Cosa sono i cosiddetti “hot spots”, in italiano “punti caldi”? Perché le loro posizioni sono fisse?


I fenomeni vulcanici in genere ricorrono in
corrispondenza dei margini tra le placche litosferiche, o
attraverso le fratture (placche divergenti, per es.
dorsali medioceaniche), o a seguito di subduzione di una
zolla al di sotto di un’altra (placche convergenti).
Esiste tuttavia un tipo di vulcanismo sostanzialmente
indipendente dai movimenti reciproci tra le placche,
originato dai cosi detti “hot spot” o
“mantle plume” (in italiano possono essere
tradotti con i termini “punti caldi” o
“pennacchi caldi”).



Figura 1. Le principali zolle e i vari punti caldi (hot spots) della terra.

Figura 2. In rosso gli antichi “cratoni” che hanno una età superiore ai 2 miliardi di anni.
(Bosellini, Scienze della Terra, Ed Bovolenta).


Si tratta della risalita di materiali caldi provenienti
dal mantello, che attraversando le placche litosferiche
producendo in superficie un vulcanismo caratterizzato da
lave basaltiche. Un vulcanismo di questo tipo viene detto
anche “intraplacca”. In realtà un punto caldo,
pur restando immobile, si muove relativamente, rispetto
alle placche, perché sono queste ultime a spostarsi
lentamente (spinte dai moti convettivi del mantello). Di
conseguenza, il materiale proveniente da un punto caldo
può eruttare all’interno di una placca come anche in
corrispondenza di un margine. In quest’ultimo caso si ha
la concomitante emissione di lava dal punto caldo e dalle
fratture dell’eventuale dorsale, con grandi espandimenti
di basalti (plateaux).
Un esempio è dato dall’Islanda,
che rappresenta il prodotto dell’azione congiunta della
dorsale medio-atlantica (che costruisce ogni giorno nuova
crosta oceanica) e di un punto caldo che attualmente si
trova esattamente al di sotto di essa. Le tracce del
passaggio di un punto caldo al di sotto di una placca si
presentano sotto forma di una catena di vulcani di età
sempre più antica man mano che ci si allontana dal
vulcano attivo.
Ne sono un esempio le isole Hawaii e le
Tuamotu nel Pacifico, e le Canarie nell’Atlantico. Un
altro esempio è quello del punto caldo attualmente
responsabile del vulcanismo delle isole Riunione, ad est
del Madagascar, il quale decine di milioni di anni fa
(alla fine del Mesozoico) si trovava al di sotto
dell’India dove produsse enormi espandimenti di lave
basaltiche oggi noti con il termine di trappi (Traps).

I
punti caldi, data la loro sostanziale stazionarietà
rispetto alle placche litosferiche che si spostano,
rappresentano un valido strumento per la comprensione e
la conferma delle teorie mobilistiche della Tettonica
delle Placche. Per esempio, il punto caldo delle isole
Hawaii è attivo da quasi 80 milioni di anni, e nel suo
migrare (o meglio, è stata la placca soprastante il
punto caldo a spostarsi) ha prodotto una catena di
vulcani, via via più antichi ed estinti, talvolta
completamente erosi e sommersi dal mare, man mano che ci
si allontana dai cinque vulcani attualmente in attività
(come il Kilauea o il Mauna Loa). Ipotizzando che il
punto caldo sia rimasto stazionario, si può determinare
come la placca litosferica (Pacifica) abbia mantenuto una
velocità costante di circa 6-8 cm/anno, manifestando
tuttavia bruschi cambi di direzione.


Non esiste una spiegazione valida del perché i punti
caldi stiano fermi, probabilmente i geologi si porrebbero
molte più domande se si spostassero. A dire il vero, non
si è nemmeno definitivamente certi che la loro posizione
sia realmente fissa nel tempo, a causa della mancanza di
(altri) punti di riferimento sulla superficie terrestre.

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