Il suono puo’ essere caratterizzato completamente (nel senso che noi
non siamo in grado di percepire il degrado di qualita’) in diversi modi,
per esempio elaborando dei parametri che caratterizzano porzioni di segnale
talmente piccole da poter essere considerate “stazionarie” (cioe’ poco
variabili). A seconda di cosa accada in queste porzioni il numero dei
parametri (e il numero di bit con i quali caratterizzarlo) puo’ variare
sensibilmente. Un esempio banale ma penso efficace: per descrivere il
silenzio basta dire che la porzione di segnale e’ silenziosa (quindi semplicemente
un codice), mentre per descrivere un fruscio bisognerebbe dire ulteriormente
di che tipo di fruscio si tratta (per distinguere per esempio “afa” “ascia”),
ancora piu’ complessa e’ a descrizione di altri suoni.
Alcune tecniche di elaborazione del suono (per esempio le Wavelet) sono
in grado di determinare quando il suono e’ descritto completamente, per
cui non e’ piu’ necessario aggiungere ulteriori informazioni rispetto
a quelle gia’ raccolte. In pratica si aggiunge un parametro (o maggiore
informazione ad un certo parametro) finche’ il segnale non sembra essere
completo.
Questo metodo di codifica presenta il vantaggio di non sprecare bit (e
quindi spazio o banda), ma appesantisce il lavoro della CPU soprattutto
durante la codifica del segnale. Inoltre (salvo metodi di protezione/correzione
di errore o di sincronizzazione) la perdita d un bit puo’ causare la perdita
di tutto il segnale da quel punto in poi, cosa che non avviene invece
nei metodi di decodifica a bit rate costante dove la perdita di un bit
causa la decodifica errata della singola porzione di segnale.
A questo punto dovrebbe essere chiaro che per scegliere il tipo di codifica
bisogna decidere se e’ piu’ importante risparmiare spazio ed avere sempre
un’ottima qualita’ oppure CPU sacrificando eventualmente ogni tanto la
qualita’. La risposta dipende anche dal tipo di segnale (musica, voce,
rumori, tipo di musica, eccetera).