Vorrei avere delucidazioni riguardo i vari sistemi di depurazione utilizzati dagli acquedotti e sui vari sistemi di analisi effettuati e richiesti dalla vigente normativa.

L’acqua, subito prima di essere immessa nell’acquedotto e quindi
di essere fornita al consumo, subisce il solo trattamento di clorazione.
Questo avviene per due motivi, il primo: arriva all’acquedotto e quindi
alla distribuzione acqua potabile che non richiede alcun trattamento; il
secondo motivo: l’aggiunta di cloro (come ipoclorito, cloro gassoso o più
frequentemente biossido di cloro) conferisce un modico potere battericida
che ostacola la sopravvivenza di batteri eventualmente raccolti dall’acqua
nella sua corsa dall’acquedotto ai rubinetti di prelievo.

Ora il punto è dove trovare acqua potabile e soprattutto come
definirla tale: ovvero quali leggi tutelano il diritto di tutti di avere
acqua potabile.

Quasi tutto il territorio italiano gode di una buona situazione per
quanto riguarda l’approvvigionamento idrico. La quantità e la ricchezza
delle falde acquifere ci hanno sempre permesso di avere a disposizione
acqua di discreta qualità. Questo ha fatto si che, da un punto di
vista legislativo, poco o niente sia stato legiferato sino agli anni ottanta
quando, recependo due direttive CEE, sono state promulgate le due più
importanti leggi che riguardano le acque potabili.

Vediamo quale era la situazione anteriormente  al 1985.

Il Testo Unico delle leggi sanitarie (R.D. 27/07/1934) prescriveva
ad ogni Comune di fornire, per uso potabile, “acqua pura e di buona
qualità
”. Come si può facilmente notare la definizione
di potabilità era data in modo aleatorio e discutibile. Ogni Comune
cercava una fonte di acqua, il più delle volte sotterranea, ne valutava
in maniera grossolana le caratteristiche: soprattutto i caratteri organolettici
(odore e sapore) e talvolta quelli microbiologici; successivamente tale
acqua veniva erogata tal quale ai cittadini. Dagli anni sessanta in poi
si comincia ad effettuare interventi di clorazione, soprattutto per gli
acquedotti delle città; questo era dovuto alla considerazione che
se l’acqua alla sorgente era esente da inquinamento batterico non è
detto che si sarebbe mantenuta tale soprattutto attraversando tubature
fatiscenti o impianti vecchi. Per cui aggiungendo un disinfettante si controllava
l’inquinamento batterico sino all’ultima delle utenze dell’acquedotto.

Nel 1982 abbiamo il  DPR 03/07/1982 n. 515. Tale decreto stabilisce
i requisiti che deve avere un’acqua superficiale perché possa essere
destinata alla produzione di acqua potabile. Tale decreto riguarda le acque
superficiali, cioè quelle di laghi, fiumi o corsi d’acqua e le divide
in tre categorie in funzione di 46 parametri. Tali parametri sono relativi
a caratteristiche fisiche, chimiche e microbiologiche. Le tre categorie
di acque sono chiamate: A1 – A2 – A3. Dopo aver assegnato un’acqua ad una
di queste tre categorie sono fissati i trattamenti di potabilizzazione
che deve subire; in particolare:

       A1 :  trattamento fisico
semplice e disinfezione

       A2 :  trattamento fisico
e chimico normale e disinfezione

       A3 :  trattamento fisico
e chimico spinto, affinazione e disinfezione.

Qualora l’acqua non possa essere inclusa nemmeno nella categoria A3
non può essere usata come potabile qualunque sia il trattamento
a cui la si sottopone.

Di questo decreto dobbiamo sottolineare due cose: la prima è
che esso tratta solo di acque superficiali mentre in Italia la maggior
parte di acque potabili è di provenienza sotterranea e la seconda
è che tanto più è inquinata l’acqua da rendere potabile
tanto maggiore sarà il costo per renderla tale. Quindi per l’approvvigionamento
di acqua potabile, laddove è possibile, verrà data la preferenza
alle acque sotterranee in quanto sicuramente meno costose.

Nel 1988 abbiamo il DPR 24/05/1988 n. 236. Tale decreto finalmente
definisce in maniera univoca il concetto di acqua potabile e soprattutto
fissa le sue caratteristiche fisiche e chimiche cioè i parametri
in base ai quali l’acqua sarà definita potabile.

In dettaglio i requisiti di qualità di un’acqua sono definiti
da:

    4 parametri organolettici;

  15 parametri chimico-fisici (in relazione con le caratteristiche
naturali delle acque);

  24 parametri concernenti sostanze indesiderabili;

  13 parametri concernenti sostanze tossiche;

    6 parametri microbiologici.

A questi parametri, fissati per legge, possono essere aggiunti ulteriori
parametri che, a discrezione dell’Autorità Sanitaria, possa essere
necessario verificare.

       

        PARAMETRI ORGANOLETTICI

1 Colore

2 Torbidità

3 Odore

4 Sapore

PARAMETRI CHIMICO-FISICI

5 Temperatura

6 Concentrazione ioni idrogeno

7 Conducibilità elettrica

8 Cloruri

9 Solfati

10 Silice

11 Calcio

12 Magnesio

13 Sodio

14 Potassio

15 Alluminio

16 Durezza totale

17 Residuo fisso

18 Ossigeno disciolto

19 Anidride carbonica libera

PARAMETRI PER SOSTANZE INDESIDERABILI

20 Nitrati

21 Nitriti

22 Ammoniaca

23 Azoto Kjeldahl

24 Ossidabilità

25 Carbonio organico totale

26 Idrogeno solforato

27 Sostanze estraibili con cloroformio

28 Idrocarburi disciolti; oli minerali

29 Fenoli

30 Boro

31 Tensioattivi

32 Composti organo-alogenati

33 Ferro

34 Manganese

35 Rame

36 Zinco

37 Fosforo 

38 Fluoro

39 Cobalto

40 Materie in sospensione

41 Cloro residuo libero

42 Bario

43 Argento

PARAMETRI PER SOSTANZE TOSSICHE

44 Arsenico

45 Berillio

46 Cadmio

47 Cianuri

48 Cromo

49 Mercurio

50 Nichel

51 Piombo

52 Antimonio

53 Selenio 

54 Vanadio

55 Antiparassitari

56 Idrocarburi policiclici aromatici

PARAMETRI MICROBIOLOGICI

57 Coliformi totali

58 Coliformi fecali

59 Streptococchi fecali

60 Spore di clostridi solfato riduttore

61 Conta totale colonie

62 Conta totale colonie per acque confezionate
 

Quando un’acqua sotterranea soddisfa TUTTI i parametri di qualità
fissati verrà definita dall’Autorità Sanitaria preposta come
POTABILE e quindi avviata all’acquedotto per la distribuzione. E’ evidente
che bisogna avere la certezza che tali parametri di qualità vengano
mantenuti nel corso del tempo. A tale proposito il DPR n. 236 fissa la
frequenza con cui tali parametri devono essere rianalizzati. Tale frequenza
è funzione sia della popolazione servita sia dei parametri stessi.
A titolo di esempio diciamo che i coliformi totali vanno analizzati almeno120
volte in un anno se la popolazione servita arriva fino a 100.000 unità
e ben 360 volte nell’anno se la popolazione supera il milione di unità
mentre il dosaggio del piombo va effettuato almeno 12 volte in un anno
per popolazione di 100.000 unità e almeno 20 volte se la popolazione
servita supera il milione.