Sono un appassionato di nuoto e mi farebbe piacere conoscere le leggi fisiche a cui e’ sottoposto un nuotatore durante l’attivita’. In particolare mi interesserebbe sapere cos’e’ che determina le differenze di galleggiamento tra una persona ed un’altra, come varia la resistenza dell’acqua al variare del volume corporeo e l’energia spesa in base alla velocità.

Il principio di Archimede è quello che ci fa stare a galla. Come è noto esso afferma che un corpo immerso in un fluido riceve, dal basso verso l’alto, una spinta pari al peso del liquido spostato.

La densità media del corpo degli esseri umani come di una grandissima quantità di specie animali è assai prossima a quella dell’acqua per cui è sufficiente la piccola cavità rappresentata dagli alveoli polmonari (pochi litri) per dare una spinta di galleggiamento di qualche chilo che ci permette p. es. di "fare il morto" o anche solo di nuotare respirando comodamente senza dover fare sforzi sovrumani per tenere la testa fuori dall’acqua. Questo è a volte difficile da spiegare a chi non sa nuotare, ma, si sa, la paura che fa 90 a volte diventa più forte delle stesse leggi fisiche. Naturalmente scherzo… la paura fa invece fare movimenti sbagliati che finiscono per tenere fuori dall’acqua parti del corpo inutili alla respirazione invece di bocca e naso o fa disperdere energie per tener fuori troppi chili creando affanno, stanchezza, ulteriore paura con risultati pericolosi.

Quindi il galleggiamento dipende molto dalla capacità polmonare e da quanto sono pieni i nostri polmoni. Se non abbiamo paura dell’acqua, possiamo, facendo il morto, con un atto di volontà, svuotare i polmoni che teniamo invece sempre istintivamente pieni e "sperimentare con i nostri sensi diretti" di quanto diminuisce il galleggiamento. Non so invece di quanto la densità di muscoli e ossa possa variare da individuo a individuo, un medico potrà rispondere meglio di me.

Il galleggiamento, dicevamo, è uguale al peso del liquido spostato: ebbene il nostro corpo sposta sempre esattamente il proprio volume, ma il peso spostato è proporzionale al peso specifico del liquido. Quindi la forza verso l’alto aumenterà all’aumentare del peso specifico. Nel lago (acqua dolce con densità lievemente inferiore a quella del mare) si fa quindi un po’ più di fatica, cadendo in una cisterna d’olio anche un grande nuotatore avrebbe poche probabilità di cavarsela, a Salt Lake City o nel Mar Morto si può leggere il giornale (circa asciutto) galleggiando sull’acqua. Non so se qualcuno ha mai provato a tuffarsi in una vasca di mercurio, ma credo che gli effetti dovrebbero essere comici, tipo camminare sull’acqua, ma non riuscire a stare in piedi.

Tutto quanto sopra riguarda un corpo fermo nell’acqua o altro liquido. Naturalmente la spinta di Archimede si applica anche ai gas, aria compresa, ma per misurarne gli effetti occorre avere densità apparente mille e passa volte inferiori a quella dell’acqua come dirigibili, palloni aerostatici, palloncini dei bambini…

Quando nuotiamo facciamo sostanzialmente uso del principio di azione e reazione per vincere la resistenza all’avanzamento opposta dall’acqua. Tutti i vari stili di nuoto hanno come effetto di sospingere una certa quantità d’acqua all’indietro rispetto al nuotatore. Per fare questo il nuotatore deve esercitare sull’acqua una certa forza all’indietro, parte della quale accelererà l’acqua parte vincerà gli attriti. Per reazione (3° principio) l’acqua sospingerà avanti il nuotatore.

Per quanto riguarda la resistenza all’avanzamento, dobbiamo dire che il moto in acqua del corpo umano è di tipo vorticoso quindi la resistenza è proporzionale al quadrato della velocità, alla sezione del corpo stesso e al fattore di forma (un po’ il CX delle automobili). Quest’ultimo, nel caso del corpo umano, è assai poco favorevole se lo confrontiamo, non dico con quella di un pesce, ma anche solo con quello di mammiferi semiacquatici come le foche. Ne consegue che gli esseri umani non sono grandi nuotatori, anzi una buona fetta dell’umanità è meglio che non ci provi proprio.