I buchi neri sono mai stati osservati direttamente o la loro presenza è solamente supposta, per esempio, osservando della materia orbitare attorno al “nulla”? In quest’ultimo caso allora, mancando la necessaria dimostrazione sperimentale, l’esistenza di questi oggetti sarebbe scientificamente inammissibile?

Un buco nero è una regione dello spazio dalla quale nulla, neppure la luce, riesce a sfuggire e per questo motivo risulta invisibile all'osservazione. La forza di gravità è così forte poiché tutta la massa è concentrata in uno spazio molto piccolo (teoricamente anche in unico punto o singolarità, più piccolo di un nucleo atomico).

La superficie di un buco nero è chiamata "orizzonte degli eventi", ma è bene precisare che non si tratta di una normale superficie, così come siamo abituati a pensarla, ma di una zona nella quale l'azione della gravità diventa infinitamente forte, al punto in cui un oggetto può esistere solo per una frazione di secondo, per essere poi attratto alla velocità della luce. Gli astronomi usano il raggio dell'orizzonte degli eventi per specificare le dimensioni del buco nero stesso; tale raggio in Km equivale a tre volte la massa presente in questo oggetto (ad esempio, un buco nero di una massa solare ha un orizzonte degli eventi pari a 3 Km).

Nessuno ha mai osservato direttamente un buco nero, ma lo si fa per via indiretta, misurando gli effetti che solo un oggetto di questo tipo può produrre. Ad esempio, uno di questi effetti è il forte piegamento della luce in loro prossimità. In questo modo si può dichiarare, con una piccola incertezza, di aver "visto" un buco nero.

Fig. 1: un buco nero di fronte alla Via Lattea (impressione artistica)

 

In astrofisica si definiscono due tipi di buchi neri:

– I buchi neri di origine stellare

– I buchi neri supermassicci all’interno delle galassie

Per i primi la loro formazione avviene quando una stella massiccia finisce il carburante nucleare nel suo cuore. Rimando a questa risposta per il meccanismo di esplosione; aggiungo solo che se la stella aveva una massa iniziale superiore alle 20-30 masse solari, (anche se questo valore non è esattamente definito), l’accumulo di ferro nel nucleo può raggiungere ed eccedere le 3 Masse solari cioè il limite di Volkoff-Oppenheimer. A questo punto non c’è nulla che possa contrastare la forza gravitazionale e, inoltre, la pressione interna non viene più esercitata verso l’esterno, ma diventa essa stessa una sorgente del campo gravitazionale rendendo così inevitabile il collasso infinito. Si ha così un buco nero di origine stellare.

Se le stelle nascessero tutte singole non sarebbe possibile “osservare” tali oggetti, fortunatamente, però, esistono anche i sistemi binari e lo scenario più interessante è quello in cui un buco nero si trova insieme ad una stella normale (esattamente quello indicato dal lettore nella sua domanda). In questo caso il buco nero strappa materia (gas) dal compagno che cade violentemente al suo interno. L’attrito tra gli atomi del gas fa sì che questo, in prossimità dell'orizzonte degli eventi, raggiunga la temperatura di milioni di gradi, emettendo raggi X. Il primo sistema di questo tipo ad essere rilevato fu Cignus X1, nel 1972, quando il satellite ROSAT rivelò una sorgente X in un punto della costellazione del Cigno, senza però riuscire, da parte degli astronomi, ad osservarne la cosiddetta “controparte ottica”. Per poter affermare di essere in presenza di un buco nero era necessario determinare la sua massa. Negli anni sono stati ottenuti valori variabili tra le 3,6 e la 16 masse solari, incertezza dovuta al fatto che non si conosceva bene la distanza di Cignus X1 (anch’essa variabile, tra gli 1,1 e 2,5 kpc). Un lavoro pubblicato da Jerome A. Orosz et al. sulla rivista “The Astrophysical Journal” del 1 Dicembre 2011, grazie ad una misura trigonometrica di parallasse più precisa (±6%) con una distanza di 1,86 kpc, otteneva una massa di 14,8 ± 1 masse solari, in ogni caso ben oltre il limite di Volkoff-Oppenheimer. E’ indubbio, quindi, che abbiamo a che fare con un sistema binario composto da una stella in sequenza principale (in questo caso una supergigante di tipo O) e un buco nero.

Fig. 2: Cignus X1 (impressione artistica)

Come detto, esistono altri tipi di buchi neri, detti supermassicci, che si trovano al centro delle galassie e possono avere masse che vanno da un milione ad un miliardo di quelle solari. Questi si sarebbero formati miliardi di anni fa, per accumulo di materiale al centro delle galassie stesse. Anche la Via Lattea ne possiede uno, chiamato Saggitarius A*. E' stato determinato dal moto delle stelle attorno ad esso, che ruotano attorno al centro in 15,2 anni, alla velocità di circa 5000 Km/sec. Questo moto ci permette anche di stimare la sua massa in milioni di quelle solari.

Gli effetti di un buco nero galattico sono assai più evidenti e spettacolari in quelle che vengono chiamate “galassie attive”. Queste hanno emissioni radio fino a milione di volte quelle della Via Lattea e, se viste in dettaglio, mostrano avere due lobi ai loro fianchi, dove viene generata l’emissione stessa.

L’energia è trasferita verso i lobi sottoforma di getti o fasci di elettroni espulsi da una piccola sorgente al centro della galassia. La maggior parte degli astronomi spiega il fenomeno con la presenza di un disco di gas caldo intorno a un buco nero. Mentre il gas spiraleggia al centro del buco nero stesso, la sua energia orbitale si trasforma in radiazione di tutti tipi e in fasci di elettroni veloci.

Fig. 3: la galassia attiva Cignus A in ottico (telescopio Keek, rielaborazione in falsi colori)

Fig. 4: Cignus A in radio (VLA)

A questo punto posso dare la risposta al lettore: è chiaro che per la loro natura i buchi neri non possono essere osservati direttamente. Le evidenze della loro presenza, ottenute dall’osservazione nei sistemi stellari di tipo binario sono, però, tali da potersi definire “sperimentali”. Non dimenticando i fenomeni drammatici e spettacolari che questi oggetti, in un certo senso misteriosi e intriganti, danno vita all’interno delle galassie attive.

I buchi neri sono, quindi, “scientificamente ammissibili”!