Come si fa a modellare la realtà? Enrico Fermi era un abile risolutore di problemi con metodo “spannometrico”; vorrei conoscere metodi pratici per semplificare la risoluzione di problemi complessi.

Come si fa a modellare la realtà: domanda semplice, ma che racchiude
in sé forse tutta la complessità della scienza. E che forse è anche una
domanda senza risposta, semplicemente perché mira nel posto sbagliato.
Niels Bohr, uno dei più
grandi fisici di tutti i tempi, disse che: “It is wrong to think
that the task of physics is to find out how nature is.
Physics
concerns what we can say about nature” (E’ sbagliato pensare che
lo scopo della fisica sia di trovare come e’ la natura. La fisica riguarda
ciò che possiamo dire riguardo la natura”; vedi A. Petersen, The
philosophy of Niels Bohr, The Bulletin of the Atomic Scientists, September
1963, p. 8).

Bisogna quindi chiedersi semplicemente cosa possiamo dire riguardo la
natura, riguardo un certo fenomeno fisico. Bisogna considerare la matematica
come un linguaggio, con cui parlare della natura. Anche se non e’ sufficiente
da solo e occorre integrarlo con la lingua: bene o male dobbiamo comunicare
le nostre esperienze a altri scienziati e una pagina piena di formule
e’ comprensibile in linea di massima, ma sicuramente piuttosto pesante
da digerire.

Il problema linguistico e’ stato spesso sottovalutato: Bohr diceva che
i problemi filosofici erano essenzialmente problemi di comunicazione.
Ma questi problemi si riflettono anche sul modo stesso di fare scienza.
Per esempio, quando gli esperimenti di Lord Rutherford suggerirono che
l’atomo era composto da un nucleo con tanti elettroni in orbita, secondo
la tradizione linguistica della fisica classica fu inevitabile chiedersi
quali erano le orbite, velocità, posizioni, degli elettroni. Solo in un
secondo momento, con la nascita della meccanica quantistica, fu possibile
rendersi conto che quelle domande non avevano senso (per ampliare questo
discorso si veda W. Heisenberg, La Tradizione nella Scienza, Garzanti,
Milano 1982).

Bisogna quindi imparare a farsi le domande, a impostare il problema. La
soluzione del problema e’ la parte minore, soprattutto oggi che abbiamo
a disposizione tecniche matematiche molto sofisticate. Spesso, la mancata
soluzione non dipende dalla tecnica, ma dal fatto che si imposta male
il problema.  
Per imparare a farsi domande non c’e’ un metodo particolare. Nel XIX secolo
e anche un po’ all’inizio del XX, molti filosofi credevano nell’esistenza
di un metodo scientifico (e a dire il vero, ancora oggi ci credono in
parecchi). Però molti studiosi (Duhem, Feyerabend, Kuhn…) hanno demolito
le basi di questa credenza. A questa demolizione ha concorso anche la
nascita della meccanica quantistica spostando l’attenzione, come nota
Bohr, sul fatto che noi possiamo semplicemente dire qualcosa sulla natura,
non cosa sia la natura.

Quindi, per dire qualcosa sulla natura occorre elaborare una propria strada
attraverso lo studio della filosofia e la storia della scienza. L’analisi,
in particolare, e’ uno “strumento” decisamente efficace: come
nota Paolo Zellini, secondo gli antichi greci la suddivisione della tesi
in proposizioni piu’ note o meglio riconoscibili, preserva la tesi stessa
dal rischio di un rigetto completo, devia l’attenzione su fasi intermedie,
rivelando ipotesi nascoste o implicite, che eventuali controesempi possono
falsificare (vedi P. Zellini, La ribellione del numero, Adelphi, Milano
1985).

In questa fase di analisi, è indispensabile saper valutare per ordini
di grandezza (il cosiddetto metodo “spannometrico” che lei cita).
Non è necessario conoscere i valori delle grandezze fisiche alla millesima
cifra decimale, ma e’ sufficiente avere un’idea ragionevole del loro valore.
I calcoli si fanno adottando tecniche matematiche di approssimazione:
per esempio, se sappiamo che una certa formula approssimata e’ valida
quando una certa grandezza x e’ molto maggiore di un certo valore y, e
se ci troviamo nel caso di x uguale circa a 10 y possiamo allora applicare
la formula in questione. Il risultato sarà poi da considerare nell’ottica
di un’indicazione: cioè il sapere che una certa idea è valida e va ampliata.
Magari impostando un modello numerico che consenta di valutare con maggiore
precisione gli effetti in esame, introducendo relazioni con altri effetti
prima trascurati. Piano piano si eliminano le ipotesi semplificative iniziali
che hanno permesso il calcolo spannometrico e si giunge a un modello via
via più complesso.
La risposta quindi alla domanda iniziale non può essere che il consiglio
di imparare ad analizzare. Questo si fa integrando i propri studi tecnici
con studi umanistici.