Su di un libro si afferma che per i corpi rigidi non si altera l’ equilibrio del corpo se si trasporta il punto di applicazione di una forza lungo la propria retta di azione Questo postulato non è valido per i corpi deformabili .Perché?

Il corpo rigido, preso in senso stretto, non  esiste. Esso è infatti solo una astrazione comoda per il trattamento di problemi  nei quali le forze in gioco non provocano deformazioni apprezzabili nei corpi
solidi e le velocità sono piccole rispetto a quella del suono nei materiali  utilizzati. Se prendiamo il caso dei componenti meccanici di una macchina, quasi  sempre la meccanica del corpo rigido è sufficiente a determinare importanti  parametri di funzionamento. Anche nel caso di strutture fisse ipo o iso statiche
la statica del corpo rigido è sufficiente a risolvere la struttura. Data la  notevole semplicità delle equazioni che governano la meccanica del corpo rigido  si capisce come queste siano molto usate ovunque possibile.

Un “corpo rigido” in senso stretto è, dicevamo,  un’astrazione che presuppone non solo la sua indeformabilità, ma la “istantanea”  propagazione degli sforzi. Questi in realtà si propagano con la velocità del  suono nel materiale, ma, essendo questa di solito piuttosto elevata, la si può,  senza grave errore, considerare infinita e quindi: “propagazione immediata”.

Cio’ premesso è chiaro che in corpo rigido in senso stretto non ha senso parlare di “sforzi interni”: l’equazione degli sforzi, non avendo un tensore elastico che la mette in relazione col tensore di deformazione avrebbe soluzione indeterminata.

Quindi un corpo rigido starà o meno in equilibrio oppure si muoverà obbedendo alle equazioni generali della statica o della dinamica che contemplano la risultante delle forze applicate e i loro momenti rispetto a un punto arbitrario qualsiasi. Esse forniscono tre equazioni scalari (risultante delle forze) e altre tre (risultante dei momenti) che “soddisfano” i sei gradi di libertà del corpo rigido (tre traslazionali e tre angolari). Questa
è la semplicità da cui, come dicevamo, deriva l’appeal del corpo rigido.

Da quanto appena detto, siccome la risultante delle forze non varia variando il loro punto di applicazione e il momento di una forza rispetto a un punto non varia se la forza si sposta lungo la sua retta d’azione, vale per il corpo rigido la condizione più restrittiva cioé la seconda.

I corpi “reali” sono invece deformabili. Ne risulta che spostando il punto di applicazione di una forza anche se lungo la sua retta d’azione le deformazioni o addirittura i danni permanenti possono variare molto. Ben diverso è infatti se il nostro peso è bilanciato dalla forza del suolo contro le piante dei piedi o dalla stessa forza lungo la stessa retta applicata da un cappio intorno al nostro collo.

O più semplicemente un’asta può avere applicata una certa forza a una sua estremità (per semplicità orientata come l’asta e uscente da essa). Questa forza sarà equilibrata da un’altra, p.es. all’altra estremità uguale e contraria e l’asta starà ferma. Se spostiamo la prima forza lungo l’asta fino all’estermo opposto, agli effetti della stabilità (corpo rigido) non cambierà nulla, agli effetti del materiale dell’asta nel primo caso
essa sarà tesa nel secondo caso sarà tesa solo la porzione di asta compresa tra i punti di applicazione delle due forze. Essa (porzione tesa) diminuirà man mano che le due forze si avvicineranno tra loro. Lo sforzo nel tratto teso si manterrà invece sempre costantemente uguale al valore di una delle due forze.

I corpi reali possono venire studiati applicando le leggi del corpo rigido agli elementi infinitesimi che li
costituiscono. Il problema, come accennato prima, non avrebbe però soluzione se non si introducesse la deformabilità dei corpi stessi. Questa caratteristica è molto variabile da sostanza a sostanza:

Comprimibiltà marcata e nessuna resistenza statica allo scorrimento nei gas

Comprimibilità molto ridotta e ancora nessuna resistenza statica allo scorrimento nei liquidi.

Resistenza elastica o plastica sia alla compressione/estensione sia allo scorrimento nei solidi

Queste caratteristiche, formalizzate in equazioni che sarebbe eccessivo trattare in questa risposta (si rimanda chi ne avesse voglia a un buon manuale di scienza delle costruzioni) consentono di calcolare sforzi e deformazioni un un buon numero di casi interessanti. La soluzione generale dell’equazione non ce la sognamo neppure. Il signor Saint Venant  (Adhemar Jean Claude Barré de Saint-Venant 1797-1886),
dopo una celebre critica, ne ha risolto infatti i casi più significativi, ancora oggi chiamati “casi di Saint Venant”, che consentono di calcolare gli sforzi nella maggior parte delle costruzioni
classiche. Inoltre, con i computer, oggi si possono risolvere in forma numerica a bassi
costi casi complessi che una volta non sarebbero stati praticamente calcolabili.

Tutto quanto sopra per dire che una forza, applicata a un solido reale, propaga all’interno di esso una distribuzioni di sforzi che variano a seconda del punto di applicazione, anche se lungo la stessa retta ma anche della natura del corpo stesso (forma, tipo di materiale, omogeneità, isotropia etc…).

In conclusione: si applicano le leggi del corpo rigido per un primo studio macroscopico se possibile. Non sempre si può, p.es la risoluzione di una struttura iperstatica non può essere fatta neanche in prima battuta prescindendo dalla deformabilità. Uno studio “di fino” richiede quasi sempre di considerare il corpo come un continuo deformabile. E in questo caso il punto e non la retta di applicazione delle forze conta eccome!