Se gli atomi possono essere definiti eterni dato che nulla può essere distrutto, non possono essere immortali anche gli esseri viventi che di atomi sono fatti? Se i protozoi dopo ogni scissione sono identici alla cellula madre, non possono essere immortali? La vita, se si escludono i fattori esterni, arriva sempre ad una morte “naturale”?

La domanda pone dei presupposti assolutamente non veri.

Innanzitutto l’atomo non è eterno.
Secondo, il concetto di immortalità presuppone un mantenimento dell’individualità che nei protozoi non avviene, se non in minima parte.
Terzo, la vita presuppone la morte come requisito fondamentale per la propria esistenza.

Analizziamo i tre punti uno per uno.
“Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”, questa affermazione è stata formulata, nella forma in cui la conosciamo, da Lavoisier nel 1789, il quale riprese un concetto espresso già nel V secolo a.C. da Anassagora. La concezione che la materia fosse indistruttibile e semplicemente cambiasse forma ogni qual volta sembrasse scomparire nel nulla, era stata supportata dai dati provenienti da nuovi strumenti di misurazione. Una sostanza organica che brucia, ad esempio, si trasforma in CO2 , H2 O e altri composti intermedi, liberando, sotto altre forme, l’energia immagazzinata nei propri legami chimici.
Parimenti, anche l’energia si considerava indistruttibile, anch’essa poteva trasformarsi da una forma ad un’altra ma non essere creata o distrutta.
Albert Einstein ebbe un’intuizione che rivoluzionò questo assunto ritenuto valido per molto tempo. Nella sua famosa formula E=mc2 egli stabilì che massa ed energia sono *equivalenti* ed espresse il fattore di conversione tra le unita’ di misura della massa e quelle dell’energia.
Dopo queste rivelazioni, i balzi della fisica furono enormi, pensiamo anche soltanto al concetto di quanto, il più piccolo e indivisibile pacchetto di energia.
Sorsero quindi una miriade di nuove discipline, quali la fisica quantistica e la fisica subnucleare, che lavorano nel campo dell’infinitamente piccolo. Proprio in questi campi si scoprì che l’atomo (a-temno, indivisibile) era tutt’altro che indivisibile ed eterno e tali erano anche le sue componenti subnucleari (protone, neutrone). Per il momento pare che i fisici si siano fermati ai ‘quark’, particelle che sembrano essere i mattoni della materia insieme all’elettrone. Se presupponiamo che i quark e l’energia siano eterni, allora sarà eterna qualunque massa e appare poco significativo disquisire sull’eternità dell’essere vivente in un mondo di per sé eterno.

Quindi, ritornando nel seminato di questa domanda, appare chiaro che, se vogliamo davvero giungere a considerare i nostri mattoni ‘eterni’, dobbiamo scendere molto più in baso dell’atomo. Se vogliamo invece considerare il concetto di eternità dal punto di vista dell’organismo biologico, dobbiamo ragionare in altri termini.
La difficoltà consta innanzitutto nella definizione stessa di vita. Il problema di definire un organismo vivente è stata posta a più riprese nella storia umana e le conclusioni a cui si è via via giunti, portavano al loro interno una qualche contraddizione, un’eccezione non catalogabile. Ne sono un esempio i virus, che ancora vagano nel limbo tra animato e inanimato, tra vita e non-vita.
Per quel che riguarda l’esempio dei parameci, mi preme ricordare che dalla divisione di un paramecio derivano sì due cellule, ma non sempre queste cellule sono identiche alla cellula madre. Possono infatti intervenire nel corredo genico una serie di mutazioni, indotte da fattori ambientali o semplicemente da un errore di copiatura del DNA, che rendono la cellula figlia infinitesimamente diversa dalla cellula madre. Del resto i protozoi, a cui i parameci appartengono, spesso effettuano uno scambio genetico, definito sessuale per le analogie con la riproduzione sessuale, dando vita a nuovi organismi del tutto diversi da quelli di partenza. Persino i batteri, che formano colonie clonali, non possono essere considerati immortali, dal momento che posseggono al loro interno porzioni di DNA distaccati dal DNA principale, i cosiddetti plasmidi, e questi plasmidi possono essere acquisiti o persi in ogni momento e quindi dare vita a cambiamenti che rendono il termine immortale alquanto inidoneo, almeno se ragioniamo a livello del singolo.

Interessante, a questo riguardo,è citare la teoria della continuità della linea germinale. Negli organismi che si riproducono tramite la sessualità, i precursori dei gameti vengono formati in uno stadio precocissimo dello sviluppo, vengono addirittura determinati da porzioni di citoplasma dello zigote, ancor prima che inizi la divisione cellulare della segmentazione, e proseguono una via tutta particolare e peculiare. Quindi la linea germinale sembrerebbe comportarsi come un insieme a se stante, avulso dal contesto di sviluppo dell’organismo stesso. La linea germinale è continua, poiché viene generata da gameti e a sua volta genera gameti.
Se vogliamo andare a cercare cellule ‘immortali’ possiamo citare le cellule tumorali o le cellule staminali, nelle quali la programmazione di morte dettata dall’accorciamento dei telomeri viene contrastato dalle telomerasi. Esse, tuttavia, non potrebbero sopravvivere senza il contributo di un corpo, non sono cioè autosufficienti e quindi sono destinate a morire se lasciate al proprio destino.

Nel libro ‘il gene egoista’ di Dawkins, l’autore proponeva di considerare unità evolutive porzioni di DNA e avanzava l’ipotesi che l’organismo vivente fosse esclusivamente una macchina per la sopravvivenza di questi ‘geni’, intesi con una concezione diversa da quella della genetica classica. Questi geni sarebbero sorti nel brodo primordiale e sarebbero destinati ad essere i soli vincitori nella lotta per la sopravvivenza. Tuttavia anche Dawkins è ben lungi dall’affermare che essi siano ‘immortali’.

La vita giunge sempre ad una morte naturale? Si. La vita si sviluppa in un ambiente in continuo cambiamento e la morte degli organismi è un requisito fondamentale perché essa cambi insieme all’ambiente che la ospita e quindi si adatti a nuove condizioni e si amplifichi al meglio.
La vita ha un inizio e quindi una fine, dettata da esigenze ‘evolutive’, se così vogliamo chiamarle, o dal semplice fatto che un giorno le condizioni per la sua esistenza spariranno. Non è possibile considerare la vita avulsa dal contesto dei propri fattori esterni, dal momento che senza di essi verrebbero a mancare proprio i presupposti per discriminare la vita dalla non-vita.

  1. Non sono un esperto ma mi meraviglia che dobbiamo credere a delle teorie scientifiche senza delle prove certe e inconfutabili….cosa ne sa l.essere umano di cosa e la vita e di cosa e la morte? Scusate

  2. Buonasera,
    la generazione spontanea della vita razionalmente non può esistere in quanto le probabilità sono talmente elevate che la scienza stessa lo giudica non impossibile ma improbabile.
    I virus sono anomalie e non dimostrazioni di forza di sopravvivenza o dimostrazioni di evoluzioni particolari. Povero il sig. Dawkins…
    L’immortalità è divina, noi siamo fatti a sua immagine e somiglianza scrisse qualcuno. Per capire dobbiamo guardare in alto, a chi ha il pieno controllo della materia e non in basso.
    Shalom
    DN
    DN