I vulcani alcalino-potassici laziali, pur se ritenuti estinti, possono dar vita a movimenti tipo quelli del bradisismo o ritornare attivi? Cioè, quelle zone sono soggette a terremoti?

Così com’è posta, la domanda fa comprendere che il lettore non ha ben chiara l’idea sulle zone sismiche e sulle zone vulcaniche. Diremo subito, quindi, che i terremoti non dipendono dai vulcani ma dalla deriva delle zolle tettoniche.

Sicuramente una zona vulcanica è anche zona sismica ma una zona sismica può anche non essere vulcanica (vedi ad esempio l’alto Friuli).

 I vulcani alcalino-potassici laziali sono ormai estinti da moltissimo tempo; sono collassati e ricoperti dalle acque alluvionali e formano così laghi craterici quali i laghi di Bracciano e di Martignano, il lago di Vico, di Nemi, di Albano. Altre caldere conseguenti al collasso di vulcani spenti sono: i crateri dei Monti Volsini (Lazio) alcuni dei quali occupati dal lago di Bolsena; il complesso di Roccamonfina, il Vulture.

Un vulcano è realmente estinto quando la camera magmatica sottostante, che lo alimenta, è ormai "vuota" o talmente ridotta da non poter più rifornire di magma i condotti superficiali. Questo quando è (o è stato, in passato) possibile localizzare e registrare l’attività della camera magmatica. In mancanza di dati più precisi, si può considerare virtualmente estinta l’attività di un vulcano che non mostra alcun segno di vita da diversi secoli, in linea di massima 500 o 600 anni.

Tutta l’Italia, eccetto alcune zone, può essere considerata territorio a rischio sismico. Ora non ricordo il nome di un famoso geologo tedesco il quale disse: “Non mi meraviglierei se un giorno, svegliandomi al mattino, apprendessi che l’Italia non esiste più…”. Detto per significare che la penisola italiana, costantemente sollecitata dalla placca africana, alla fine subirà sconvolgimenti d’enorme portata.  

Come si vede dalla cartina qui sopra, l’Italia (indicata dalla freccia gialla) appare veramente piccola in confronto alla zolla africana che avanza, lentamente ma inesorabilmente, verso di essa subsidendo alla zolla europea.
Molto probabilmente, in tempi d’entità geologica, l’Italia sarà “sgretolata” dall’enorme spinta esercitata contro di lei dalla placca africana.
La zolla africana, spingendo verso nord, ridurrà le dimensioni del Mediterraneo, ripiegherà l’Italia fino a farle assumere una posizione quasi parallela all’equatore.
La Grecia sarà compressa fino ad essere portata a ridosso della Turchia.
Il mare Egeo diventerà un lago. In compenso si allargherà il mar Rosso da cui è destinato ad originarsi un nuovo oceano. (Vedi anche http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=6683).
Durante questi sconvolgimenti del futuro geologico della penisola Italiana, tutto sarà possibile ma è azzardato poter fare previsioni sulla ripresa dei vulcani citati nella domanda. Per il momento sono estinti e non vi è alcun segno che possa indicare una ripresa dell’attività e, ripeto, nessuno può dire nel dettaglio cosa veramente accadrà nelle decine di secoli o nei millenni o nei milioni di anni futuri…
Come vedremo, però, non è la ripresa di attività di quei vulcani che oggi deve preoccupare l’Italia…

Nel frattempo l’Italia continua a subire costantemente piccoli e grandi terremoti provocati da tale spinta.

La cartina qui sopra mostra il rischio sismico del territorio italiano. Da uno sguardo veloce si può subito comprendere che solo le zone in colore grigio sono a bassissimo rischio e con eventuali risentimenti (conseguenze) di poca o nulla entità.

La cartina qui sopra evidenzia i “dati storici” desunti dalle rilevazioni e misurazioni di eventi sismici avvenuti nel passato. Dalla carta si desume con facilità che i sismi più violenti hanno colpito prevalentemente (zone in violetto) l’Italia centro-meridionale di cui fa parte anche la regione laziale.

La cartina illustra le probabilità di occorrenza di almeno un evento con
I uguale o minore VII in 50 anni (calcolato con risentimenti storici e risentimenti attenuati).


RICLASSIFICAZIONE SISMICA DEL TERRITORIO DELLA REGIONE LAZIO
(A cura del Geol. Antonio Colombi, Geol. Fabio Meloni, Geol. Alberto Orazi).


