Sarebbe possibile verificare la presenza di clorofilla in pianeti extrasolari analizzando lo spettro della luce che riflettono?

Nella spettroscopia ottica vi sono tre differenti tipi di spettri che vengono indicati qui di seguito:

1) SPETTRO CONTINUO: tipico dei solidi, dei liquidi e dei gas portati all’incandescenza ad alte temperature e pressioni. E’ caratterizzato da un’emissione continua in tutte le lunghezze d’onda e non mostra righe (Fig. 1)

 

Fig. 1: Spettro continuo

 

2) SPETTRI di EMISSIONE: tipico dei gas luminosi a bassa pressione e temperatura. E’ costituito da righe colorate a lunghezza d’onda (l) definite, caratteristiche di ciascuna specie atomica e molecolare  (Fig. 2)

Fig. 2: Spettro di emissione

 

 

3)SPETTRO D’ASSORBIMENTO: è una combinazione dei primi due tipi e si ottiene quando si fa passare attraverso un gas la luce di un corpo portato all’incandescenza. E’ caratterizzato da righe nere, dette righe di assorbimento, che appaiono sullo sfondo dello spettro continuo, nella stessa posizione nella quale il gas avrebbe prodotto le righe di emissione. Questo tipo di spettro è tipico delle stelle ed in questo modo si ottengono i loro componenti, per confronto con gli spettri ottenuti in laboratorio.  (Fig.3)

 

Fig. 3: Spettro di assorbimento

Va rimarcato che la spettroscopia non solo permette di ottenere la composizione delle stelle, ma anche delle nebulose e, mediamente, delle galassie. Proprio il confronto degli spettri galattici permise a Edwin Hubble di formulare la teoria del Big Bang: lo spostamento verso il rosso delle righe spettrali (effetto Doppler) evidenziò l’allontanamento delle galassie da noi e, quindi, l’espansione dell’Universo (Fig. 4).

 

 

 

Fig. 4: L’effetto Doppler

Tornando alla domanda, va ricordato che (anche se ultimamente sono state rivendicate due scoperte di pianeti extrasolari fotografati in orbita alle loro stelle, ma ciò è ancora da confermare) la scoperta degli “esopianeti” avviene per via indiretta, come variazione della velocità radiale della loro stella o, in caso di transito sul disco stellare, come debole variazione della luminosità di questa. Anche se si dovesse effettivamente “vedere” un pianeta extrasolare, la determinazione  mediante spettroscopia ottica della sua atmosfera, allo stato attuale della tecnologia, risulterebbe assai difficoltosa e sicuramente “sovrastata” da quella stellare.

Una via diversa e con più possibilità di successo può essere quella della spettroscopia infrarossa (IR). Attualmente la si utilizza molto per determinare la composizione delle polveri in un disco protoplanetario: la polvere che lo compone assorbe la radiazione stellare e la riemette ad una lunghezza d’onda caratteristica della temperatura a cui si trova. Ad esempio, nel nostro Sistema Solare, alla distanza della Terra ed alla temperatura di circa 290 K, la polvere emetterebbe in IR a 10 micrometri (o Micron nel linguaggio "quotidiano"); nella zona della fascia degli asteroidi, più fredda, l’emissione avverrebbe a 20 micrometri mentre nella Nube di Kuiper, lontana 50 unità astronomiche (50 volte la distanza Terra-Sole), a 70 micrometri. Ovviamente, ciò è possibile per le polveri che hanno una grande superficie di emissione, ma è assai più difficile per oggetti compatti come i pianeti di tipo terrestre.

Nonostante ciò (e non senza sorpresa) il telescopio spaziale Spitzer è riuscito, nel Febbraio del 2007, a determinare lo spettro infrarosso di due pianeti extrasolari, HD 209458b, nella costellazione del Pegaso, e HD 189733b, nella Volpetta. Si tratta di due “Hot Jupeters”, vale a dire di due grandi pianeti di tipo gioviano (e quindi di composizione gassosa) che ruotano molto vicini alle rispettive stelle. Tra le altre, sono state determinate le impronte molecolari delle polveri, ma non quella dell’acqua, a differenza di Giove (forse presente negli strati sottostanti).

In seguito, sempre il telescopio Spitzer, è riuscito allo stesso modo a determinare poi la presenza di vapor d’acqua nell’atmosfera del pianeta HD 189733b e, sempre nello stesso pianeta, nel Gennaio 2008, lo spettroscopio del telescopio spaziale Hubble (vicino infrarosso) ha rilevato la presenza di metano. Proprio mentre mi accingevo a rispondere, ancora Hubble ha trovato anche il segnale dell’anidride carbonica. E’ una scoperta assai importante, poiché la presenza di questa molecola (e di quelle organiche in generale) può essere indice di attività biologica. Ovviamente, non è il caso di HD 189733b, ma se si trovasse in futuro la stessa molecola in un pianeta di tipo terrestre?

Questa tecnica, quindi, si presenta molto promettente, ma, rispondendo al cuore della domanda, non potrà mai determinare la presenza della clorofilla, visto che questa non è un componente atmosferico ma delle foglie delle piante. L’unico modo per poter ipotizzare (sottolineo, ipotizzare) la presenza di vita sarebbe quella di determinare la composizione dell’ossigeno nell’atmosfera di un pianeta extrasolare di tipo terrestre. Poiché le piante, mediante la fotosintesi clorofilliana, convertono l’anidride carbonica in ossigeno, una composizione di questo elemento in quantità simile a quella terrestre, non disgiunta da quella dell’anidride carbonica, potrebbe essere un indizio della presenza di vegetazione sulla superficie planetaria.

Prima di ottenere un’informazione di questo tipo, occorrerà, però, ancora un po’ di tempo, ma chissà che il telescopio IR Webb (che sarà lanciato nel 2013) non ci potrà già dare qualche sorpresa!