenti (igene, nutrizione, altre infezioni concomitanti, ecc).
Altra considerazione, è che se pur accertata la possibilità di una contaminazione intrauterina, non è detto che essa sia la norma, bisogna ancora una volta valutare le condizioni e le possibili interferenze esterne.
Detto questo, osserviamo qualche dato:
In quasi tutti gli studi si è riscontrato l’incremento numerico di parti pre-termine in madri sieropositive; incrementato anche il numero di neonati a basso peso o con sofferenza alla nascita; Incremento della mortalità perinatale anche in assenza di infezione.
Prazuck et Al. in uno studio del 95 in Burkina Fasu stima nel 27.5% trasmissione materno fetale di HIV1, e del 29.5% di HIV2.
Peraltro l’infezione HIV2 appare meno evidente clinicamente (pur se maggiormente diffusibile).
In uno studio su donne svizzere (Biederman et Al. 95) segnala percentuali di trasmissione materno fetale del 23.3%. Sempre secondo l’Autore il più significativo indice di probabilità per l’insorgenza di infezione fetale è un basso titolo di anticorpo anti-p24 nella madre.
E’ discussa la maggior protezione del feto evitando alla donna il parto per vie naturali.
E’ invece da evitarsi l’allattamento, per la possibilità di passaggio del virus nel latte.
Secondo alcuni, infine, la profilassi materna con zidovudina permetterebbe una minor probabilità d’infezione fetale.
E’ evidente comunque che anche dopo la nascita bisogna adottare tutte quelle misure di prevenzione all’infezione e che appaiono essere particolarmente importanti e delicate in piccoli organismi che comunque hanno una fragilità più accentuata.