Anzitutto
una precisazione: l’inverso della costante di Hubble esprime solamente
l’ordine di grandezza dell’età dell’Universo, perché se
la sua espansione ha subito accelerazioni o rallentamenti, allora l’età
dell’Universo può essere sotto o sovrastimata.
La figura seguente illustra quanto detto: nel primo caso l’espansione
è lineare e la distanza tra due galassie cresce nel tempo come
una retta. La velocità attuale di espansione, espressa dalla costante
di Hubble, è la pendenza della tangente nell’epoca attuale, ed
in questo caso esprime esattamente l’età dell’Universo. Nel secondo
caso invece l’espansione dell’Universo ha rallentato, e la tangente attuale
esprime un’età maggiore di quella reale. Nel terzo caso l’espansione
ha dapprima rallentato e poi ha accelerato, e la tangente attuale sottostima
notevolmente l’età dell’Universo.
Ciò
detto, passiamo a considerare il problema del tempo “assoluto”
in cosmologia.
Uno dei pilastri concettuali della cosmologia moderna è il principio
cosmologico, il quale asserisce che l’Universo appare lo stesso agli
occhi di tutti gli osservatori, ovunque essi siano. Si tratta di un’estensione
del principio copernicano di non considerare speciale il nostro punto
di vista sull’Universo.
Dal principio
cosmologico possiamo dedurre che tutti gli osservatori saranno d’accordo
nel valutare le condizioni dell’Universo nel corso della sua evoluzione,
ad esempio
potrebbero assumere come marcatore del tempo cosmico la temperatura della
radiazione di fondo, oppure la densità media del cosmo, ammesso
che sia possibile misurarla con precisione.
Un’altra importante conseguenza del principio cosmologico è la
legge di Hubble, che esprime la renazione lineare tra velocità
di recessione e distanza delle galassie.
Come
si vede, tutto deriva da un assunto arbitrario, ma che in realtà
non è così arbitrario poiché su grande scala l’Universo
appare effettivamente omogeneo ed isotropo, anche alla luce delle misure
del satellite COBE sulla radiazione termica di fondo.