Il Lazio è caratterizzato da una sismicità che si distribuisce lungo fasce (zone sismogenetiche) a caratteristiche sismiche omogenee, allungate di preferenza NW-SE, nella direzione della costa tirrenica e della catena montuosa appenninica. Lungo queste fasce la sismicità si distribuisce in modo omogeneo e gradualmente crescente dalla costa verso l’Appennino (vedi fig. qui sotto).

Quasi asismica risulta essere la provincia di Latina e poco sismica la zona costiera della provincia di Viterbo. Terremoti di media intensità ma molto frequenti, fino all’VIII° MCS/MSK, avvengono nell’area degli apparati vulcanici del Lazio, dei Colli Albani e Monti Vulsini, ed in alcuni aree del Frusinate e del Reatino.
Terremoti molto forti, fino al X-XI° della scala macrosismica MCS/MSK, ma relativamente poco frequenti, si hanno nelle conche d’origine tettonica di Rieti, Sora e Cassino
.

Questo andamento a fasce dei terremoti trova riscontro nella distribuzione degli effetti sismici osservabili nei comuni del Lazio (fig. sotto),
con massimi danneggiamenti nei comuni montani del reatino e del frusinate e gradualmente minori spostandosi verso le aree costiere.

Gli effetti dei terremoti dipendono evidentemente non solo dalla forza del terremoto e dal pattern di propagazione dell’energia sismica, ma anche dalla morfologia dell’area, dal suo assetto geologico e strutturale, dagli effetti di sito e dal livello di vulnerabilità del patrimonio edilizio storico e civile dei centri urbani.
Questa distribuzione spaziale degli effetti è facilmente confrontabile nell’istogramma delle Massime Intensità Macrosismiche (Imax) osservate (fig. sotto).

 

 

L’istogramma evidenzia come quasi la metà dei comuni della Regione abbiano risentito di intensità comprese fra l’VIII/IX° della MCS. Inoltre si nota come nel Frusinate e nel Reatino non vi siano comuni che abbiano risentito intensità macrosismiche inferiori all’VIII grado MCS.
 

Prima del 1983 la classificazione sismica non si basava su studi sismologici approfonditi, ma era definita posteriormente ad un evento sismico attraverso i rilevamenti macrosismici dei danni subiti nei comuni colpiti dai terremoti. Infatti, una prima importante classificazione sismica dei comuni del Lazio (circa 1/3 dei comuni) avvenne nel 1915, a seguito del devastante terremoto di Avezzano, basandosi sui danni subiti dai quei comuni; nei decenni successivi pochi altri comuni del Lazio furono classificati dopo alcuni terremoti di media intensità, con epicentro, rispettivamente, ad Acquapendente (1925) ed Antrodoco (1960), ma sempre basandosi sui danni riportati dagli edifici.

La prima vera classificazione sismica del territorio nazionale, basata su studi approfonditi, prese corpo nel 1983 a seguito dei lavori e delle ricerche svolte dalla comunità scientifica all’interno del Progetto Finalizzato Geodinamica del C.N.R. (1975-1980), ma anche sulla spinta e sull’emotività del drammatico terremoto irpino del novembre 1980.
Su 374 Comuni costituenti allora la Regione Lazio, 278 (pari al 74,3%) furono classificati sismici, mentre I rimanenti 96 (pari al 25,7%) non furono inclusi in elenco.
Fra I Comuni classificati sismici soltanto 9 vennero dichiarati di 1^ Categoria sismica, la più alta, nella zona del Cicolano (Reatino) e nell’alto Frusinate.

Dal 1983 ad oggi, le conoscenze sismologiche sono progredite a seguito degli studi promossi dal Dipartimento Nazionale della Protezione Civile e che hanno visto coinvolti il Gruppo Nazionale per la Difesa dai Terremoti del CNR, il Servizio Sismico Nazionale e l’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia.
A seguito di questi studi è stata formulata una Proposta di Riclassificazione sismica (1998-2001), ripresa come documento di riferimento dell’Ordinanza del PCM 3274/03, con alcune correzioni a beneficio della sicurezza (fig. sotto).


