I processi di bioremediation o di “recupero
mediato da agenti biologici”, consistono nell’uso di attività
biologiche per la degradazione e mineralizzazione di contaminanti organici
e per la rimozione di quelli inorganici dai siti inquinati.
La bioremediation è ormai noto essere una
strategia multidisciplinare assai promettente per detossificare i suoli
e le acque inquinati: essa coinvolge, infatti, processi microbici o attività
metaboliche di alcuni vegetali o le due cose insieme.
Numerosi ceppi batterici presenti nel suolo, infatti, manifestano
livelli più o meno elevati di resistenza ad inquinanti, come alcuni
metalli pesanti, e sembrano in grado di sottrarli al sito organicandoli,
rendendoli così meno tossici.
Oggi non è ancora perfettamente noto il meccanismo
che regola questo comportamento microbico; si sa comunque che la resistenza
ai metalli pesanti che presentano questi ceppi è codificata nel
DNA plasmidiale, quindi facilmente identificabile e trasferibile anche
ad altri batteri sia in natura che in laboratorio.
E’ inoltre stato dimostrato che alcune specie vegetali
appartenenti, ad es. alla famiglia delle Brassicaceae, con i loro
essudati selezionano nella rizosfera ceppi batterici che presentano un’altissima
resistenza al cadmio. In questo caso si può quindi parlare di biodecontaminazione
combinata ad opera sia delle specie vegetali che di quelle microbiche.
Alcune applicazioni di bioremediation in siti inquinati
da idrocarburi si basano sull’uso di ciclodestrine come solubilizzanti
per accelerare processi di degradazione da parte di popolazioni batteriche
eterogenee.
(cfr. www.corep.polito.it/diadi2000/schede/519.htm)
Per quello che riguarda, invece, la vera e propria
phytoremediation, cioè l’uso di organismi vegetali
come potenziali agenti disinquinanti, sono in corso ricerche sulla Fragmites
australis, o cannuccia di palude: si è visto che questa specie
possiede la capacità di assorbire cadmio e zinco dall’ambiente,
di isolarli nei propri vacuoli e, tramite processi enzimatici a carico
del gruppo delle glucotransferasi, di legarli a composti organici riducendone
la tossicità.
Non mi sono note invece le proprietà detossificanti
della loiessa, o Lolium multiflorum a cui tu accenni.
Comunque, se ti è possibile e sei ancora interessato
ad approfondire l’argomento, ti segnalo due giornate di studio organizzate
dalla Società Italiana della Scienza del Suolo presso la Sede Centrale
dell’ENEA a Roma il 14 e 15 dicembre 2000 dal titolo “LA BIOREMEDIATION
IN ITALIA: DALLA TEORIA ALLA PRATICA”.