Cosa succede ad un piccolo settore di foresta pluviale che venga tagliato con le tecniche primitive degli indigeni? È vero che la foresta in quel settore ricresce, ma con piante meno longeve e con un relativamente rapido ricambio di alberi? Oppure viene ripristinata la flora originaria con un arco di vita molto lungo?

La foresta pluviale tropicale si estende all’interno dell’area più climaticamente favorita del pianeta, cioè lungo l’equatore, prolungandosi talora sia nell’emisfero boreale che in quello australe, fino ai tropici.

 

La vegetazione naturale in quest’area è costituita da foreste dense con specie sempreverdi.

 

Presenta un elevata complessità sia nell’architettura della vegetazione (stratificazione vedi fig.) che nel numero di specie e individui, ciò gli conferisce il primato del valore più alto di fitomassa prodotta nell’unità di tempo e per ettaro.

 

 

 

La fioritura non avviene ogni anno come nelle foreste dal clima temperato; è più o meno simultanea e abbondantissima e fa si che vengano prodotti semi in grande quantità: cadendo al suolo producono un gran numero di plantule. Queste, trovandosi a livello dello strato erbaceo, possiedono efficienze fotosintetiche estremamente elevate (sciafilia) poiché ricevono solo le poche radiazioni luminose di scarto non assorbite dalle foglie dalle piante degli strati superiori. Se una grossa pianta adulta dello strato arboreo muore e cade offre la possibilità alle plantule di non avvizzire e accrescersi diventando eliofile per la maggior densità fotonica prodotta dal nuovo ambiente illuminato che si è liberato.

 

Paradossalmente, nonostante l’estrema complessità della foresta pluviale, la sostanza organica stoccata al suolo è relativamente modesta, questo a causa del continuo dilavamento dei minerali e delle molecole organiche operata dalle continue precipitazioni e dalle elevate temperature che accelerano i processi biochimici di degenerazione dell’humus. Nel suolo restano un elevato contenuto di ossidi di Fe e Al che gli conferiscono un color rosso ocra ed un elevata acidità. La carenza di fertilità tuttavia viene compensata dall’attività svolta da una miriade di organismi decompositori quali funghi, termiti, formiche, etc. Tuttavia questi sono interconessi ecologicamente con le diverse specie di piante e non con il suolo di conseguenza se la foresta pluviale viene tagliata si arresta il riciclo di nutrienti e il suolo perde ogni fertilità: la vegetazione arborea non può ricostituirsi e viene sostituita da una savana più o meno sterile. Al contrario, quando un bosco di clima temperato viene abbattuto, la vegetazione si ricostituisce rapidamente in forma più o meno uguale alle precedente, grazie alla riserva organica nel suolo.

 

La foresta pluviale fornisce alle popolazioni locali indigene – che sono di piccole dimensiono (100 -200 individui) – risorse sufficienti per la vita: frutti, germogli, radici, tuberi e poi c’è la caccia e la pesca. Occasionalmente tagliano la foresta per seminarci mais; la cultura tuttavia è di tipo itinerante: quando una comunità si stabilisce in un certo territorio, distrugge una certa superficie di foresta nella quale viene coltivato il mais o qualche altra pianta commestibile. La fertilità del suolo viene rapidamente esaurita e la superficie coltivata viene di conseguenza abbandonata e sostituita con aree contigue. Quando tutte le aree coltivabili sono esaurite, la comunità si sposta di qualche decina di chilometri e ricomincia da capo. Questo tipo di sfruttamento è sicuramente dannoso alla foresta, tuttavia data l’esiguità delle superfici messe a coltura, la vegetazione prima o poi torna nella sua condizione naturale.

Lo sfruttamento intensivo della foresta pluviale per produrre legname per le grandi industrie o per l’agricoltura meccanizzata, invece, è totalmente distruttivo poiché non si dà il tempo alla vegetazione di ricostituirsi, che come abbiamo visto è un processo più lento che nei nostri boschi per via dell’elevata velocità di degradazione degli elementi del suolo. Le intense precipitazioni inoltre non incontrando alcun tipo di freno smantellano anche la struttura del suolo che anche da un punto di vista meccanico non offre più nemmeno la sede per la germinazione di un ipotetico seme.

 

In conclusione più l’ecositema è complesso maggiore è la sua fragilità per via delle numerose interconnessioni con i diversi livelli di energia della foresta che si sono stabilizzate solo dopo migliaia di anni di adattamento e selezione.