Questa proposta introduce alcuni elementi di novità, soprattutto per il Lazio. Infatti si ha una gran quantità di comuni, compresi tra la costa e la fascia pedeappenninica, classificati in 3º zona sismica (precedentemente non risultavano classificati). Inoltre, i “criteri” di cui all’ordinanza del PCM 3274/03 prevedono 4 zone sismiche, dalla 1 alla 4 a pericolosità via via decrescente e con la possibilità di considerare la 4° zona come soggetta alla normativa sismica, oppure, come succedeva precedentemente, considerarla non classificata sismica.
Dalla mappa qui sopra si nota chiaramente che solo poche e piccole aree del Lazio possono considerarsi asismiche (le zone bianche a nord-ovest).


Evoluzione geologica del territorio laziale


Il Lazio oltre 200 milioni d’anni fa.
Osserviamo dall’alto la Regione nel suo insieme. Da NO a SE si elevano i rilievi appenninici che sono i resti deformati e sollevati di rocce depostesi sul fondo dell’antico mare della Tetide, quel grande oceano compreso tra Africa ed Eurasia, nell’Era Mesozoica, 200 milioni di anni fa. I suoi fondali: secche, scogliere coralline, scarpate e bacini pelagici e i processi di accumulo di materiali sedimentari in acque superficiali e profonde, saranno il presupposto per la formazione della Catena Appenninica.

 

La nascita dei rilievi dell’Appennino.
Le prime montagne nascono con il sollevamento della catena appenninica nella successiva Era Cenozoica, circa 100 milioni di anni fa. Questo fenomeno è il risultato di un movimento di avvicinamento, lento ed inesorabile, dell’Africa verso l’Eurasia. I sedimenti di varia origine, formatisi sul fondo della Tetide, vengono spinti, sollevati ed impilati e li ritroviamo oggi in superficie.
Quella che si chiama la "serie Laziale Abruzzese" è una delle antiche piattaforme carbonatiche e parte dei suoi resti li ritroviamo oggi a formare la catena dei Monti Simbruini e Ernici e quella dei Lepini – Ausoni – Aurunci.
Ritroviamo invece le rocce formatesi in ambiente di mare aperto nei monti della Tolfa (liguri e sub liguri), in quella che si chiama la "successione Umbro-Marchigiana-Sabina" rappresentata dai rilievi dei Monti Sibillini, Sabini, Lucretili, Ruffi, Tiburtini, Prenestini, e da alcuni rilievi sottomarini che emergono sotto forma d’isole (Monte Soratte, Monti Cicolani, Monti Cornicolani e Monte Circeo).


La via del fuoco: il Tirreno ed i Vulcani.

Verso la fine dell’era Cenozoica nella parte occidentale della catena appenninica, ormai quasi completamente emersa, avvengono profonde trasformazioni. La crosta terrestre si assottiglia, sprofonda lentamente e nasce il Mar Tirreno. Viene messo in posto un gigantesco sistema di faglie (fratture sul terreno parallele) con andamento NO-SE e si creano così delle profonde depressioni che vengono invase dalle acque. Nel Pliocene medio e superiore (4-3 m.a.) in questo inquieto settore, le grandi fratture consentono la risalita di magmi dalla crosta terrestre lungo i numerosi condotti che daranno origine al vulcanismo laziale. Questo gigantesco fenomeno comincia come una strada diritta, dapprima in Toscana (M. Amiata) e poi nel Lazio Settentrionale. Si mettono in posto le lave della Tolfa e del settore cerite manziate (da 4 a 2 m.a.) ed in seguito quelle dei Monti Cimini e Isole Ponziane (1.5-0.9 m.a.).

 

E il fuoco continuò la sua strada…

Nel corso dell’ultimo milione di anni le grandi faglie si rimettono in movimento ed un altro sistema di faglie, trasversali alle precedenti, si viene così a creare. Queste fratture favoriscono la fuoriuscita di nuovo magma attivando una spettacolare successione di manifestazioni vulcaniche che durerà sino a 60.000 anni fa: Nascono così i grandi vulcani Sabatino, Vulsino e Laziale; della Valle Latina, di Roccamonfina fino ad arrivare in Campania ai complessi di Ischia e di Procida, dei Campi Flegrei e del Somma-Vesuvio che sono ancora fortemente attivi. I prodotti di questa importante fase magmatica, detta alcalino-potassica, sono risaliti da profondità maggiori rispetto alla precedente, al livello del mantello superiore ed identificano la cosiddetta "provincia magmatica romana".