Sono in procinto di acquistare una casa, ma ho un dubbio circa gli effetti che può provocare la vicinanza alla stessa (circa 80 metri) di un elettrodotto da 150 KV. È possibile sapere se il campo magnetico indotto dalla linea di trasporto a quella distanza è al disotto della soglia sicurezza di 0,2 micro Tesla? Come è possibile effettuare le misure?

Non risponderò
direttamente alla prima parte della domanda, sia perché
non vi sono dati sufficienti per farlo, sia – soprattutto
– perché si tratterebbe di una risposta ad un quesito
molto particolare, con motivazioni molto poco
divulgative. Cercherò invece di estrarre dalla domanda
gli aspetti tecnico-scientifici di interesse più
generale e di rispondere a quelli. Ve ne sono, a mio
avviso, sostanzialmente tre: da cosa dipende il campo
elettromagnetico generato da un elettrodotto? come lo si
può calcolare o misurare? chi può farlo? Ritengo
opportuno poi aggiungere, alla risposta a questi quesiti,
una precisazione su quella che il lettore chiama la
“soglia di sicurezza di 0,2 micro Tesla”.

Campo
elettromagnetico di un elettrodotto

Volendo essere rigorosi,
un elettrodotto non genera un campo elettromagnetico, ma
un campo elettrico ed (eventualmente) un campo magnetico,
distinti ed indipendenti uno dall’altro.

Qualunque elettrodotto,
purché sotto tensione (cioè collegato alla rete
elettrica), genera un campo elettrico. Gli elettrodotti
in disuso, disconnessi dalla rete, non producono invece
né campo elettrico né tantomeno campo magnetico. Sono
le cariche elettriche che si distribuiscono sui
conduttori quando vengono messi sotto tensione a generare
fisicamente il campo elettrico di un elettrodotto.
L’intensità del campo elettrico si misura in volt al
metro
[V/m] e dipende da:

  1. la tensione di
    lavoro della linea (che si misura in volt
    [V]: per esempio, i 150 KV, cioè 150.000 volt,
    della domanda);
  2. la struttura della
    linea, cioè la disposizione dei conduttori nello
    spazio e la loro posizione rispetto al terreno;
  3. la distanza del
    punto di valutazione dalla linea (gli 80 m della
    domanda);
  4. la presenza di
    elementi in grado di schermare o quanto meno
    perturbare il campo elettrico: vegetazione,
    rilievi di terreno, edifici.

Un elettrodotto produce
invece un campo magnetico solo se, oltre ad essere sotto
tensione, fornisce anche potenza ad un carico
utilizzatore: il campo magnetico, infatti, è generato
dalla corrente elettrica che scorre nei conduttori.
L’intensità del campo magnetico si misura in tesla
[T] e sottomultipli come il microtesla [µT] e
dipende da:

  1. la corrente che scorre sulla linea (espressa
    in ampere [A]), che a sua volta dipende dalla potenza istantanea
    fornita al carico (espressa in watt [W]); questa grandezza può
    variare in modo anche notevolissimo nell’arco della giornata, della
    settimana, dell’anno;
  2. la struttura della linea, cioè la disposizione
    dei conduttori nello spazio;
  3. la distanza del punto di valutazione
    dalla linea (gli 80 m della domanda).

Calcolo e misura del
campo elettromagnetico di un elettrodotto

Il campo elettrico ed il
campo magnetico dispersi da un elettrodotto nell’ambiente
possono essere calcolati oppure misurati;
per il calcolo, si utilizzano programmi per computer a
cui occorre fornire le informazioni sopra elencate:
tensione e corrente sulla linea, disposizione dei
conduttori, collocazione del punto di valutazione ecc.
Ogni programma si appoggia ad un modello più o meno
semplificato della linea e dell’ambiente circostante. La
valutazione risulterà più o meno accurata a seconda del
grado di corrispondenza della situazione reale alle
schematizzazioni adottate nel modello.

Le misure vengono
effettuate con appositi sensori di campo elettrico o di
campo magnetico. Esistono anche sensori integrati che
misurano contemporaneamente sia il campo elettrico sia il
campo magnetico. A seconda dell’esigenza, i sensori
possono essere adatti a misure istantanee e puntuali (in
gergo, “misure spot”) oppure ad acquisizioni
ambientali “storiche” (cioè protratte a lungo
nel tempo) oppure infine alla dosimetria personale.

