Spett. Redazione per mettere in movimento un corpo si deve esercitare un impulso o un lavoro? Cioè: ai fini del movimento, che differenza c’è tra l’esercitare un impulso ft e il compiere un lavoro fscosa? Grazie in anticipo.

Innanzitutto definiamo impulso e lavoro: da qui sarà abbastanza facile derivare il seguito del discorso.

Per impulso si intende il prodotto (integrale nel caso generale di forze dipendenti dal tempo) della forza per il tempo in cui è applicata.

Per lavoro si intende il prodotto (anche qui, integrale nel caso di forze dipendenti dalla posizione) della forza per lo spazio per cui questa è applicata.

Per mettere in moto un corpo supposto fermo in un sistema di riferimento inerziale, occorre imprimere un’accelerazione (per definizione accelerazione= variazione della velocità), esercitando su di esso una forza (secondo principio della dinamica): sappiamo infatti che a=F/m.

Ora, la forza deve essere per forza applicata per un tempo finito, e se nel frattempo il corpo inizia a muoversi, risulterà applicata anche per un certo tratto di traiettoria. Ciò comporta sia un impulso che  un lavoro.

Per il teorema dell’impulso avremo che l’impulso fornito risulterà uguale alla variazione della quantità di moto del corpo, mentre per il teorema dell’energia cinetica (o delle forze vive) il lavoro compiuto risulterà uguale all’energia cinetica acquisita dal corpo (in assenza di attrito). Ciò risulta banale ricordando la definizione di energia cinetica e quantità di moto e integrando rispettivamente nello spazio e nel tempo.

In alcuni casi, al contrario di quanto illustrato ora, si può esercitare un impulso senza compiere lavoro. Si pensi ad esempio di spingere su una parete o al bilanciamento della forza peso da parte di un piano: ciò non comporta nessuna accelerazione. Queste forze non compiono lavoro e vengono chiamate reazioni vincolari. Inoltre, in presenza di attriti, parte del lavoro viene trasformato in calore e non contribuisce ad aumentare l’energia cinetica del corpo sollecitato.

C’è poi da dire che in molte occasioni pratiche (quelle che in fisica si schematizzano sotto il nome di urti) si può trascurare la conoscenza dell’andamento temporale e spaziale delle forze e si ricorre direttamente al risultato finale dei processi che abbiamo enunciato e dimostrato pocanzi.

Questi aspetti sono trattati diffusamente nella teoria degli urti, in quanto mentre in tutti i sistemi isolati la quantità di moto totale si conserva (dal terzo principio della dinamica discende infatti che in un sistema isolato – non soggetto a forze esterne – la quantità di moto totale si deve conservare, essendo la somma delle forze nulla e quindi l’accelerazione totale nulla a sua volta), abbiamo visto che la conservazione dell’energia (meccanica) non è sempre verificata (a meno che non si includa il calore come  movimento microscopico). Gli urti elastici sono quelli che ammettono conservazione sia della quantità di moto che dell’energia meccanica, mentre gli urti cosiddetti anelastici ammettono la conservazione della quantità di moto ma non dell’energia, a causa della dissipazione di parte dell’energia in calore durante il processo di urto.

Noto per finire che il concetto di ‘elasticità’ legato ad un urto, inteso come conservazione dell’energia, è un concetto molto generale in fisica, e vista la dualità onda/particella viene applicato anche alla diffusione (si usa spesso il termine ‘diffusione’ come sinonimo di urto, anche se il termine può sembrare improprio) di onde/particelle a seconda che l’energia nel processo di diffusione venga conservata o dissipata sotto qualche forma.