C’è differenza tra osservare e sperimentare? Cosa ne pensavano a riguardo personaggi come Aristotele, Grossatesta, Ockham?

 

Un ritratto di Roberto Grossatesta del XIV secolo (London, British Library, MS Royal 6.E.v, fol. 1ra)

Osservare significa semplicemente prendere atto di ciò che avviene nella realtà. Sperimentare significa interrogare la realtà cercando di ottenere da essa risposte che ci facciano comprendere, almeno in parte, come essa funzioni. Un semplice esempio può essere il seguente. Se lascio cadere un corpo da una certa altezza, la semplice osservazione mi fa concludere che esso cade verso il basso. Se attuo una sperimentazione, al contrario, posso cercare di misurare quanto tempo impiega per cadere da una certa altezza; cercare di capire che relazione c’è tra il tempo di caduta e l’altezza da cui cade; posso misurare la velocità del corpo quando arriva al suolo e ricercare un’eventuale relazione con l’altezza, ecc. La sperimentazione può anche essere semplicemente qualitativa, ma sicuramente un approccio quantitativo, ottenuto attraverso la misura di grandezze, consente una migliore comprensione del funzionamento della realtà e, soprattutto, una sua descrizione in termini matematici. Come affermò, infatti, efficacemente Galileo:

«La filosofia è scritta in questo grandissimo libro che continuamente ci sta aperto innanzi a gli occhi (io dico l’universo), ma non si può intendere se prima non s’impara a intender la lingua, e conoscer i caratteri, ne’ quali è scritto. Egli è scritto in lingua matematica, e i caratteri son triangoli, cerchi, ed altre figure geometriche, senza i quali mezzi è impossibile a intenderne umanamente parola; senza questi è un aggirarsi vanamente per un oscuro laberinto» (Galileo Galilei, Il Saggiatore, Cap. VI).

Platone attribuiva scarsa importanza all’osservazione e riteneva che la ricerca del “vero” potesse essere attuata attraverso il semplice ragionamento. Al contrario, Aristotele attribuisce valore all’osservazione empirica dei fenomeni. soprattutto come verifica del sillogismo. Quest’ultimo è una sequenza logica che partendo da premesse vere deve giungere a conseguenze altrettanto vere. Tuttavia, anche in Aristotele, la realtà fisica viene sempre inglobata in concetti metafisici. Infatti Aristotele ritiene che la fisica possa spiegare “come” avvengano i fenomeni della realtà sensibile, attraverso le cause formali, materiali ed efficienti. La metafisica invece consente di spiegare il “perché” quei fenomeni avvengono, attraverso l’utilizzo delle cosiddette cause finali. Queste ultime stabiliscono il fine ultimo per il quale qualcosa accade, in un ottica, appunto, finalistica o teleologica.
 
Roberto Grossatesta (italianizzazione di Robert Greathead) apportò interessanti contributi alla nascita del metodo scientifico. Grossatesta si rese conto della necessità di inglobare le osservazioni particolari in leggi universali (metodo induttivo) e della successiva possibilità di ricavare da queste ultime previsioni particolari (metodo deduttivo). Egli definì questi due processi “risoluzione e composizione”. Grossatesta sottolineò inoltre la necessità di verificare entrambi i processi per via sperimentale. In questo fu quindi sicuramente un precursore di Galileo. Grossatesta elaborò inoltre un sistema gerarchico delle discipline scientifiche che presupponeva una subordinazione concettuale fra di esse (ad esempio la geometria veniva prima dell’ottica). Al vertice di tutte le scienze vi era la matematica.
 
Guglielmo da Ockham rifiuta la distinzione aristotelica tra cause formali, materiali ed efficienti e cause finali. Per Ockham è, al contrario, necessario distinguere ulteriormente tra la scientia experimentalis, che descrive “come” le cose accadano, e la teologia e la metafisica, che rispondono invece ai “perché”. Nell’ambito della scientia experimentalis è necessario fare riferimento a poche cause, ricavabili dall’esperienza, senza ricorrere a congetture metafisiche. Da qui deriva il famoso principio, noto come rasoio di Ockham che, in una delle sue forme, afferma: « Entia non sunt multiplicanda praeter necessitatem». In poche parole, occorre limitare al massimo le ipotesi e scegliere le più semplici tra quelle in grado di interpretare un dato fenomeno.