Quale potrebbe essere il significato evolutivo degli introni?

Con il termine “Introne” (da INTR-usi-ONE) ci riferiamo a delle variabili sequenze di DNA interposte all’interno del genoma, prevalentemente in organismi eucariote, con funzione attualmente ignota. Gli introni vengono normalemente copiati in mRNA durante la trascrizione, ma poi vengono tagliati ed eliminati dalla lettura durante la traduzione. Le ipotesi avanzate sono tuttora alquanto controverse rispetto alle nostre attuali conoscenze basate sul celebre Dogma centrale della biologia (dna => Rna => proteina).

A causa della incomprensione del ruolo funzionale di queste sequenze, per lungo tempo agli introni è stata associata l’idea di “DNA spazzatura” che gli organismi più complessi si trascinano dietro, quasi fosse una sorta di “relitto genetico” ereditato dall’evoluzione!
Con l’aumentare del numero di scoperte che attualmente si susseguono nel campo della biologia molecolare, ed in particolar modo della bioinformatica, però, questa idea è ormai sempre più screditata.
Negli organismi complessi è significativo che il genoma sia per lo più composto da DNA apparentemente ridondante (95-98%) a cui non è ancora stata attribuita una funzione e solamente il 2-5% del genoma sia codificante per proteine specifiche.
Naturalmente, data la forte pressione evolutiva a cui sono sottoposti tutti gli esseri viventi in natura, la presenza di questa abbondante mole di materiale genetico sicuramente non può essere casuale o inutile; essa è lì a suggerirci che la nostra attuale interpretazione del dogma centrale sia insufficiente per comprendere pienamente il significato dell’intero genoma eucariote: le cose sono in realtà più complesse!

È stato visto che la presenza e la variabilità degli introni aumenta all’aumentare della complessità degli organismi viventi; si parte quindi dai batteri, nei quali gli introni sono pressoché assenti, fino ad arrivare all’uomo, in cui rappresentano la maggioranza dell’intero genoma.

Per quanto riguarda i batteri, l’assenza di introni è dovuta ad una “necessità evolutiva”, secondo la quale tanto più piccolo è il genoma tanto maggiore sarà la rapidità di crescita di una cellula.
In un terreno di coltura, infatti, riusciranno a proliferare maggiormente le cellule che impiegheranno meno tempo a duplicarsi, ciò è sufficiente a fornire una forte pressione evolutiva che tende alla rimozione dal genoma di tutto ciò che può non essere strettamente necessario, come gli introni appunto.

Negli organismi superiori invece la presenza di introni non è ancora stata pienamente compresa.

Sicuramente alcuni introni sembrano essere residui genetici fossili derivanti da virus che hanno “lasciato” in eredità il loro genoma, ormai inattivo, oppure versioni di geni malfunzionanti che l’evoluzione ha voluto silenziare e accantonare all’interno del genoma, nel quale accumulano continuamente mutazioni. Altri invece possono contenere esoni (sequenze codificanti) per geni diversi; altri ancora possono agire come regolatori dell’espressione genica ripiegandosi e assumendo conformazioni tridimensionali riconosciute da particolari enzimi e per ultimo, non per importanza, gli introni sembrano essere coinvolti nei processi di “splicing alternativo”, termine con il quale s’intendono letture alternative di uno stesso gene che possono dare origine, in particolari condizioni, a proteine differenti.