Salve. Mi chiedevo, quali possano essere le considerazioni epistemologiche riguardo all’affermarsi della teoria della relatività? Grazie.

 

 Albert Einstein (1879-1955)

Chi approfondì per primo il concetto di relatività dei moti fu Galileo. Lo scienziato pisano si rese conto che nessun esperimento di meccanica, eseguito all’interno di un sistema di riferimento, può essere in grado di stabilire se il riferimento stesso è in quiete o se si muove di moto rettilineo uniforme. Alla base di questa affermazione vi era il principio secondo il quale le velocità del sistema di riferimento e quella di un corpo che si muove all’interno di esso si sommano.

Il principio di relatività galileiana riusciva perfettamente a controbattere le obiezioni che gli aristotelici avanzavano nei confronti dell’ipotesi che la Terra fosse in movimento. Esso inoltre contribuì sicuramente a far sì che Galileo aderisse alla concezione eliocentrica di Copernico che, come noto, rappresentò una profonda rivoluzione non solo scientifica, ma anche filosofica.

Galileo si rese anche conto che il suo principio di relatività era valido se si considerava infinita la velocità della luce. Infatti per confrontare la descrizione che due osservatori (posti in due sistemi di riferimento) potevano fornire di uno stesso moto, era necessario che essi potessero comunicare (ad esempio per decidere di effettuare una misura in contemporanea). Quindi dovevano usare un qualche tipo di segnale, ad esempio luminoso. Se questo segnale impiegava un certo tempo ad arrivare, non si poteva più parlare di simultaneità. I tentativi di misurazione della velocità della luce effettuati dallo stesso Galileo lo avevano portato a concludere che la velocità della luce fosse talmente elevata da poter essere considerata a fini pratici infinita.

La teoria della relatività, elaborata da Albert Einstein tra il 1905 e il 1916, rappresenta una radicale revisione dei fondamenti di tutta la meccanica classica, ricca di implicazioni epistemologiche.

La relatività ristretta o speciale1, del 1905, nasce come tentativo di risolvere le difficoltà che la fisica di inizio secolo trovava nel conciliare la dinamica newtoniana con l’elettromagnetismo. Un tentativo di salvaguardare la visione meccanicistica di fronte al neonato elettromagnetismo era stato fatto introducendo la nozione di etere, ovvero di un mezzo materiale imponderabile che sarebbe servito da supporto per le onde elettromagnetiche e che avrebbe contemporaneamente costituito un sistema di riferimento assoluto per qualsiasi movimento. Nel 1887, un celebre esperimento, condotto da Michelson e Morley, aveva messo fortemente in discussione l’esistenza di tale ipotetico mezzo materiale. Einstein riuscì a fornire un’efficace interpretazione di tale esperimento sviluppando una teoria che prendeva le mosse da due postulati:

 1)   Le leggi della fisica sono le stesse in tutti i sistemi di riferimento inerziali;
 2)   La velocità della luce è indipendente da quella della sorgente che l’ha emessa.
 
Le conseguenze dedotte da Einstein furono molteplici. Innanzi tutto veniva completamente demolita l’ipotesi, piuttosto metafisica, dell’esistenza dell’etere. Inoltre si determinava una profonda revisione dei concetti di spazio e di tempo. Considerati da sempre concetti assoluti, validi per qualsiasi osservatore, spazio e tempo, nella relatività ristretta acquistano un carattere locale e relativo al singolo osservatore posto in un dato sistema di riferimento. La lunghezza di un oggetto viene valutata diversamente a seconda della velocità dell’osservatore: per un osservatore in movimento rispetto all’oggetto la sua lunghezza apparirà contratta rispetto a quella valutata da un altro osservatore in quiete rispetto ad esso. Analogamente il tempo di durata di un fenomeno apparirà dilatato per un osservatore in movimento rispetto al fenomeno. Anche la massa di un corpo perde la sua caratteristica costanza e diventa dipendente dalla velocità dell’osservatore. Infine come ulteriore conseguenza si deduce l’equivalenza tra massa ed energia e la possibilità della loro reciproca interconversione.
Questa dipendenza dal sistema di riferimento dell’osservatore, tuttavia, non implica una relativizzazione della fisica. Infatti essa è proprio una conseguenza della necessità di salvaguardare l’invarianza delle leggi fisiche nei confronti dei diversi sistemi di riferimento inerziali.
 