Non credo che sia il
caso di descrivere qui gli algoritmi utilizzati dai
programmi di calcolo o i principi tecnici alla base del
funzionamento della strumentazione di misura. Potremo
farlo, eventualmente, in occasione di domande specifiche
su tali aspetti.

Chi può eseguire i
calcoli o fare le misure?

Per quanto né le misure
né le valutazioni al calcolatore risultino, in linea di
principio, particolarmente complesse, tuttavia talvolta,
all’atto pratico, l’accuratezza delle valutazioni può
essere compromessa – oltre che da veri e propri sbagli
dell’operatore – anche dai limiti del modello di calcolo,
da problemi nella strumentazione o da altri elementi
imprevisti. Per questo, l’esecuzione dei calcoli e delle
misure dovrebbe essere affidata a personale qualificato,
capace di identificare le possibili cause di errore. A
questo fine occorrono operatori dotati, oltre che di una
buona competenza di base, anche di quella sensibilità
critica che si acquisisce con l’esperienza e che consente
di valutare “a colpo d’occhio” l’attendibilità
del dato rilevato.

Il mio consiglio è
sempre quello di rivolgersi ai servizi pubblici
appositamente istituiti per la sorveglianza degli agenti
fisici e cioè in primo luogo ai reparti di Fisica
Ambientale dei Presidi Multizonali di Prevenzione delle
Unità (o Aziende) Sanitarie Locali o delle Agenzie
Regionali per la Protezione dell’Ambiente.

La “soglia di
sicurezza” di 0,2 µT

Sebbene tutti ne
parlino, tuttavia non esiste assolutamente una
“soglia di sicurezza” del genere.

Solo per gli effetti acuti
dei campi elettromagnetici è possibile identificare un
valore di soglia al di sotto del quale gli effetti non si
verificano. Nel caso del campo magnetico a 50 Hz, nessun
effetto acuto si verifica al di sotto di circa 16 mT
(cioè 16000 µT). In situazioni come questa è possibile
definire un limite di sicurezza, adottando un
opportuno margine di cautela rispetto alla soglia degli
effetti.

Invece, per tutte le
patologie “importanti” messe in relazione con
l’esposizione cronica ai campi elettromagnetici,
cioè fondamentalmente le leucemie e le altre forme
tumorali (che sono poi quelle a cui si pensa quando si
citano gli 0,2 µT) non esiste un “valore di
soglia” e l’unico valore assolutamente sicuro
è, a rigore, il valore zero.

Da dove saltano fuori
allora questi 0,2 µT di cui tanto si sente parlare?
Sostanzialmente, dal fatto che questo ordine di grandezza
costituisce la “discriminante” tra il livello
di fondo a cui siamo esposti praticamente tutti (per il
solo fatto di utilizzare l’energia elettrica nelle nostre
abitazioni e sedi di lavoro) e i livelli superiori a cui
è esposto solo qualcuno per motivi particolari (per
esempio, perché risiede nei pressi di un elettrodotto).
Detto in altri termini: al di sotto di 0,2 µT siamo
esposti pressoché tutti e non è possibile, per
principio, evidenziare eventuali conseguenze
dell’esposizione, a causa della mancanza di un campione
di controllo; sopra tale valore vi possono invece
effettivamente essere differenze tra i vari campioni di
popolazione.

Non c’è quindi niente
che possa far pensare che le conseguenze di una
esposizione al di sopra di 0,2 µT siano più gravi di
quelle di una esposizione inferiore. Che significato ha,
allora, richiedere il rispetto di una tale “soglia
di sicurezza”? Semplicemente quello di pretendere di
non essere esposti più della stragrande maggioranza
della popolazione.

Per saperne di più

Chi volesse approfondire
i vari temi toccati, necessariamente in modo un po’
abbreviato, in questa risposta, può dare un’occhiata ai
seguenti collegamenti sul Web:

http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=7862  

http://www.iroe.fi.cnr.it/pcemni/domarisp/b50indx.htm

http://www.iroe.fi.cnr.it/pcemni/scandicc.htm

http://www.iroe.fi.cnr.it/pcemni/area.htm