Nella teoria della relatività generale2, del 1916, Einstein prende in considerazione anche la forza gravitazionale ed estende il primo postulato relativo all’invarianza delle leggi fisiche a tutti i sistemi di riferimento, non necessariamente inerziali. Le conseguenze sono ancora più clamorose di quelle della relatività ristretta. Non solo spazio e tempo perdono il loro carattere assoluto, ma vengono unificati in un’unica entità quadridimensionale e continua, secondo una trattazione matematica già anticipata negli anni 1907-1908 da H. Minkowski. Inoltre la stessa gravità viene interpretata come una proprietà geometrica del continuo spazio-temporale. Utilizzando per la prima volta le geometrie non euclidee nell’ambito di una teoria fisica, Einstein interpreta il moto di un corpo in un campo gravitazionale come dovuto alla curvatura del continuo spazio-temporale. E, contemporaneamente, interpreta la curvatura dello spazio-tempo come conseguenza della presenza di massa. In parole povere la materia “dice” allo spazio-tempo come curvarsi e la curvatura dello spazio-tempo “dice” alla materia come muoversi. Le conseguenze della relatività generale interessano pure l’ambito cosmologico, formulando l’interessante ipotesi di un universo finito, ma contemporaneamente illimitato.
 
Le implicazioni epistemologiche della relatività sono molteplici. Innanzi tutto i concetti di spazio e tempo, perdendo il loro carattere assoluto, non possono più essere considerate kantianamente categorie a priori della mente. Al contrario essi diventano un’ordinaria proprietà dell’universo fisico, per di più dipendenti dall’osservatore. Inoltre il fatto di aver utilizzato efficacemente le geometrie non euclidee in ambito fisico demolisce la tradizionale convinzione secondo la quale lo spazio fisico sarebbe euclideo e conduce ad una sostanziale revisione dei rapporti tra matematica e realtà. Lo stesso Einstein, perfettamente conscio di ciò, durante una sua celebre conferenza tenuta a Berlino nel 1921, affermò:
 
Nella misura in cui le proposizioni della matematica si riferiscono alla realtà, esse non sono certe, e nella misura in cui sono certe, non si riferiscono alla realtà3.
 
La relatività rappresenta infine un colpo mortale alla ingenua concezione meccanicista della fisica ottocentesca. L’ideale di un universo macchina costituito da materia, forza e movimento risulta del tutto incompatibile con la nuova visione einsteniana della realtà fisica. Anche la concezione, implicita nel meccanicismo ottocentesco, secondo la quale sarebbe possibile una descrizione oggettiva dell’universo indipendente dall’osservatore comincia ad essere messa in discussione con la relatività. La teoria einsteniana introduce infatti, sia pur sotto forma di sistema di riferimento la nozione di osservatore nella descrizione della realtà fisica. Tale nozione entrerà ancor più prepotentemente in scena con l’avvento della meccanica quantistica.
 
Invito il lettore a leggere anche quest’altra risposta di Vialattea: http://www.vialattea.net/esperti/php/risposta.php?num=5936
 
 
Note:
 
1) Si veda ad esempio: M. Born, La sintesi einsteniana, Boringhieri, Torino 1980 e, per una esposizione più divulgativa delle idee di Einstein: B. Russel, L’ABC della relatività, Longanesi, Milano 1982;
2) Ibidem;
3) Citato in: P.A. Schilpp, Albert Einstein, scienziato e filosofo, Einaudi, Torino 1958.